giovedì 24 luglio 2014
In piena facoltà egregio Presidente
«In piena facoltà egregio Presidente / le scrivo la presente che spero leggerà»: è l’incipit della canzone senza musica suonata “Il disertore” di Ivano Fossati che oggi prendo a prestito, anche se sicuramente non sarà letto dal teorico destinatario, perché la preoccupazione per quello che sta succedendo nel nostro Paese, anche a livello istituzionale, mi sembra aver superato il livello di guardia. Il tema è quello dell’autoritarismo che molti sentono avanzare nella nostra Repubblica.
Cominciato qualche giorno fa Renzi che, con quel suo sguardo studiatamente un po’ sbruffone, afferma: «Quando sento parlare di deriva autoritaria un sorriso si stampa sul mio volto, tanta è l’assurdità». Poi continua la ministra Maria Elena Boschi, un paio di giorni dopo, mettendo momentaneamente da parte il mellifluo sorriso stampato indelebilmente sulle sue labbra, con la frase «Qualcuno parla di svolta autoritaria: questa è un’allucinazione e come tutte le allucinazioni non può essere smentita con la forza della ragione». Frase che viene immediatamente messa in crisi, però, dal suo riferimento ad Amintore Fanfani che «diceva che in politica le bugie sono inutili». E qui non serve la forza della ragione per indignarsi davanti a questa frase: basta la forza di una memoria che evidentemente la ministra, anche per ragioni anagrafiche, non ha.
Adesso è il turno del Presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano, sicuramente irritato, fa sapere, tramite fonti istituzionali, che parlando con il presidente del Senato, Pietro Grasso, «ha insistito sul grave danno del prodursi di una paralisi decisionale su delle riforme essenziali».
Tralasciamo pure il fatto che molti non apprezzano il nuovo disegno costituzionale tracciato da Renzi, evidentemente almeno con l’avallo di Napolitano, perché vi vedono un pericolo per la democrazia italiana. Ma il pericolo comincia ad apparire già prima della riforma tanto agognata dai renziani che, partendo dall’intenzione di abolire il bicameralismo perfetto (idea ampiamente condivisa), sono passati alla voglia di abolire il bicameralismo tout court (idea ampiamente invisa).
Il compito costituzionale al quale le Camere sono deputate, è quello di discutere per sviscerare ogni problema con l’obbiettivo di arrivare a una scelta di coscienza e di evitare, per la fretta, di licenziare leggi stupide e controproducenti come le tante che negli ultimi anni sono state approvate in fretta e poi, altrettanto in fretta, sono state criticate da tutti.
Spaventa, quindi, l’idea di considerare l’ostruzionismo – strumento più che lecito di ogni opposizione in ogni Paese democratico – come un ostacolo da condannare e da eliminare. In questo atteggiamento appare evidente una consonanza di intenti con quelli espressi da Berlusconi e sonoramente osteggiati da quello che era chiamato il centrosinistra e che oggi, evidentemente, è un’altra cosa visto che su quella strada sembra avviarsi; almeno fin quando sono gli altri a fare opposizione.
Per chi non lo ricordasse, Berlusconi aveva proposto di eliminare tutte quelle noiose sedute in aula e di far riunire i capigruppo, ognuno con il pacchetto di voti a disposizione – e, quindi senza libertà di coscienza per i sigoli deputati o senatori, oltre che con una evidente trasgressione all’articolo 67 della Costituzione che parla della libertà di mandato – in modo da snellire le operazioni in nome della “governabilità”. Il logico passo successivo sarebbe stato quello di far coincidere con il presidente del Consiglio i voti della maggioranza che lo aveva votato e, quindi, quello di far eliminare, perché superflua, anche la noiosa riunione con i capigruppo per dare via libera senza intralci a ogni idea governativa.
L’errore non è quello di andare avanti a oltranza per far approvare leggi importanti, ma l’oltranza dovrebbe riguardare anche e soprattutto la discussione – e quindi la mediazione per la ricerca di soluzioni condivise a maggioranza reale – e non soltanto il voto. E credo che sarebbe più giusto dedicare questo sforzo alla ricerca di leggi che riescano a creare lavoro, a mettere in ordine i conto dello Stato, a ridurre, se non cancellare, le sempre crescenti disparità sociali esistenti nel nostro Paese, a ribadire che l’Italia non soltanto ripudia la guerra, ma non accetta neppure di restarsene inerte e praticamente silenziosa, mentre in Israele, Palestina, Ucraina, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e molte altre nazioni, le uccisioni e gli attentati sono diventati una tragica e sempre più sottaciuta realtà quotidiana.
martedì 22 luglio 2014
Lezione di civiltà
Devo confessare che mi lascia non poco perplesso la totale assenza di commenti scritti - non di quelli fatti a voce - da parte degli esponenti del PD alle proposte-richieste fatte da noi “non allineati” per tentar di capire se davvero il Pd ha intenzione di fungere da catalizzatore per tutto il centrosinistra, oppure se anche questa volta tutto si risolverà in un riallineamento di equilibri interni. Perplesso e anche abbastanza sfiduciato.
