Tanto mi divertiva il Beppe Grillo comico e tanto ammiravo il Beppe Grillo indagatore e accusatore, quanto poco mi convince il Beppe Grillo politico. E certamente non perché, come dicono alcuni, ha invaso uno spazio che non appariva suo; anzi, questo mi appare come un suo merito in quanto l'unica salvezza per la politica può arrivare proprio dall'ingresso della società nei partiti dopo che per decenni è stata la politica a colonizzare e a occupare la società.
Quello che, invece, mi appare come un terribile limite di Grillo è il fatto che si è portato in politica quella inevitabile spinta alla sintesi che in un comico è un assoluto punto di forza, ma che in politica si rivela, invece, un momento di grande debolezza perché, in una società complessa come la nostra, l'eccesso di semplificazione non porta alla semplicità, ma a un caos ancora maggiore poiché non prende minimamente in considerazione il fatto che la società è un po' come un serpente: se la tocchi in un qualunque punto, poi a muoversi di conseguenza è tutto il corpo. Ma anche perché il graffio della sintesi è efficacissima nel demolire, ma del tutto inadeguata a costruire.
Detto ciò, ancora meno simpatico mi è l'atteggiamento di chi pensa a Grillo e ai grillini come a un semplice fastidio passeggero da esorcizzare demonizzandolo e dimentica che alla base dei loro successi elettorali ci sono motivi assolutamente seri tra cui proprio l'intolleranza accumulata nei confronti di quegli stessi partiti alcuni dei quali non ce la fanno nemmeno più ad atteggiarsi a virtuosi ma che – tutti – tra egoismi e semplificazioni miopi e velleitarie, hanno decretato la loro stessa crisi e, purtroppo, anche quella della democrazia.
Insomma, Grillo – almeno secondo la mia opinione – sta sbagliando la cura, ma la diagnosi è esatta. I partiti, che potrebbero e dovrebbero essere in possesso della cura, preferiscono, invece, far finta di non riconoscere la malattia.