sabato 31 luglio 2021

La parola che manca

CovidQuesto “Eppure…” sarà sicuramente definito “divisivo”, ma la cosa non mi infastidisce perché, anzi, tendo a considerarla come un complimento. È ben vero, infatti, che le cose che dividono fanno individuare gli avversari, ma, contemporaneamente, anche coloro che ci sono vicini, che condividono i nostri valori e ideali, le esigenze e gli obbiettivi. E, del resto, è l’unire più che il dividere a creare le partizioni, a indurre a prendere parte, a diventare partigiani, aderendo a quei partiti che tanti oggi vituperano, ma che sono le organizzazioni politiche che hanno permesso il pur incostante progresso della società e che ora sono in netta crisi davanti a un mare di indeterminatezze nei valori e di personalismi che vivono e prosperano proprio grazie all’eclisse delle cosiddette ideologie che, tra l’altro, non necessariamente erano estremistiche.

Comunque, durante il primo lock-down questo blog ha ospitato per 52 giorni consecutivi “Le parole del virus” con dei testi che poi, assieme ad alcuni saggi del professor Ugo Morelli, sono andati a formare il libro “Virus. Il grande esperimento”, sottotitolato “Noi umani al cambio di un’epoca”, edito da KappaVu. Ebbene, in ogni presentazione, in rete o in presenza, c’è stata sempre una domanda: «C’è qualche parola che rimpiange di non aver inserito nell’elenco?». La risposta, invariabilmente, è stata sempre la stessa: «Sì. La parola che vorrei aver inserito è “omicidio”». E sempre c’è stato qualcuno che ha trovato esagerato pensare a questa parola legandola ai nostri comportamenti in tempo di pandemia.

Oggi, mentre la variante Delta fa aumentare nuovamente contagi, ricoveri, terapie intensive e morti, assistiamo a ripetute e deliranti manifestazioni no-vax e a non infrequenti sconfinamenti nell’intolleranza; sentiamo qualche plagiato che straparla di «dittatura sanitaria» e addirittura azzarda paragoni blasfemi con quello che è successo ad Auschwitz, perché gli si dice di usare la mascherina se è a contatto con altre persone; le cronache raccontano che addirittura molti accampano un teorico diritto di rifiutare un tampone che, se positivo, potrebbe rovinare loro le vacanze; e intanto Salvini, Meloni e altri incoscienti, si oppongono all’obbligo del green pass per poter accedere a luoghi chiusi in cui c’è molta gente, con la segretaria di Fratelli d’Italia che addirittura dice che «l’obbligo dell’uso del green pass nuocerebbe al turismo» lasciando capire che per lei la vita di una persona è decisamente meno importante del pur fondamentale settore turistico.

Perché di questo si tratta. E sarebbe ora di dirlo con chiarezza, anche e soprattutto a livello politico: chi contagia gli altri perché non ha ottemperato alle disposizioni sanitarie, o non ha voluto usare di strumenti di protezione attiva e passiva a disposizione in quel momento, si rende responsabile di mettere a repentaglio la vita altrui; purtroppo in molti casi degli oltre 125 mila totali, di aver causato la morte di altri esseri umani.
Poi è evidente che non si tratta di omicidio premeditato e – spero – neppure preterintenzionale, ma colposo sicuramente sì. Anzi, lo paragonerei all’omicidio stradale che prende corpo se uccidi qualcuno non rispettando le regole del comportamento comune che, in quel caso, è rappresentato dal Codice della strada.

Ed è altrettanto chiaro che nei primi mesi del 2020 ben pochi sapevano cosa stesse succedendo, che i vaccini non esistevano ancora e che sono stati tantissimi quelli che, pur in assoluta buona fede, hanno finito per essere veicoli involontari dell’infezione da Cvid-19. Ma tutto questo non vale per chi non accetta di vaccinarsi, per chi rifiuta l’uso della mascherina, per chi schiva i tamponi e le quarantene, per chi pensa di guadagnare qualche voto opponendosi all’uso del green pass e richiamandosi alla parola “libertà” che, invece, è soltanto arbitrario egoismo, perché la propria libertà è tale soltanto se non va a tarpare la libertà altrui tra le quali quella di vivere è la più importante.