Anche per questo, in un periodo così buio, la riaffermazione di un normale livello di umanità diventa una lezione di civiltà di cui essere più che contenti, a cui aggrapparsi nella speranza che davvero si possa ripartire quando sarà finito questo orribile incubo popolato da Berlusconi e dai suoi sodali. A proposito: Brunetta, emettendo i suoi sproloqui sulla magistratura, o non si è informato, o non ha capito, o è in malafede; ma in ogni caso la domanda rimane sempre: come può uno così essere diventato ministro?
Ma torniamo alla lezione di civiltà che è stata data da uno di quei posti che viene sempre guardato con qualche diffidenza: il consiglio comunale di Udine. Questa volta è stato in grado di ricacciare il razzismo leghista e quello altrettanto becero di un paio di residui del Pdl, approvando la sacrosanta apertura di un cimitero riservato agli islamici e, quindi, ai riti e alle sepolture chieste da quella religione. E questa volta alla mozione del centrosinistra si sono aggiunti alcuni forzisti e i finiani capaci di sentire ancora umanità.
È un momento che fa sperare che forse, alla fine dell’incubo berlusconiano una vera destra e una vera sinistra, ricche di valori e non soprattutto attente a sorridere a coloro che pensano possano portare voti, potranno tornare a confrontarsi anche aspramente, ma con la convinzione che comunque gli avversari, pur con idee spesso non condivisibili, pensino al bene di un Paese e non di se stessi.
Le lezioni da accettare
Una delle frasi più stupide e più utilizzate nella politica di oggi è: «Non accettiamo da nessuno lezioni di...». Frase di per sé inconcepibile e totalmente sbagliata in quanto nessuno tranne il Papa – e soltanto nel caso stia parlando di un dogma – può dire di se stesso che è infallibile. E, quindi, tutti, ma proprio tutti, abbiamo bisogno di lezioni da qualcun altro.
Ma tra le tantissime frasi di questo tipo che ho sentito pronunciare da politici di tutti gli schieramenti in questi anni, due mi appaiono indimenticabili.
La prima è quella di Roberto Maroni che, con sommo disprezzo del ridicolo, commentando le critiche della gran parte del mondo per i respingimenti in mare di poveri disgraziati verso la Libia senza controllare neppure se avevano i requisiti per chiedere un obbligatorio asilo politico, diceva che nessuno può dare alla Lega lezioni di solidarietà.
La seconda è quella di questi giorni da parte di molti esponenti di centrodestra che sostengono che nessuno può dare né a loro, né al loro datore di lavoro lezioni di dignità. Pensando alle cose che fa Berlusconi (le serate in villa, ma ancor più – molto di più – le telefonate alle questure) e a come i suoi riescano a dire le cose che dicono in sua difesa senza arrossire di vergogna, la cosa appare talmente strampalata che ti viene il dubbio che stiano usando un vocabolario diverso dal nostro. E forse è proprio così.
Ma tra tutti quella che ci colpisce di più è il ministro Stefania Prestigiacomo che, a chi le chiede se non pensa che nelle serate berlusconiane si stia calpestando la dignità delle donne, risponde: «Mi riconosco nei valori del centrodestra». Spero davvero che questi valori non siano del centrodestra, ma soltanto di poche persone che millantano di rappresentarlo.
I voti più che i seggi
Festeggiare la Repubblica, mentre a qualcuno piacerebbe trasformarla in una specie di regno neppure molto democratico, mi sembra un dovere assoluto. Ma il festeggiamento deve avere un significato che vada oltre la consueta ufficialità. Io scelgo di farlo con la testimonianza di quello che sento e con l’espressione di un sogno.
