martedì 26 febbraio 2013

La storia può insegnare alla cronaca

Poco da dire. I risultati elettorali bruciano e bruciano tanto, ma c’è la necessità di mettersi immediatamente a ragionare su come uscire da questa situazione sia per risolvere un’ingovernabilità palese a livello nazionale, sia per scongiurare il pericolo di un nuovo mandato a Tondo a livello regionale. E per fare ciò è necessario comprendere cos’è accaduto e cosa potrebbe accadere in una breve analisi che non vuole essere né definitiva, né infallibile.
Cominciamo con il Centrodestra. Ritengo sia inutile pensarci troppo: non soltanto perché non c’è nulla da spartire con loro, ma in quanto a quegli elettori  ancora disponibili a farsi imbrogliare da Berlusconi dopo vent’anni di promesse disattese e di disastri etici, sociali ed economici evidenti per tutto il mondo e per la maggior parte degli italiani, è del tutto inutile dire alcunché.
Il Centrosinistra, e il PD in particolare, continuano a non saper parlare alla gente e a non saper comunicare neppure le cose buone che riescono a fare. O, meglio, riescono a comunicarlo soltanto a chi è già dalla loro parte. In pratica ci si rivolge (non uso la terza persona plurale perché sento questo difetto fortemente presente anche in me) soltanto a un ristretto gruppo di persone, a un’elite, se vogliamo, dimenticando che la democrazia non è un’oligarchia, né un’aristocrazia di censo, di nascita, o di cultura che sia.
Il Movimento 5 stelle è una sorpresa soltanto relativa perché chi, come me, ha vissuto il Sessantotto, può capire bene che allora, davanti a un PCI onesto ma chiuso alle istanze di rinnovamento, molti avrebbero potuto votare per un movimento simile a quello di Grillo. La storia ora sembra ripetersi pari pari, ma non deve ridiventare cronaca perché quello che non si deve ripetere è l’errore che quella volta è stato fatto dai partiti dominanti: far finta che il Sessantotto non fosse esistito, o, al massimo, fare di tutto per assorbire gli esponenti di quella grande e abortita rivoluzione etica e civile, per farla finire nel nulla e per disperdere un enorme quantità di potenzialità che forse avrebbero potuto essere preziose per l’Italia.
Ho letto con attenzione l’esortazione di Dario Fo a Bersani a parlare con Grillo e ho letto con attenzione la dichiarazione di Grillo che dice di non volere il potere e di voler controllare spietatamente partiti e Parlamento. Ebbene: perché Bersani non potrebbe dire a Grillo: «Volete controllare? Benissimo: noi non abbiamo nulla da nascondere». E perché non dare a Fo un ruolo di garanzia istituzionale capace di far coniugare la protesta con le regole costituzionali, la democrazia con la pulizia e con la solidarietà?
E la parte di Monti? Che Monti prenda il posto di Casini come funambolo equilibrista capace di far convivere il diavolo con l’acqua santa in una coalizione arlecchino, mi appare come una possibilità da esorcizzare al più presto, anche se già in sé ha molti germi di dissoluzione.
Ripeto: non sono ricette, ma soltanto idee da analizzare e mettere sotto esame. Ma in fretta perché l’Italia non può restare senza governo e la Regione non può permettersi un altro disastro firmato da Tondo e dalla Lega.

venerdì 22 febbraio 2013

Non dimenticate la legge elettorale

Con questa ultima mia riflessione prima del silenzio elettorale, non mi rivolgo né ai berlusconiani, né ai leghisti, né ai loro alleati: non ho nulla da spartire con loro, né loro ce l’hanno con me. Mi rivolgo agli altri, a coloro che, in qualsiasi modo sperano che lo scempio berlusconiano e leghista sia finito e che voteranno in questo senso.
Ebbene, invito loro a ricordare che non si può purtroppo prescindere dalla vergognosa legge elettorale in vigore e che, per quanto riguarda il Senato, i voti dispersi su coalizioni che non possono vincere sono voti perduti. In Lombardia, grazie anche alla concomitanza della sfida elettorale tra Ambrosoli e Maroni, lo hanno capito benissimo e sono moltissimi ad avere dichiarato il loro voto disgiunto scegliendo Ambrosoli per la presidenza della Regione.
Un ulteriore spunto di riflessione per coloro che per il Senato intendono votare per Ingroia argomentando che il PD poi si alleerà con Monti per avere la maggioranza al Senato: mi pare ovvio che l’alleanza con Monti non sarebbe necessaria se il PD avesse una stabile maggioranza anche al Senato.
Buon voto ricordando che poi, in ogni caso, sarà assolutamente vietato lamentarsi: siamo noi i responsabili delle nostre azioni.

