lunedì 23 gennaio 2023

Non è un brutto momento

Se fosse possibile stilare una classifica tra le espressioni più pronunciate in questo periodo, quasi sicuramente vincerebbe per distacco la frase «È un brutto momento». Ebbene, ogni volta che la sentiamo ripetere dovremmo avere la costanza di dire al nostro interlocutore che si tratta di una frase sbagliata. Non perché sia erroneo l’aggettivo, bensì il sostantivo. Infatti non si tratta di un brutto momento, ma almeno di un brutto periodo, se non di un brutto decennio, o ventennio, o addirittura di un’unità di misura temporale ancora decisamente più lunga.

Anzi, il tempo buio e burrascoso è talmente lungo da indurre allo scoramento. La pandemia del Covid e la guerra in Ucraina sono entrambe ben lontane dalla conclusione visto che la prima continua a proporre bilanci di un centinaio di morti ogni giorno soltanto in Italia, mentre la seconda non rinuncia a falciare quotidianamente decine di civili, mentre gli eserciti puntano a rafforzare le loro capacità mortifere e distruttive nell’attesa che passi il freddo dell’inverno. Non bastasse questo, da tutto il mondo continuano ad arrivare notizie di stragi tra i migranti, o tra quelli che protestano contro regimi teocratici, liberticidi e discriminanti per genere, di femminicidi, di truffe, ruberie, disonestà di ogni tipo, di morti per freddo, fame e malattie, mentre continuano ad aumentare le ricchezze di pochi privilegiati in un acuirsi delle disuguaglianze che alla fine, com’è sempre successo, non potrà non dare vita – anzi morte – a ribellioni di sopravvivenza. Senza contare che la politica continua fornire incredibili virtuosismi da faccia di bronzo come quando un ministro degli esteri riesce a dire, senza scoppiare a ridere o mettersi a piangere, che Al Sisi collaborerà per arrivare alla verità sulla morte di Giulio Regeni.

Sono sicuramente di minore drammaticità apparente, ma foriere di ulteriori disastri, magari soltanto a scala nazionale, tutta una serie di fatti che accadono quotidianamente sotto i nostri occhi e ai quali spesso non facciamo più nemmeno caso.

Prendiamo, per esempio, il fatto che si riparli con preoccupazione di libertà di stampa che oggi torna in discussione grazie all’appiglio regalato da usi impropri di intercettazioni telefoniche che sono imprescindibili nel loro uso giudiziario, ma sono esecrabili quando servono per realizzare articoli di gossip che non hanno giustificazioni e addentellati né con la cronaca nera, né con la trasparenza politica e sociale.

Eppure di segnali d’allarme recentemente ce ne sono stati già tanti. Avete notato l’incredibile esodo di una quantità di firme di grande peso, soprattutto nella fustigazione della politica, che hanno abbandonato l’Espresso, storica testata che da poco ha cambiato proprietà? E vi siete accorti che la maggior parte dei quotidiani on line ha cancellato lo spazio che era dedicato ai blog, cosa ben diversa dalle lettere al direttore e che presentavano il forte rischio di non poter essere controllati prima della pubblicazione?

E non è cosa momentanea neppure quella che comunemente è chiamata la crisi del PD, ma che dovrebbe farci pensare, invece, alla crisi della sinistra. Perché tutti parlano di sconfitte elettorali, ma ben pochi puntano il dito sulla scomparsa dei valori di riferimento di quella che era la sinistra che sapeva riscuotere notevole credito nelle classi più disagiate e in quelle più sensibili ai concetti di democrazia, giustizia, uguaglianza e importanza non soltanto economica del lavoro. Com’è possibile, del resto che oggi cerchi di accreditarsi come vero capo della sinistra un signore che, da presidente del Consiglio, ha controfirmato i cosiddetti “decreti sicurezza” di Salvini e che ha scelto di farsi fotografare con sorriso trionfante accanto al capo della Lega subito dopo l’approvazione di dispositivi di legge assolutamente immorali, antietici e corresponsabili della morte di migliaia di poveri disgraziati che hanno sfidato Mediterraneo e scafisti pur di poter sperare di sfuggire a guerre, terrorismi, carestie, epidemie, tirannie.

Una crisi della sinistra che continua a pensare che per vincere sia più importante trovare l’alleanza giusta che portare avanti le proprie idee; che continua ad alimentare grandi discussioni sulle piccole cose che dividono e non sulle grandi che uniscono; che non riesce a dare un messaggio univoco agli elettori che non capiscono, perché nessuno glielo dice, che destra e sinistra non hanno visioni sociali diverse, ma antitetiche. Una sinistra che ha consentito di far avvicinare sempre di più il sistema elettorale a quelle soluzioni maggioritarie che sono utilissime soltanto per quei gruppi che privilegiano la comodità dell’obbedienza rispetto alla fatica del pensiero e dell’obiezione.

Si dice che questa maledetta notte, prima o dopo, dovrà pur finire. È vero, ma bisogna aiutare a farla concludere e la temperie attuale richiede più resistenza pacifica che opposizione parlamentare perché in Parlamento i numeri hanno importanza fondamentale e per anni non cambieranno, mentre l’orientamento dei cittadini e la loro pressione possono anche mutare più velocemente rispetto a scelte magari dettate da delusioni e arrabbiature.

Occorre una resistenza che può anche cominciare rispondendo, ogni volta che si sente dire «È un brutto momento», che questa frase è sbagliata perché è sicuramente brutto, ma purtroppo non è soltanto un momento capace di coglierci di sorpresa.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento