giovedì 30 luglio 2009

I fantasmi di Peteano

Finora non ho voluto esprimere un parere su Mittelfest perché, essendo stato parte attiva della passata gestione, curatore degli incontri che lo affiancavano, non volevo rischiare di essere, o essere considerato, prevenuto. Non ho neppure partecipato ad alcun evento per non cadere in tentazione. Ebbene, ho sbagliato e me ne pento profondamente.
Neppure oggi intendo parlare di cose artistiche, ma non posso non sottolineare una delle peggiori porcherie possibili perpetrate dalla nuova dirigenza del Mittelfest che, approfittando del fatto che la memoria diventa sempre più corta e fa dimenticare avvenimenti terribili consentendo di travisare la storia, ha organizzato un incontro per permettere alla società segreta Gladio e ai cosiddetti “gladiatori” di dire quanto bravi sono stati, quanti meriti hanno avuto nell’evitare che l’Italia finisse nell’orbita sovietica, quanto avrebbero diritto di ricevere gli onori militari.
Non mi voglio soffermare sul fatto che ci sono fortissimi dubbi che siano stati questi signori a sbarrare l’ingresso del Patto di Varsavia nel nostro Paese, o che avrebbero potuto farlo se fosse diventato necessario. Non sottolineo neppure che loro sarebbero stati felici di scendere in piazza, armi in pugno, se il Pci di Berlinguer avesse vinto democraticamente le elezioni a metà degli Anni Settanta. E non punto il dito neppure sul fatto che la Costituzione – che per loro è evidentemente, come ripete spesso Berlusconi, una Costituzione comunista – proibisce l’esistenza di società segrete. La porcheria, insomma, non consiste nell’aver lasciato parlare, senza il minimo contraddittorio, persone alle quali non si può aprioristicamente negare una qualche, pur esaltata, buona fede.
La vera e propria schifezza non consiste nell’aver parlato di quello che non hanno fatto per difendere l’Italia; consiste, invece, nel non aver parlato di quello che hanno fatto per rovinare l’Italia, per darla in mano all’eversione di destra.
Io non credo ai fantasmi, ma sono certo che su quell’incontro aleggiavano gli spiriti di Antonio Ferraro, di Donato Poveromo e di Franco Bongiovanni, i carabinieri dilaniati dall’esplosione della 500 di Peteano, una 500 il cui bagagliaio era stato imbottito di esplosivo che arrivava dal “nasco” di Aurisina, da uno dei depositi segreti di armi di Gladio. Perché non possiamo dimenticare che delle tante stragi fasciste in Italia quella di Peteano è l’unica che abbia un reo confesso e che proprio dalle parole di Vinciguerra si è avuta la conferma che la destra ha organizzato e realizzato stragi indiscriminate proprio per instillare nella gente la paura e per far accettare leggi speciali.
I gladiatori dicono che nessuna sentenza li ha mai condannati. Non è vero: quella di Peteano ha bollato la loro organizzazione come una setta segreta in cui alcuni degli aderenti hanno consapevolmente aiutato dei terroristi fornendo loro l’esplosivo, in cui alcuni non si sono fermati neppure davanti all’omicidio multiplo di servitori dello Stato.
Non intervenire in queste occasioni per ricordare cos’è davvero successo è un terribile errore. Di questo non sto accusando nessuno se non me stesso, perché io non soltanto sapevo, ma anche ricordavo. E, pur immaginando dove l’incontro avrebbe portato, ho scelto di non partecipare per non essere accusato di essere prevenuto.
È stato un terribile errore perché ho permesso che la voce della propaganda di quei “signori” si alzasse senza alcun disturbo. Me ne sento profondamente colpevole.

giovedì 23 luglio 2009

Il potere a un bugiardo

Questo è davvero un punto di snodo importante per riuscire a capire cosa accadrà di questo Paese.La frase importante, quella su cui dobbiamo fermare la nostra attenzione è stata detta da Berlusconi: «Sì, è vero: non sono un santo».

Orbene, del fatto che lui non sia un santo eravamo già convinti tutti, tranne Bondi e pochissimi altri. Sulla faccenda delle “escort” (chiamiamole pure così) ai suoi fedeli non importava perché i vantaggi di sostenerlo per loro superano largamente il disagio di essergli vicino. Ai cattolici convinti dava molto fastidio il fatto che calpestasse con allegria quei valori della santità della famiglia che tanto esaltava per accaparrarsi i voti dei credenti. I laici erano orripilanti che addirittura se la facesse con minorenni.