Comincio, quindi, dicendo che anch’io come tanti altri, mi sento profondamente offeso quando sento Berlusconi dire: «Gli italiani sono con me». Io non sono assolutamente con lui; anzi, sono decisamente contro di lui. Non lo voterei nemmeno sotto costrizione.
Perché continua a dire che stiamo uscendo dalla crisi, mentre la gente continua a sprofondare nella disoccupazione, nella povertà, nella disperazione; perché cinicamente promette crociere ai terremotati mentre quelli chiedono ricoveri migliori delle tende; perché, con l’aiuto di leggi fatte a suo uso e consumo, rifiuta di farsi processare per fatti per cui sono già stati condannati personaggi non difesi dal lodo Alfano; perché rende ridicola l’Italia in ogni Paese del mondo; perché per mantenere il proprio potere si piega senza fatica alle richieste razziste e xenofobe della Lega; perché con i suoi comportamenti è di pessimo esempio a tutti gli italiani; perché ritiene di essere non soltanto al di sopra della legge, ma anche al di sopra della verità pretendendo che la sue parole, pur contraddittorie tra loro stesse, siano accettate come incontrovertibili; perché... potrei andare avanti a lungo, ma sarebbe superfluo,
Con buona pace sua, sono tanti gli italiani che non sono con lui e il mio sogno sarebbe quello che la dimostrazione di questo assunto uscisse dalle urne. Non voglio entrare assolutamente in suggerimenti su quale votare tra i partiti di opposizione (ho una mia idea, ma ritengo giusto non palesarla proprio per non suggerire rivalità), ma vorrei che tutti andassero a votare: per chi desiderano, ma in massa.
È stato Berlusconi a tentar di fare di questa elezione un plebiscito: un po’ perché sa che comunque il numero dei seggi conquistati – anche per il meccanismo degli sbarramenti – lo vedrà in testa, un po’ perché confida che se il risultato dovesse essere per lui molto favorevole lo sfrutterebbe a fini interni, mentre se non dovesse essere particolarmente soddisfacente tornerebbe alla sua vecchia idea che le elezioni europee hanno scarso valore.
Ma se plebiscito sulla sua persona deve essere, allora non sui seggi si deve ragionare, ma sui voti. Sui voti conquistati da tutta l’opposizione da una parte e dal Pdl dall’altra. Per questo tutti devono andare a votare per dirgli basta. Sogno che per un paio di giorni il centrosinistra e la sinistra riescano a dimenticare le loro divisioni davanti a una necessità assoluta.
Poi farà finta di non aver sentito, ma gli altri – anche i cosiddetti suoi – sentiranno eccome.
Essere contro in certi casi è un valore
La soddisfazione per la sconfitta personale di Silvio Berlusconi ovviamente non può cancellare e neppure mettere in secondo piano l’amarezza per la vittoria del berlusconismo e ancor più per quella del leghismo. Berlusconi ha voluto trasformare in plebiscito sulla sua persona le consultazioni europee e le preferenze non lo hanno certamente premiato, ma il centrodestra nella sua globalità ha ampiamente tenuto a livello politico e ha decisamente vinto a livello amministrativo dando sempre più spazio alla sua ala oltranzista, razzista, xenofoba e aliofoba.
Il perché di questa vittoria va ricercato soprattutto- e non soltanto secondo me, ma anche per organismi al di sopra delle parti come il Censis – nella propaganda televisiva che è molto più efficace di tutte le altre e che è largamente in mano a un personaggio contro il cui conflitto di interessi il centrosinistra ha scelto di non fare nulla quando poteva fare qualcosa. Una propaganda fatta di soliloqui nei quali si sono potute dire le bugie più clamorose (gli immaginari ammortizzatori sociali per i precari, tanto per fare un solo esempio) senza che alcuna voce giornalistica obbiettasse mai qualcosa.
Parlare di programmi buoni dei vincenti e scarsi dei perdenti non ha alcun senso perché di quelli dei secondi, regolarmente bocciati alle Camere, non si è parlato quasi mai.
E poi un’annotazione in difesa delle tesi di Caterina Zanella, anche se non ne avrebbero certamente bisogno: Berlusconi, anche con il suo 35%, non rappresenta tutti gli italiani perché molti italiani – e io tra loro – non soltanto non lo votano, ma non accettano l’idea che la propria persona sia rappresentata nel mondo da un simile personaggio. Venticinque anni fa un berlingueriano accettava tranquillamente di farsi rappresentare da Moro, anche se non lo votava, perché almeno lo rispettava. Oggi non è più così.
