sabato 22 settembre 2018

La scelta della barbarie

Da un certo punto di vista potrebbe anche apparire bizzarramente giusto: per secoli l’Italia è stata invasa dai barbari che l’hanno percorsa in lungo e in largo, soprattutto devastandola. Ora sembra giunto il terribile momento della reciprocità nel quale siamo noi, dopo averla elettoralmente scelta e portata al vertice del nostro esecutivo, a esportare la barbarie e, dopo aver reso insicura e traballante la nostra democrazia, a contribuire alla devastazione di quella degli altri.

Salvini e i leghisti, con il determinante aiuto dei loro alleati grillini, infatti, non soltanto stanno facendo saltare con colpevole determinazione, o non meno colpevole incoscienza e incapacità, le regole che hanno tenuto insieme e fatto progredire per oltre settant’anni il nostro Paese, ma ora puntano a distruggere anche l’idea primigenia, quella di Spinelli, Rossi e Colorni, dell’Europa Unita. Lo fanno prefigurando alleanze con Orban, con la Le Pen e con tutta la destra più retriva degli Stati europei che, in vista delle elezioni di primavera, prefigura il materializzarsi dell’incubo di un continente trasformato in una fortezza assediata e incattivita, decisa a non far entrare nessuno, ma incapace essa stessa di uscire per nutrirsi e, quindi, destinata a soccombere per inedia economica, ma soprattutto etica e intellettuale.

Non serve lavorare di fantasia per rendersi conto di quello che sta per succedere: basta scorrere il testo dei 17 articoli dell’ultima bozza del decreto migranti, che il governo si prepara a varare, promettendo – o meglio minacciando – di ridisegnare il volto del “pianeta immigrazione”. Si parla della cancellazione dei permessi umanitari, di strette sui rifugiati e sulle nuove cittadinanze, di vie accelerate per costruire nuovi centri per i rimpatri, di possibilità di chiudere nei cosiddetti “hotspot” – inglesismo usato per nascondere la realtà della prigione – per 30 giorni anche i richiedenti asilo, di un prolungamento del trattenimento massimo nei centri da 90 a 180 giorni – sono sei mesi – e della cancellazione della rete Sprar che coinvolge oltre 400 comuni e che è considerato un modello di accoglienza in Europa, la cui «abolizione – afferma l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione – appare come uno dei più folli obiettivi politici degli ultimi anni, destinato, in caso di attuazione, a produrre enormi conseguenze negative in tutta Italia, tanto nelle grandi città che nei piccoli centri, al Nord come al Sud».

E non serve avere una vocazione all’autoflagellazione per capire che se Salvini continua a predicare orrori e, nonostante ciò, vede aumentare i consensi nei sondaggi, questo vuol dire che non soltanto l’opposizione in Parlamento, ma tutti noi, siamo troppo zitti. Che siamo incapaci di ribellarci se la pretesa generale è quella di farci parlare soltanto per slogan non sostenuti da ragionamenti. Che ci eravamo illusi che il razzismo, la xenofobia, l’odio per il diverso, che noi pensavamo non esistessero più, invece, sono tornati a esplodere con tutto il loro bagaglio di violenze mentali, verbali e fisiche. Ed è agghiacciante rendersi conto che la situazione sta peggiorando ancora senza che nella maggior parte della società si avverta neppure quel rifiuto ribelle con cui aveva immediatamente reagito a quell’altro abominio che ha insanguinato soprattutto gli anni Settanta e che si chiamava terrorismo.

Oggi Salvini continua a ripetere «Prima gli italiani» e quasi nessuno si rende conto che, mutando a seconda del luogo dove lo si pronuncia il nome del popolo “superiore”, si tratta dello stesso concetto che ha dato vita a tutti i colonialismi del mondo e alle guerre tra “noi” e “loro”, sia per conquistare potere e ricchezze, sia per stabilire chi – diciamo così – è “più superiore” degli altri.

E molto dovrebbe far pensare il fatto che Salvini e Di Maio – chissà se Conte se ne accorge? – si affannino a stilare decreti che fissino come legge i loro sogni che per me e per molti altri, invece, sono incubi. Del resto non è una novità il fatto che il concetto di legalità è uno di quelli maggiormente in grado di turlupinare i distratti: legalità, infatti, significa soltanto che stiamo parlando di qualcosa conforme alla legge, ma non sempre una legge è conforme alla giustizia e, quindi, all’etica. Un esempio per tutti sono state le leggi razziste promulgate dal fascismo ottant’anni fa secondo le quali criminale era chi salvava gli ebrei e non chi li condannava a morte praticamente sicura nei Lager. Ma non serve andare tanto indietro nel tempo: basta pensare all’oggi quando un ministro che si definisce dell’Interno, ma in realtà è dell’odio e della paura, stabilisce che salvare un naufrago in mare non è più un dovere, ma diventa un delitto. Se non è barbarie questa…

E oggi, non sazi di subirla in casa nostra, mentre il PD e la sinistra sono impegnati a discutere di cene e di congressi, di correnti e segreterie, di leadership e di minuscoli interessi, stiamo rischiando di permettere che la barbarie di casa nostra sia esportata anche in tutto il continente. Eppure dovremmo ricordare la cosiddetta “svolta di Salerno”, dell’aprile del 1944, quando nel Comitato di Liberazione Nazionale fu trovato un compromesso tra tutti – ma proprio tutti – coloro che volevano sconfiggere fascisti e nazisti, accantonando temporaneamente la questione istituzionale e il possibile futuro equilibrio tra le varie forze politiche. Fu in quell’occasione che fu pronunciata per la prima volta la frase «Senza resistere non si può esistere». Uno slogan, ma assolutamente non vuoto e anzi pieno di ragionamenti e di significati. Tanto pieno che poi ha permesso di far scrivere quella preziosa Costituzione che oggi leghisti e grillini stanno allegramente calpestando e per difendere la quale in campo dovrebbero scendere di nuovo tutti. Anche coloro che hanno tentato, fortunatamente invano, di cambiarla un paio di anni fa con un sistema che oggi ci vedrebbe in una situazione ancora più pericolosa.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

Nessun commento:

Posta un commento