sabato 18 agosto 2018

La scelta impossibile

Come quasi tutte le tragedie, anche quella di Genova ha finito per scavare solchi profondi nella consapevolezza delle nostre coscienze. Il terribile dolore per l’inconcepibile numero delle vittime e per le sofferenze dei loro cari; l’assoluta incredulità per quello che è successo; l’indignato sgomento per coloro che hanno dovuto vivere per decenni sotto l’incombere di un’enormità di cemento, ferro e traffico e che ora sono senza casa e con pochissimo della loro vita; il profondo disprezzo per chi ha tenuto tanto d’occhio l’importanza dei dividendi da distribuire tra gli azionisti da relegare in secondo piano le necessità della sicurezza; l’irrefrenabile schifo per gli sciacalli che, prima ancora che lo sgomento potesse cominciare a sedimentarsi, hanno tentato di approfittare politicamente del dramma; la rancorosa incredulità che ci sia ancora qualcuno che possa pensare di decantare i pregi delle privatizzazioni.

Ma dalla tragedia esce anche un’altra considerazione tutt’altro che secondaria e che, anzi, è forse il problema maggiore, quello che sta alla base di tutti le altre difficoltà che ci angustiano. Consiste nel fatto che, mentre abbiamo sviluppato enormemente la capacità di accumulare informazioni e di realizzare cose, non abbiamo sviluppato di pari passo quella di ragionare; che, mentre abbiamo progredito a dismisura nella scienza e nella tecnologia, non abbiamo migliorato per nulla, e anzi siamo regrediti, nella capacità di prevedere dove ci porterà il futuro; che crediamo ancora nelle “magnifiche sorti e progressive”, ma siamo diventati talmente miopi da non riuscire a immaginare se davvero sono “magnifiche” e, comunque, dove ci potrebbero condurre; che ascoltiamo, leggiamo, impariamo e pensiamo talmente poco che siamo diventati incapaci di coordinare i vari segnali e indizi che potrebbero far capire su che strada ci si sta incamminando e a quali risultati si finirà per arrivare. Meravigliosi o drammatici che siano. Comunque stravolgenti.

È anche in questo senso che il disastro del ponte Morandi è emblematico, perché il crollo ancora una volta ha travolto e trascinato con sé non la fiducia nella scienza, ma quella nella capacità da parte di chi può decidere di ascoltare quello che la scienza dice. È già successo da poco con la criminale e drammatica vicenda dei vaccini diventata farsesca con la trovata di una signora, evidentemente diventata ministro per caso, che ha voluto prendere in giro tutti gli italiani – ma, senza accorgersene, anche se stessa – coniando l’assurdo concetto di “obbligo flessibile”, o “obbligo volontario”. È stato confermato adesso, quando è apparso evidente che i rischi insiti in quella struttura erano già stati abbondantemente segnalati e che addirittura si era più volte, ma sempre parzialmente, tentato di tamponarli; senza contare che altrettanto spesso era stato anche segnalato che dagli anni Sessanta a oggi il traffico si è moltiplicato a dismisura, sia in termini di passaggi, sia di peso complessivo, sia, quindi, di sollecitazioni che andavano a stressare ulteriormente le strutture portanti del manufatto che già di per sé apparivano minate da alcune carenze di base.

Se questo non seguire la strada logica è accaduto – e accade continuamente – con la scienza e la tecnologia, è evidente che con ancor meno discernimento si affrontano argomenti meno solidi e certi, nei quali, almeno a prima vista, si pensa che tutti possano dire tutto e il contrario di tutto. E così assistiamo a cosiddetti uomini politici, che dovrebbero essere di primo piano, che sproloquiano di azioni da intraprendere, ritenendosi giudici più che governanti, senza aver neppure mai letto i contratti che quelle azioni permettono, negano, o rendono obbligatorie. E lo fanno con l’unico obbiettivo di cercar di lucrare qualche voto in più in un’inesausta ricerca non di governare un Paese, ma di farsi governare da quella parte di Paese che è maggiormente influenzabile dall’apparente assonanza dei discorsi politici con le reazioni più immediate e viscerali davanti a qualsiasi avvenimento.

Da sempre si dice che la qualità di una democrazia dipende dalla qualità delle persone che vanno al voto, ma appare sempre più importante un corollario fondamentale di cui una volta non si parlava nemmeno, tanto appariva scontato: coloro che vanno al voto non devono trovarsi davanti a una scelta impossibile. E oggi la scelta appare quasi impraticabile perché appare limitata tra coloro che del loro pressapochismo, dell’ignoranza e dell’inesperienza fanno un vanto, quelli che si muovono sospinti da razzismi e aliofobie assortiti, da odi e paure e dalla convinzione che vada ripristinata la legge del più forte, e quelli che, se non sono temporaneamente ipnotizzati dall’ego smisurato del capo del momento, preferiscono passare il loro tempo a costruire ipotetiche e complesse partite a scacchi interne, piuttosto che affrontare il mondo reale che li circonda e davanti al quale non vanno oltre un tiepido balbettio nel timore di irritare qualcuno.

Dopo il crollo del ponte Morandi, ci vorrà un po’ di tempo, ma sicuramente si realizzerà una nuova opera che lo sostituirà, almeno nelle funzioni. Speriamo che la stessa cosa accada, che nasca qualcosa di nuovo e valido anche per rimediare al crollo della politica italiana. In queste condizioni, infatti, la scelta del meno peggio non può più bastare a mettere in pace la coscienza di nessuno.

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