E inoltre è anche vero che Berlusconi controlla davvero quasi tutto a livello di informazione e di economia, ma non è ancora riuscito a raggiungere quell’agognato 51% e quindi deve piegarsi continuamente ai ricatti della Lega: l’ultimo esempio clamoroso è quello del referendum sulla legge elettorale.
Ma più che parlare dei vincenti, a me sta a cuore parlare degli sconfitti cominciando col dire che fortunatamente la teoria autoisolazionista, la «vocazione maggioritaria» di Veltroni è andata definitivamente in soffitta e che bisognerà cominciare a lavorare seriamente per un’unione delle forze di opposizione che dal centro vanno a sinistra. Difficile? Difficilissimo, ma obbligatorio.
E per farlo c’è un’unica strada: quella di trovare alcuni punti qualificanti e vincolanti dai quali non si può deflettere (suggerisco: rivalutazione del lavoro, salvaguardia dei più deboli, laicità che non vuol dire anticlericalismo, alcune riforme istituzionali condivise), andare avanti demandando all’interno di questa confederazione ogni discussione sugli altri argomenti prima di far uscire le risultanze e, soprattutto, finendola di pensare soltanto al proprio orticello e alle proprie individualità.
Perché il collante c’è già. E si chiama, anche se a qualcuno può non piacere, antiberlusconismo. Non inteso ovviamente contro la persona di Berlusconi che, come tutti gli esseri umani non è eterno, ma contro il suo modo di vedere e praticare la politica, una specie di cancro che ha attaccato e corrotto una società come quella italiana che aveva sempre enormi difetti ma che era ancora in maggioranza solidale, capace di individuare valori assoluti e di non dimenticare che da quella che era l’Italia era soltanto cinquant’anni fa si è arrivati alla situazione antecrisi grazie al lavoro, alla solidarietà e all’accoglienza e non certamente agli spot e alle bugie.
Ripeto: per me l’antiberlusconismo è un valore, come per me è ancora un valore l’antifascismo. Sono due modi di vedere la vita che ripudio decisamente. Mentre per il riavvicinamento delle parti del centrosinistra e della sinistra sarei ben disposto a fare qualcosa senza avere – sia chiaro fin da subito – nessuna mira al di là del raggiungimento della soddisfazione personale.
Una rassicurazione al signor Romanese: ogni tanto non riesco a scrivere velocemente sul blog soltanto perché ritengo giusto dare la precedenza al mio lavoro primario, quello per il Messaggero Veneto.
Il partito che sogno
Ogni tanto si diventa preda di momenti di scoramento assoluto, momenti in cui si perde quasi ogni speranza che questo mondo possa cambiare in meglio. Ma poi, fortunatamente l’indignazione è tale che si emerge dalla palude di rassegnazione in cui si rischia di sprofondare. È quello che mi è successo anche ascoltando la notizia arrivata da Trento dove il tribunale dei minori ha tolto a una giovane madre il suo bambino nato da circa due mesi, le ha tolto la patria potestà e ha dichiarato il piccolo adottabile da un’altra famiglia.
Il motivo? La madre non è in galera, non è drogata, non è un’ubriacona, non è mentalmente handicappata, non è una delinquente, non è neppure socialmente pericolosa. Il suo grave difetto è quello di non essere sposata e di non essere ricca. E, pur non essendo ricca, di aver voluto portare comunque a termine una gravidanza che desiderava con tutto il cuore. La motivazione con cui il bambino le è stato tolto è che con il suo stipendio di 500 euro al mese non può assicurare al bambino una vita decorosa.
Non si parla di affetto, di amore, di rapporto tra genitore e figlio. Si parla soltanto di soldi e del teorico benessere che da questi soldi deriva.
I nostri nonni erano poverissimi, eppure avevano figli che spesso non riuscivano a contare sulle dita di due mani. E nessuno si sognava di toglierglieli e loro stessi li consideravano una benedizione.
Un Paese nel quale una legge preveda che un povero non possa più avere figli, o che, quantomeno abbia una legge che consenta a un giudice di interpretarla così, è un Paese che non ha futuro, a meno che non cambi in maniera davvero totale. In un Paese così non basta voler mandare a casa definitivamente Berlusconi: bisogna pensare davvero a una, se pur graduale, completa rifondazione su basi di moralità e socialità profondamente diverse.