Ma non è il saltellare da un letto all’altro con compagnia sempre diversa il punto fondamentale. E, infatti, a farci capire quanto poco sia importante il libertinaggio è proprio il fatto che lo stesso Berlusconi, ormai impossibilitato a negare la realtà, tenti di convincere tutti che soltanto questa è la sua colpa.

Il problema non è che lui non sia un santo. È che lui è un bugiardo.

E se questo può essere fastidioso o colpevole nei normali rapporti di ogni giorno, è pernicioso e pericolosissimo quando a essere bugiardo è il presidente del consiglio di una nazione. Se inganna il suo popolo in una cosa tutto sommato di importanza minore, cosa potrà fare – cosa ha fatto in tutti gli anni in cui è stato al governo? – quando dovrà convincere gli italiani che le sue scelte sono per il bene comune e non per il bene suo e delle sue aziende? Cosa potrà fare – cosa ha fatto in tutti gli anni in cui è stato al governo? – quando dovrà difendersi dai ricatti di coloro che sanno quello che in realtà ha fatto?

Non c’è dubbio che in tutto il mondo l’ammissione di Berlusconi di essere un bugiardo diventerà il primo capo d’accusa nei confronti di uno che pretende di farsi passare per statista. Il problema è quello di vedere cosa accadrà in Italia.

Berlusconi ha ammesso le menzogne smentite con forza da mesi perché lui e i suoi avvocati e consiglieri sono convinti che in Italia mentire non sia considerato un peccato. Se avrà ragione lui, allora sarà molto difficile risalire da quell’abisso di disvalori, tra cui un razzismo di cui è succube oltre che complice, in cui ha trascinato un intero Paese. Se avrà torto, ma bisognerà che glielo si dica ad alta voce e che anche la Chiesa glielo ricordi ad alta voce, allora sarà cominciata la strada per ridare alla politica quella dignità che in altri tempi ha permesso il progresso sociale.

Io non posso accettare di essere rappresentato da un bugiardo. E voi?

domenica 19 luglio 2009

Razzismo oltre la morte

Eppure la gente dovrà, prima o dopo, ritrovare la forza di indignarsi. E, soprattutto, di farla sentire la propria indignazione. La vicenda dell’opposizione della Lega contro la decisione di riservare una zona del cimitero a Paderno alle sepolture musulmane è di quelle che dovrebbe far insorgere contro un razzismo che non ha neppure più il falso alibi della difesa dei posti di lavoro per chi è nato in questo Paese.
In questo caso non ci si oppone soltanto ai vivi, ma si vuol cacciare addirittura i morti, oppure costringere loro e i loro parenti ad adattarsi a riti e usanze che non sono vicini alla loro religione. Da chi ha inventato il “matrimonio celtico” non c’è molto di buono da aspettarsi, ma un’intolleranza che non si ferma neppure di fronte alla morte richiama alla mente immagine di razzismi terribili che hanno insozzato e insanguinato il mondo e che all’inizio sono cresciuti proprio perché non respinti con sdegno dai tanti benpensanti che ritengono che si esauriranno da soli, o che dicono che succederà così per evitarsi il fastidio di dover intervenire in qualche modo.
Ma se dalla Lega un comportamento razzista ce lo si può aspettare, molto più doloroso è annotare che anche i “Cittadini” - o qualche loro rappresentante - si accodano sulla stessa strada. Si autodefiniscono “moderati”, ma in realtà sono degli integralisti religiosi, una categoria altrettanto pericolosa, o forse di più perché a essere minacciati non sono soltanto chi ha fedi diverse, ma anche coloro che credono in un Dio che ha lo stesso nome e che viene visto negli stessi punti di riferimento religiosi, ma al quale non manca la carità, intesa come amore.

