Forse non è un caso che nello stesso
giorno si siano concretizzati due atteggiamenti così divergenti su un
punto fondamentale per la vita sulla Terra: quello della pacifica
convivenza tra diversi, senza che l’uno debba necessariamente pensare di
soverchiare l’altro.
Da una parte il deputato grillino
Alessandro Di Battista, 36 anni, scrive (e quindi non ci sono
possibilità di interpretazioni maliziose): «Nell’era dei droni e del
totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola
arma violenta rimasta a chi si ribella». Dall’altra, in Olanda,
l’avvocato Henk Zanoli, 91 anni, proclamato Giusto tra le nazioni per
aver salvato, a rischio della sua, la vita di un bambino ebreo tra il
1943 e il 1945, sceglie, dopo aver visto morire a Gaza sotto le bombe
israeliane sei parenti del marito palestinese della nipote, di
restituire la medaglia perché «conservare l’onorificenza concessami
dallo Stato di Israele, in queste circostanze– scrive in una lettera –
sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre così come un
insulto alle ultime quattro generazioni della mia famiglia».
A parte ogni considerazione
sarcastica sul metodo delle rottamazioni decise in base all’età
avanzata, questi due atteggiamenti mettono in luce la più netta frattura
possibile tra le mentalità di due secoli diversi e tra capacità di
analisi evidentemente non uguali, perché differenti sono stati i tempi
di elaborazione di un pensiero e i presupposti etici e culturali sui
quali queste elaborazioni sono state compiute.
Da una parte un giovane che,
evidentemente per il solo fatto di essere stato eletto alla Camera, si
sente in grado di pontificare su tutto senza dover pagarne un prezzo e
che limita la sua analisi a un semplice rapporto di azione e reazione,
senza neppure considerare il fatto che quella che lui ritiene essere
un’azione in realtà può essere una reazione a un’azione precedente. E
che questo procedimento può retrocedere nel tempo in maniera quasi
infinita mettendo in luce quella solita complessità nei rapporti umani
che egli non sembra nemmeno subodorare.
Dall’altra, un vecchio che ha pagato
anche quel prezzo di rischio che nessuno gli avrebbe mai richiesto
perché sapeva che era il giusto costo da onorare per sentirsi davvero
umano e che ora non può accettare che altri, le vittime di una volta,
tradiscano quell’umanità usando con altri quella stessa disumanità di
base che era stata usata contro di loro e che impedisce di vedere che
dietro ogni nazione, religione, categoria di persone, c’è sempre una
sommatoria di singole persone con le loro storie individuali, i loro
affetti, le loro convinzioni che non possono mai essere affastellate in
un unico mucchio indifferenziato, creando quei presupposti che da sempre
sono i punti di partenza di ogni guerra.
Lascia tristi e un po’ più disperati
pensare che un rappresentante del popolo italiano non sia neppure
sfiorato da quel dilemma di coscienza che ha sconvolto e sconvolge
tantissime persone la cui mente pensante rischia di essere vittima di un
corto circuito ogniqualvolta si trova di fronte all’orrore della guerra
e a quello delle stragi etniche, oscillando in quel baratro di dubbi
che si spalanca tra il dovere di non uccidere e quello di non lasciar
uccidere.
Ed è un dilemma che può essere
risolto soltanto evitando che possa nascere, e che l’opera dell’uomo
debba limitarsi alle pur magnifiche, ma alla lunga frustranti, attività
di soccorrere direttamente, o con l’accoglienza, coloro che di queste
calamità sono vittime.
Henk Zanoli lo ha capito benissimo.
Alessandro Di Battista assolutamente no. E del resto – bisogna
ammetterlo – perché, in un Paese che da decenni nega il valore della
storia, avrebbe dovuto percepire l’importanza dell’opposizione alla
guerra se da decenni, appunto, in questa nostra Italia si sente parlare
quasi soltanto di economia, di finanza e di risultati elettorali?
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