E in tutto questo assordanti sono i silenzi della Chiesa e della politica. Io sono convinto che un partito veramente democratico dovrebbe lottare perché lo Stato non punisca chi è povero, ma lo aiuti a mantenere i propri figli, dovrebbe fare di questa lotta una propria bandiera, la propria bandiera principale perché non torni a essere il censo a concedere i diritti soltanto ad alcune persone.
Per un partito così sarei anche disposto, per la prima volta in vita mia, a sottoscrivere una tessera. Mi sentirei onorato a lottare per i suoi ideali e non soltanto per quelli miei e di alcuni - fortunatamente non pochi - amici. Attendo con ansia di vederlo salire su queste barricate di uguaglianza e di umanità.
Razzismo e disprezzo
A me piacerebbe davvero che qualcuno, a livello istituzionale, rispondesse in maniera chiara a una semplice domanda: perché gli esponenti della Lega Nord possono infischiarsene tranquillamente della legge fondamentale della nostra Repubblica, la Costituzione, e non subire alcuna conseguenza?
Se un privato cittadino facesse le medesime cose senza indossare camicie, cravatte, coccarde o fazzoletti verdi, subirebbe giustamente delle conseguenze sia sul piano penale, sia dal punto di vista del disprezzo generale nei suoi confronti. Perché il razzismo è condannato dalla legge, ma anche dalla pubblica morale.
E che la Lega sia razzista non è soltanto il caso di ripeterlo. È giunto il momento di urlarlo, di scriverlo, di non permettere che alcuni possano far finta di non accorgersene. Anche se Maroni nega spudoratamente che il suo sia razzismo, anche se alcuni del centrodestra hanno l’improntitudine di accusare Franceschini e altri di seminare odio perché dicono giustamente che l’Italia sta tornando verso le leggi razziali.
Nell’articolo 3 della Costituzione è scritto che «tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali» e Matteo Salvini, parlamentare leghista e capogruppo del Carroccio nel consiglio comunale di Milano, parlando della metropolitana, dice: «Prima c’erano i posti riservati agli invalidi, agli anziani, alle donne incinte: adesso si può pensare a posti, o a vagoni, riservati ai milanesi». Come pretendevano i bianchi nell’Alabama prima degli anni Sessanta.
Nell’articolo 10 della Carta fondamentale si legge: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge». E il ministro Roberto Maroni, leghista, rifiuta di soccorrere i barconi carichi di disperati, li fa respingere in Libia senza neppure accertare se i 227 migranti avevano il diritto di chiedere asilo. L’Onu protesta violentemente nei confronti dell’Italia, ma lui fa spallucce e parla di «trionfo»: la xenofobia sua e di coloro che lo hanno votato è pienamente soddisfatta.
I leghisti esultano; una parte dei loro alleati è seriamente imbarazzata, ma evita di superare certi livelli di protesta perché non hanno la minima intenzione mettere a rischio una maggioranza che, nonostante i numeri, deve ricorrere alla fiducia palese per non rischiare di essere sconfitta in certe votazioni parlamentari. E la minoranza, dal canto suo, proprio perché la maggioranza si blinda quando teme di vacillare, può fare ben poco in Parlamento.
Allora bisogna rassegnarsi a vivere in un Paese sempre più razzista, limitandosi a fare battutine sdegnose su come si potrà distinguere un milanese dagli altri, o a sperare fantasiosamente che l’Onu possa avere maggiori strumenti di pressione? Io credo di no. Sono convinto che con la testimonianza e con l’impegno personale si possa far qualcosa, magari dimostrando esplicitamente il disprezzo che si prova – se lo si prova – nei confronti di coloro che si comportano in maniera razzista, xenofoba, aliofoba. Esattamente come faremmo nei confronti di tutti i razzismi che ormai la storia ha battezzato definitivamente come tali.
Personalmente mi impegno a non partecipare più – se non per obblighi cronistici – ad alcuna manifestazione in cui sia presente un leghista e a spiegare esplicitamente i motivi della mia assenza.
Io non posseggo certezze assolute e non so dire se questa mia decisione sia perfettamente in linea con le regole democratiche che impongono di ascoltare tutti (ma credo che il pensiero leghista sia già sufficientemente chiaro, e da molto tempo) e non so neppure se questa mia scelta – ammesso che fosse praticata anche da tanti altri – potrebbe essere utile nel far allontanare la gente da quel partito, o, se per reazione, potrebbe addirittura rinsaldarlo. So soltanto che è giusto nei confronti della mia coscienza.
La colpa che mi faccio è quella di averlo detto in forte ritardo.
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