martedì 23 ottobre 2018

Distrazioni di massa

A un primo sguardo, molto distratto, potrebbe sembrare che il “problema migranti” si sia risolto d’incanto. Sui giornali non ce n’è quasi più traccia anche perché è da giorni che Salvini non esterna più sull’argomento. Ma l’illusione è di brevissima durata perché ci si rende conto subito che il ministro dell’odio e della paura in questo momento ha trovato altri nemici da additare alla pubblica riprovazione per distrarre l’attenzione dai problemi che non sa risolvere: per un po’ nel mirino non sono più i disperati che cercano di sopravvivere a guerre, dispotismi, fame e malattie, bensì gli opulenti gestori dell’Europa Unita che si rifiutano esplicitamente – anche i sovranisti più convinti; anzi, loro soprattutto – di pagare i debiti nostri.

E a cancellare l’illusione e a far capire che questa è soltanto una breve pausa, poi, ci sono anche i leghisti del luogotenente Fedriga che, giorno dopo giorno, ne inventano sempre una nuova per rendere ancora più difficile la vita a chi già sopravvive a stento e che, solo per sperare, ha dovuto lasciare patria, casa, affetti, abitudini. L’ultima trovata consiste nel proclamare il taglio dei contributi agli albergatori che accolgono migranti, mentre il sindaco Fontanini, dal canto suo, interrompe il progetto Aura per l’accoglienza diffusa dei migranti e fa partire le ronde private che gireranno in Borgo Stazione dalle 17 alle 24 dando la sensazione di essere sgraditi ai tanti onesti che in quel borgo vivono e spingendo i disonesti nelle altre parti della città.

Eppure anche il ristoratore silenzio di Salvini non impedisce che ai nostri occhi continuino ad arrivare le immagini delle guerre, con ragazzini, donne e anziani feriti o uccisi; della desolazione di terre sconvolte dalle bombe e spaccate dalla siccità; della fame che gonfia i ventri dei bambini e svuota i seni delle donne; dei medici che si affannano al di là delle loro possibilità in ambienti inadatti e con strumenti e farmaci scarsi, se non assenti. Né possiamo dimenticare come sono state diffamate le ONG che hanno visto calare sostanziosamente i contributi volontari di persone avvelenate dai dubbi instillati da premeditate falsità.

E osservando più attentamente si notano tra le mani della gente confinata nei campi profughi, dall’America all’Africa, dall’Asia all’Europa, che spesso sono veri e propri luoghi di detenzione per innocenti, quei simboli di povertà che hanno popolato parte della nostra infanzia e che contraddistinguono ancora le baraccopoli di casa nostra: catini e taniche di plastica semitrasparente e spellata dall’uso e dal degrado chimico, strumenti e giochi primitivi, materiale che noi avremmo già gettato da tempo e che, invece, viene utilizzato ancora senza problemi.

E se ci si lascia penetrare da queste immagini si prende coscienza ancora più profondamente che la sorte di nascere in un posto anziché in un altro lascia intatta l’uguaglianza regalataci dalla natura, ma fa balzare agli occhi la diversità impostaci dalla fortuna e dal potere di certi uomini.

Poi, frugando nella mente, si trovano i ricordi di conflitti, magari coloniali, che hanno insanguinato quelle terre per trascolorare poi in non meno cruente guerre che ci ostiniamo a chiamare “civili”, anche se della civiltà non hanno più nemmeno il più pallido ricordo, e nelle quali ogni giorno tanti sono ammazzati e tantissimi altri, sicuramente di più, sono comunque uccisi, pur se apparentemente sembrano essere stati lasciati in vita.

E se si osservano i loro volti identici ai nostri, tranne che per l’irrilevante aspetto del colore, viene il sospetto che alcuni li guardino male perché diventano una specie di fantasma per noi che, permettendo il dilagare di questa crisi che ancora ci attanaglia, abbiamo cancellato troppe speranze per i nostri figli. E si capisce che hanno diritto di fuggire per dare una chance di vita vera, e non solo di angosciosa sopravvivenza, a sé e ai propri cari e non si capisce come possa esserci della gente che li respinge condannandoli a morire annegati, o a tornare in Paesi nelle cui carceri li picchiano, li torturano, li violentano, li assassinano.

Né ci si capacita che il razzismo nostrano sia diventato talmente pervasivo e sottovalutato da permettere a una donna di alzarsi dal suo posto su un treno Frecciarossa perché accanto a lei si stava per sedere una ragazza italiana, ma dalla pelle scura perché di origini indiane, dicendo di non voler sedere «accanto a una negra» con un tono di illusoria superiorità che rivela, invece, una bassezza senza confini.

E se si ragiona su tutto questo ci si accorge che provare rabbia, o piangere, davanti a simili barbarie è del tutto umano, ma che dissimulare la rabbia, o piangere in silenzio, è qualcosa di molto vicino alla complicità.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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