mercoledì 20 febbraio 2013

L’assedio e la disinfestazione

Grillo, a Milano, ha urlato: «Politici, arrendetevi! Siete circondati dagli italiani». Niente da dire: come sempre Grillo è immaginifico ed efficace e, quindi, è capace di fare breccia nel cuore di chi lo sta ad ascoltare pur promettendo una rivoluzione senza sogni, il che è assolutamente identificabile con una distruzione senza progetti di ricostruzione. È ben vero che il verbo di Grillo attecchisce soprattutto dove maggiore è stata la corruzione (Parma docet), ma è altrettanto incontestabile che la pulizia dell’aria ripulita da certa corruzione viene resa inutile dall’assenza quasi totale di progetti per far ripartire economia e società (sempre Parma docet).
Ma anche la frase «Siete circondati dagli italiani» merita un minimo di riflessione che parte con una semplice domanda: chi sono gli italiani assedianti? Sono forse quelli che finora hanno votato Berlusconi oppure Lega, oppure la miriadi di partitini postulanti loro alleati.
A un comico come Grillo, merita rispondere con un altro comico, Bisio, che a Sanremo ha messo il dito nella piaga: è vero che molti politici sono impresentabili, ma è altrettanto vero che ancor più impresentabili (e oltretutto difesi dall’anonimato) sono gli elettori che li hanno fatti arrivare in Parlamento. E che, in parte non trascurabile, continuano a votare senza pensare, continuano a votare bugiardi, ladri, approfittatori, millantatori e chi più ne ha più ne metta.
Ma il vero punto debole di Grillo (e tanti non ci pensano proprio) è che per lui sono tutti uguali; ovviamente chi non sta con lui. Grillo scientemente pratica quella generalizzazione che è estremamente comoda, che evita di fare la fatica di dover conoscere, di pensare, di ragionare e di scegliere, ma che è anche l’anticamera del razzismo perché finisce per togliere agli “altri” la vita reale, riducendoli ad astrazioni, e finendo per ammassare tutti in grandi, ipotetiche e improbabili, categorie, dimenticando, o facendo finta di non sapere, che anche la categoria in cui ci si vede incasellati è sicuramente vista con disprezzo da qualcun altro.
Invece di pensare a un assedio con successiva distruzione della roccaforte, sarebbe meglio parlare di disinfestazione capace di togliere i parassiti lasciando il mondo perfettamente abitabile.

sabato 2 febbraio 2013

L’autonomia è partecipazione

I cinquant’anni dello statuto di autonomia del Friuli Venezia Giulia inducono ad alcune riflessioni sul presente, soprattutto rapportandole al fatto che Renzo Tondo, presidente regionale uscente, dice che Roma «mortifica la nostra autonomia» e ricordando che di quella continua collaborazione esistente ai tempi di Illy e di Prodi non si è più trovata traccia nel rapporto tra Tondo e Berlusconi.
Credo che per analizzare il problema occorra dapprima ridare confini precisi al concetto di autonomia perché è evidente che nel 1963 l’autonomia non è certamente stata concessa perché in questa regione moltissimi parlano in una lingua ladina e hanno storia e tradizioni particolari. Le motivazioni vanno trovate, invece, nella geografia, che pone la nostra regione all’estremo angolo nordorientale dell’Italia, e nella storia che ha fatto nascere la Regione quando l’Est con cui noi confiniamo non aveva soltanto significati geografici, ma soprattutto politici.
Vista la caduta dei regimi comunisti e poi anche quella delle frontiere, alcuni hanno pensato che l’autonomia fosse soltanto una parola da sbandierare per lamentare la mancanza di aiuti e di privilegi. Ma non è così perché - se ci pensate - da sempre le frontiere non hanno soltanto indicato divisioni nazionali e culturali, ma hanno anche rappresentato i punti di contatto tra queste diversità postulando un’osmosi fatta di dialogo e di reciproco arricchimento. E poi hanno continuato a evolversi su questa strada trasformandosi da confini che dividevano a linee che uniscono i diversi.
È in questo senso che bisognerebbe muoversi; è in questo senso che si dovrebbe capire che ancora una volta non è il Friuli Venezia Giulia ad avere bisogno di Roma, ma Roma ad avere bisogno di questa regione; o, meglio, che Stato e Regione sono entità che proprio sull’autonomia della seconda possono trarre reciproco vantaggio. Ed è, appunto, su un piano di reciprocità che è necessario riprendere a camminare dopo la cesura che si è verificata in quest’ultimo quinquennio per disinteresse di che governava a Roma e per scarsa autonomia politica personale di chi a Trieste doveva valorizzare l’autonomia regionale. Il patto siglato tra Bersani e Serracchiani fa ben sperare che la direzione di marcia finalmente torni a essere quella giusta.
Dico “valorizzare” e non “difendere” l’autonomia regionale perché questa, se ben sfruttata in un necessario sforzo di internazionalizzazione e di europeizzazione, diventa una ricchezza per tutti.
Insomma, l’autonomia non può e non deve essere isolamento e neppure lamentosa opposizione. L’autonomia, per dirla con Giorgio Gaber, deve essere partecipazione.