martedì 7 luglio 2009

Il potere temporale

Provo grande vicinanza e affetto per quelli che Candidò Cannavò nel suo ultimo libro ha chiamato “Pretacci” e di cui ci sono almeno dieci preclari esempi nella nostra regione, dieci sacerdoti che vivono a fianco delle condizioni più disagiate e che si regolano rigorosamente secondo i dettami del Vangelo. Vicinanza, affetto e praticamente totale identità di valutazione.
Provo forte rispetto per i vescovi della Cei che applicano il Vangelo secondo la loro lettura, con i quali magari – con tutta l’umiltà possibile, ma anche con il libero arbitrio di cui sono dotato – non sono d’accordo, ma ai quali debbo riconoscere sempre una coerenza a tutta prova su una strada che per loro è univoca: sia quando rimproverano Beppino Englaro perché ritiene giusto esaudire il desiderio espresso dalla figlia di non voler essere ridotta a un vegetale, sia quando si oppongono alle leggi razziste della Lega, sia quando condannano esplicitamente «il libertinaggio» del presidente del consiglio.
Provo grande imbarazzo nei confronti del Vaticano che non soltanto, tranne che contro il povero padre di Eluana, è sempre molto sfumato nei suoi giudizi, ma che addirittura, nell’ansia di non scontentare i potenti, finisce per confutare le parole dei suoi figli più maturi e accreditati: i vescovi.
Se la Cei critica con forza la nuova legge anti-immigrazione e il Vaticano emette un comunicato in cui afferma che dal Vaticano stesso non partono critiche contro il governo, allora non si tratta più di essere sopra le parti, ma di prendere le distanze dai vescovi, di appoggiare il governo e di approvare norme razziste.
Perché? L’unica risposta che mi viene – ma spero sinceramente che qualcuno me ne dia un’altra che mi faccia cancellare questa dalla mente – è che il Vaticano è seriamente preoccupato di prendere le distanze dal governo che ha confezionato – per puri e semplici calcoli elettoralistici, non certo per convinzioni sulla sacralità della famiglia, giusto per fare un esempio – più leggi a favore delle strutture ecclesiastiche: scuole cattoliche, esenzioni dall’Ici e così via.
La mia sensazione, cioè, è che il potere temporale della Chiesa esista ancora, anche se non si nutre più di possessi territoriali, ma di proprietà economiche. A me riesce a interessare soltanto la parte spirituale della Chiesa. Quella temporale non fa altro che allontanarmi da lei. E a non farmi chiudere ogni rapporto (per la Chiesa forse poco importante, ma per me fonte di ragionamenti, analisi e tormenti) sono proprio quei “Pretacci” di cui parlavo all’inizio. E sono convinto di non essere il solo a pensala così.

venerdì 3 luglio 2009

Partecipare significa...

Le profonde riflessioni di Maria Zaffira Secchi sulla partecipazione e sul suo significato meritano attenzione e approfondimento perché è proprio su questa parola che si è sempre giocata e sempre si giocherà la vicenda politica del nostro Paese.
A cosa dobbiamo partecipare?, si chiede. Una prima risposta me la suggeriscela sciagurata approvazione di una legge razzista e xenofoba come quella approvata ieri – con la fiducia a voto palese – da una maggioranza che tanto sicura dei suoi numeri ormai non è più. Perché se noi restassimo inerti davanti a una simile barbarie voluta dalla Lega e di cui Berlusconi oggi si fregia come di una medaglia, potremmo davvero abdicare alla nostra caratteristica di esseri umani democratici e convinti che la nostra Costituzione abbia ancora un senso.
Anche la Chiesa – o meglio il Vaticano - solitamente piuttosto prudente con le iniziative del centrodestra, questa volta alza la voce in maniera chiara: «Provocherà tanto dolore».
In questo momento sono profondamente convinto che sia il caso di rispolverare la capacità di dire «NO!», di esercitare il diritto alla disobbedienza, di esercitare il diritto di Resistenza perché nessuna legge può costringerci a essere disumani.
Partecipare, quindi, non significa soltanto prendere parte alle manifestazioni che spero si facciano contro questa legge, ma anche – se queste manifestazioni non apparissero all’orizzonte - all’organizzazione delle manifestazioni stesse. Partecipare significa voltare le spalle e rifiutare di stringere le mani ai razzisti leghisti e a chi li ha aiutati. Partecipare significa ritrovare orgoglio e dignità di essere umani, significa rispolverare quella capacità di indignarsi che è stato il vero motore del progresso dell’umanità. Partecipare significa scegliere in ogni momento della giornata e impegnarsi direttamente affinché questo nostro Paese non perda le caratteristiche per cui per decenni è stato rispettato.
Partecipare significa pensare soprattutto al bene e ai grandi valori comuni e non ai piccoli giochi di potere interni ai partiti. Significa unirsi sulle cose davvero importanti e non dividersi e offendersi vicendevolmente sui bizantinismi e sulle cariche. Partecipare significa prendere parte a tutto quello a cui si può prendere parte dalla parte che si sente come giusta.
È sicuramente faticoso e può essere anche rischioso. Ma è anche l’unico modo per non abdicare alla propria dignità e umanità.