È vero: non ci sono leggi che regolamentino la diffusione delle pandemie, se non in caso – e questo non lo è – di deliberato dolo e comunque sarebbe sicuramente difficile provare legalmente il passaggio del virus da un vettore all’altro, ma vi domando: se voi sapeste che, per leggerezza o comodità, avete portato l’infezione in una casa di riposo, o in un altro tipo di comunità, provocando la morte di decine di persone, vi sentireste a posto soltanto perché la legge non può raggiungervi, oppure sareste schiacciati dal rimorso?

È una domanda semplice, ma importantissima perché, almeno per me, il tipo di risposta è il discrimine per capire se chi risponde è un essere umano, o ne ha soltanto le sembianze.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/


venerdì 2 luglio 2021

La neutralità non esiste

Quando sentite qualcuno dire «Non faccio politica; non sono né di destra, né di sinistra», dovete stare attenti: o sta cercando di fregarvi, o vi ha già fregato, oppure è un “minus habens” che non sa quello che sta dicendo. La neutralità non esiste, o, dovesse esistere, sarebbe da condannare con decisione.

Il concetto della truffa è stato ben condensato nella pubblicità che ha accompagnato la nascita, ben più di mezzo secolo fa, di un quotidiano che ha avuto momenti di gloria: “Il Giorno”. Lo slogan era «I fatti separati dalle opinioni». Ma era uno slogan coniato dai pubblicitari e mai condiviso da nessuno dei giornalisti che vi hanno lavorato tra i quali ho avuto l’orgoglio di essere per un po’ di anni corrispondente regionale. «Noi raccontiamo i fatti – si diceva – ma non tagliamo i sentimenti, i valori, le convinzioni: non faremmo giornalismo. E non perché il giornalismo nasca per educare, ma perché se non educa finisce inevitabilmente per diseducare».

A riportare in primo piano questa realtà è stato il calcio, o per essere più precisi, la nostra nazionale di calcio che, non riuscendo a mettersi d’accordo sull’inchinarsi, o meno, contro il razzismo prima del fischio d’inizio delle partite, ha curiosamente deciso di seguire quello che fa la squadra contro cui gioca, «per rispetto dell’avversario».

Lasciamo pur perdere che la nostra nazionale di basket, invece, si inginocchia comunque a prescindere dai pensieri dell’avversario, ma la motivazione dei calciatori appare decisamente curiosa. Il pensiero dell’avversario è più importante del proprio? Si può essere neutrali davanti a una realtà come quella del razzismo? Non è forse lecito che ognuno, come Costituzione prescrive, possa esprimere il proprio parere senza doverlo sottoporre al giudizio della maggioranza della squadra?

Per non fare polemiche prima della partita contro il Belgio si è preferito mettere la sordina alla questione, ma a riportarla in primo piano sono stati i ragazzi neofascisti del “Blocco studentesco”, movimento giovanile di Casapound, che hanno copiato il murale di Harry Greb che aveva raffigurato un giocatore della nazionale italiana in versione Subbuteo inginocchiato e con il pugno chiuso e alzato in omaggio al movimento “Black lives matter” (le vite nere meritano) e lo hanno affiancato a un loro disegno in puro stile ventennio, con tanto di saluto romano e affiancato alla scritta «Resta in piedi».

Non fosse bastata la dichiarazione di Salvini che incitava gli azzurri a non inginocchiarsi, ora i fascisti fanno ben capire che l’inginocchiarsi, o il non inginocchiarsi hanno significati etici ancor prima che politici ben definiti.

Probabilmente i calciatori pensano che, a seconda del loro atteggiamento, perderanno il tifo di qualche fascista, o di qualche antifascista e quasi sicuramente hanno ragione. Ma sta di fatto che lo sport è da apprezzare se fa parte del mondo e, quindi, se partecipa alle sue gioie e alle sue disgrazie, ai suoi pregi e ai suoi difetti. Altrimenti diventa un qualcosa di staccato dalla realtà, una specie di videogioco nel quale riesce difficile pensare di fare il tifo per qualche figurina elettronica che si muove sullo schermo senza sentimenti.

Prendere parte, essere partigiani, porta con sé sempre qualche rischio, piccolo o grande che sia. Ma è la stessa vita a essere rischiosa. La neutralità non soltanto non esiste: non è nemmeno umana.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/