sabato 3 novembre 2018

Il gatto e la volpe

Una marea di gente a Trieste in piazza contro il fascismo
Il 4 novembre, secondo Giorgia Meloni leader di Fratelli d’Italia, dovrebbe tornare a essere festa nazionale per celebrare l’anniversario della vittoria della guerra del 1915-18, quella che i cosiddetti patrioti hanno chiamato la “Grande Guerra” e che Papa Benedetto XIV aveva definito “l’inutile strage”. Non contenta, ha rincarato la dose affermando che «Saremo in piazza per ricordare che ancora oggi vale la pena di combattere per difendere la nostra sovranità. Il 4 novembre è una festa molto più unificante di altre feste che oggi sono festa nazionale». E il riferimento, reso esplicito dai parlamentari Francesco Lollobrigida e Giovanni Dozelli, presenti alla dichiarazione, va al 25 aprile e al 2 giugno. Naturalmente, la nostalgica Meloni, che intanto ha lanciato la campagna “Non passa lo straniero”, ha ottenuto subito il consenso di Salvini che si è detto pronto a candidarla come sindaca di Roma in caso di uscita anticipata dal Campidoglio della fallimentare e inquisita Virginia Raggi. Matteo Salvini che – merita ricordarlo – vorrebbe Fdi in maggioranza per avere l’ok al decreto sicurezza sul quale al Senato almeno quattro grillini, ascoltando la propria coscienza più che Grillo e Casaleggio sono decisi a votare contro anche accettando il rischio di espulsione dal partito.
 
Come sempre, al di là delle considerazioni di sostanza, occorre apprezzare quando qualcuno parla con chiarezza perché dirada immediatamente le fumosità con cui altri cercano di dissimulare e travisare la realtà. Va in briciole, ove ve ne fosse stato ancora bisogno, infatti, uno degli slogan dei 5stelle – «La destra e la sinistra sono due realtà ormai superate» – che è stato furbescamente fatto proprio nelle parole, ma non nei fatti, anche da Salvini. Ed è difficile non illuminare dei collegamenti tra la voglia di rinfrescare la retorica sulla prima guerra mondiale e lo sfilare di camicie nere in anchilosato saluto fascista a braccia tese a Predappio per celebrare la marcia su Roma, mentre qualche imbecille sfoggiava vergognosamente una maglietta con la scritta “Auschwitzland”. Come è difficile non percepire una voglia di censura e di autoritarismo anche nel nuovo presidente della Provincia di Trento, il leghista Maurizio Fugatti che, appena eletto, ha detto che bisognerà cambiare il Festival Economia di Trento perché troppo di sinistra.
 

E che destra e sinistra esistano ancora lo dimostra anche la contemporanea presenza di due cortei a Trieste, uno inqualificabilmente autorizzato a esporre il proprio credo fascista; l’altro praticamente obbligato a scendere in strada per rivendicare orgogliosamente che l’antifascismo, nonostante i Salvini e le complicità dei Di Maio, esiste ancora ed è ben vivo; molto di più dei partiti che dovrebbero rappresentarlo.

Ma, se preferisce far finta di niente, forse Di Maio neppure sa che la prima guerra mondiale ha voluto dire per l’Italia oltre 600 mila morti direttamente per motivi bellici e altre centinaia di migliaia di civili deceduti per malattie e per fame, come Amal, quella povera bimba di 7 anni morta d’inedia a causa della guerra nello Yemen e che noi oggi compiangiamo, increduli che questo possa avvenire da qualche parte del mondo mentre succedeva, e spesso, nei luoghi dove abitiamo, anche se cento anni più indietro nel tempo. E che l’inutile strage ha cancellato intere generazioni in combattimento e migliaia di ragazzi e uomini fucilati soltanto per mantenere la disciplina, magari per decimazione.

Quando Giorgia Meloni parla di vittoria dovrebbe ricordarsi che buona parte del territorio conquistato non era mai stato italiano e che poco più di due decenni dopo ha cessato nuovamente di essere italiano. Quando parla di 25 aprile e del 2 giugno come «feste divisive» dovrebbe ricordarsi che hanno diviso soltanto i fascisti dal resto degli italiani che hanno combattuto insieme, pur con idee politiche molto diverse, per liberare la patria tanto amata a parole dai fascisti da coloro, i nazisti, che l’avevano invasa e che usavano i fascisti soltanto come spregevoli lacchè.

Se Salvini appoggia la Meloni lo fa un po’ per lucrare qualche voto e un po’ perché segue il razzista che è in lui. Se Di Maio, complice, tace, lo fa un po’ perché non sa nemmeno di cosa si parla e un po’ per non perdere le poltrone sulle quali lui e i suoi stanno tanto comodi.

Ma da Di Maio tutto questo ce lo si poteva attendere: per lui, infatti, le parole hanno un senso molto relativo visto che è il “capo politico” di un partito, anche se si fa chiamare “movimento”, che continua a scandire «Onestà! Onestà!» e contemporaneamente diffonde una falsa intervista video all’ex presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem in cui le immagini sono vere, ma le parole di chi teoricamente traduce sono largamente travisate. Del tutto inventata, per esempio è la frase secondo cui Dijsselbloem inviterebbe apertamente i mercati a «lanciare un attacco alle finanze italiane», spiegando loro anche come devono fare, e cioè orchestrando un danno ai titoli italiani, facendo così salire gli interessi sul debito all’Italia. Qualcuno dovrebbe spiegare a Di Maio che disonestà non significa soltanto appropriarsi dei soldi di qualcun altro, ma anche falsificare la realtà per ottenere vantaggi, anche se non direttamente economici, per sé e per il proprio gruppo.

Certo è che il gatto e la volpe di Pinocchio oggi ci appaiono come poveri dilettanti: la realtà, come sempre, supera di gran lunga la fantasia.

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