Istintivamente, con il cuore, si sarebbe portati a dare ragione al signor Manzella e dire ad alta voce che «l’Italia non è assolutamente un Paese razzista». Ma se questo fosse vero, allora ci troveremmo di fronte a un paradosso: quello di trovarci in un Paese assolutamente non razzista guidato da un governo razzista.
Perché non altrimenti può essere descritto un governo in cui il ministro degli interni fa bloccare i barconi in mezzo al mare e fa rimandare i poveri migranti da dove sono venuti senza neppure ascoltare se chiedono asilo come loro è assicurato dalla nostra Costituzione. E poi esulta per questa sua illegalità.
Perché non altrimenti può essere descritto un governo in cui il presidente del consiglio dà ragione al suo ministro e aggiunge che l’Italia non è e non dovrà mai essere un Paese multietnico, confermando così, tra l'altro, che molto raramente gira per strade che non siano la ben frequentata via dei Coronari, visto che non conosce l'Italia.
Perché non altrimenti può essere descritto un governo che se ne fa un baffo delle esplicite accuse di inumanità dell’Onu, della Comunità europea, della Conferenza episcopale italiana.
E – mi scusi il signor Manzella – a me riesce molto difficile effettuare dei «distinguo» su questioni di xenofobia, aliofobia e razzismo, soprattutto se i distinguo si basano su discorsi economici derivanti da costosi accordi con Gheddafi, sulla capacità del colonnello di badare ai suoi confini (lo fa sicuramente in maniera più efficace di quanto faccia per sorvegliare il rispetto dei diritti umani), su ragionamenti che fanno identificare «tante volte» la delinquenza con coloro che entrano in Italia perché evidentemente, se la si pensa così, qualche reato può giustificare la sottrazione dei diritti umani nei confronti dei connazionali del delinquente (io questo lo chiamerei proprio razzismo).
L’altra ipotesi è che Berlusconi in realtà non sia razzista, ma vada a solleticare le smanie razziste di una parte dell’elettorato con la paura che dia qualche voto alla Lega sottraendolo a un Partito delle libertà nel quale non tutti sono d’accordo con le tesi del loro leader, ma in cui l’unico che ha il coraggio di alzare la voce e di dire quello che pensa è il presidente della Camera Gianfranco Fini, forse anche perché si sente ormai al riparo dallle ire del capo. Ma anche questa ipotesi non è particolarmente confortante se pensiamo che chi fa questo squallido giochetto elettorale è la persona che decide le sorti del Paese.
E, a proposito del Pdl, un altro paradosso è costituito dal comportamento dei cattolici e dei cosiddetti “atei devoti” al suo interno: sono immediatamente pronti a sostenere a gran voce le tesi dei vertici della Chiesa cattolica quando alza la voce su questioni come il caso di Eluana Englaro, o sulle cellule staminali, sull’inseminazione artificiale, ma diventano improvvisamente sordi e muti quando tuona contro coloro che si comportano in maniera disumana contro i più deboli. Stante il fatto che la Chiesa – piaccia o non piaccia - va avanti coerentemente con il suo credo e con la sua morale, come si fa a essere laici o fedeli a seconda delle circostanze? Non viene forse il sospetto che, per coloro che si dichiarano fedeli, non sia l’etica a suggerire il tipo di reazione, ma piuttosto la convenienza o meno per la parte politica per cui si parteggia?
Il signor Alexandre, dal canto suo, vuole portarci costantemente al paragone con la Francia. Mi perdoni, ma di problemi suoi l’Italia ne ha davvero molti, tanti da non riuscire a preoccuparsi di quelli dei vicini. Per quanto riguarda il fatto che il governo italiano (mi scusi se non lo definisco “il nostro governo”) non faccia brutta figura all’estero, lo spieghi, per favore, più che a noi che siamo obbligati a conviverci, ai più accreditati organi di stampa non italiani, oltre che all’Onu, alla Comunità Europea, al Vaticano e a qualche altro.
L’accusa principale, sia chiaro, va a noi che non siamo stati in grado di impedire democraticamente, con il voto, che questo scempio avvenisse. E che adesso stiamo ancora troppo zitti e divisi davanti a una Costituzione fatta a brandelli.
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