giovedì 29 aprile 2021

Acrobazie non riuscite

Duello Ho sempre pensato, detto e scritto che Fabrizio Cigolot, assessore alla Cultura del Comune di Udine, è la faccia presentabile di una giunta che personalmente ritengo impresentabile, sia dal punto di vista politico, totalmente diverso dal mio, sia da quello amministrativo visto che, alla fine, l’amministrazione Fontanini sarà ricordata quasi esclusivamente per i tantissimi interventi di sistemazione di strade e marciapiedi, con soldi già esistenti in cassa, e resi disponibili dalla cancellazione del Patto di stabilità, ma anche per la rigidità sociale di stretta fede leghista, con un’unica eccezione che consiste nella recente attribuzione della cittadinanza onoraria a Patrick Zaki.

Però l’assessore Cigolot, assolutamente inappuntabile quando interviene a manifestazioni, convegni, presentazioni e dibattiti, è molto meno apprezzabile quando tenta di difendere quelli che ha accettato come compagni di viaggio con acrobazie verbali che, come buona parte delle acrobazie, rischiano di concludersi con cadute rovinose che non possono non lasciare ammaccato chi le tenta.

I fatti. Giancarlo Velliscig ha deciso di riportare temporaneamente nel capoluogo friulano, al Palamostre, Udin&jazz che aveva spostato nel 2018 a Grado proprio in segno di assoluta lontananza dall’amministrazione Fontanini. «Non si tratta di una diversità di vedute politiche con l’attuale amministrazione – chiarisce il presidente di Euritmica – si è andati oltre, violando le norme della Costituzione. Ho avuto per quarant’anni rapporti con amministrazioni di ogni colore politico, ma quanto accaduto a Udine non l’avevo mai visto. Non ce l’abbiamo né con la città, né con i suoi cittadini, ma soltanto con chi siede a palazzo D’Aronco». E il riferimento è esplicito agli esponenti della Lista Salmé, di estrema destra, anche se non più presenti in giunta. «C’è il rischio – aveva detto nel 2018 Velliscig – di sdoganare il fascismo istituzionalizzandolo».

Cigolot, dal canto suo ha risposto puntando su due argomenti. Per prima cosa chiede a Velliscig: «Ci dica quali atteggiamenti tenuti, o quali decisioni assunte in questi tre anni di gestione politico-amministrativa della giunta Fontanini sono stati ispirati dalla destra estrema», aggiungendo che «non sarebbero compatibili con il profilo politico del sottoscritto». Nel secondo ricorda che il Palamostre è «una struttura sostenuta economicamente dal Comune di Udine» e che se Velliscig «manterrà quella location si dimostrerà contraddittorio rispetto alle sue esternazioni». Ma, non contento, insiste: «Se ritiene che le amministrazioni di centrodestra siano così poco condivisibili, allora rinunci anche ai lauti contributi che gli sono stati concessi dalla Regione Friuli Venezia Giulia».

Ecco, in questo botta e risposta, mi pare evidente che sul primo punto abbia ragione Velliscig, mentre sul secondo abbia torto Cigolot. Mi spiego.

Sul primo punto non ho il minimo dubbio che i sentimenti di Cigolot siano totalmente distanti da quelli dell’estrema destra, ma non ho la stessa convinzione per tutti i suoi compagni di viaggio e, inoltre, è cronaca e non ipotesi il fatto che senza l’appoggio elettorale di un’estrema destra neofascista – da qui il giusto accenno di Velliscig alla Costituzione e all’articolo 12 delle Norme transitorie e finali – Fontanini non sarebbe riuscito a vincere. Poi è vero che non ci sono state decisioni ultraestremistiche, ma l’atteggiamento della maggioranza in moltissimi frangenti è stata improntata a quella mancanza di umanità nei confronti degli ultimi che è il tratto caratteristico di Salvini, colui al quale i leghisti fanno riferimento. I peccati originali, comunque, esistono e non c’è alcun smacchiatore etico che possa cancellarli.

Dove Cigolot ha torto, invece, è il punto nel quale tira in ballo l’uso del Palamostre e la “concessione” dei contributi regionali. Qui gli errori sono decisamente gravi e si sommano tra loro provocando una frana, più che una caduta. Per prima che il Palamostre sia di proprietà del Comune, e quindi, dei cittadini di Udine, non significa che sia proprietà del sindaco e della sua giunta, ma soltanto che a loro, a meno non sia data in concessione, proprio come avviene, tocchi gestirlo. Stessa cosa per i «lauti contributi che gli sono stati concessi» dalla Regione che – merita ricordare anche questo – non è la proprietaria dei soldi che gestisce e che sono, invece, dei cittadini che le hanno dato la delega a gestirli. Quindi non si può parlare né di “concessione”, come si trattasse di una graziosa regalia, né si può tirare in ballo, come sembra fare Cigolot, la necessità di una “corrispondenza di politici sensi”, né da una parte, né dall’altra, per l’assegnazione di contributi che dovrebbero rispondere esclusivamente a criteri di utilità per la popolazione e di merito per chi questi servizi produce.

Personalmente mi spiace molto che Cigolot abbiadetto queste cose, ma ancor di più mi spiace che Udine sia costretta a continuare a essere amministrata da questa giunta e che, almeno al di fuori del Consiglio comunale, non si veda ancora uno sforzo politico deciso per ridare alla città una guida apprezzabile.

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martedì 27 aprile 2021

Resistenza contro l’ipocrisia

Draghi Un 25 aprile senza manifestazioni pubbliche e cortei può apparire indebolito, svuotato dei suoi significati più profondi, dell’insegnamento che se un popolo lotta davvero per i suoi diritti, nessuno alla fine potrà sottrarglieli. Eppure questa seconda Festa della Liberazione celebrata in tono apparentemente minore a causa delle limitazioni imposte dal Covid, ci ha dato grandi momenti di riflessione che dovranno, o almeno dovrebbero, accompagnarci nel prossimo futuro.

Cominciamo dal presidente del Consiglio, Mario Draghi, che, se in certi comportamenti non ha assolutamente convinto, in altri non è stato inferiore alle pur pretenziose attese e in altri ancora ha saputo sorprendere tutti, come quando, dopo la visita al museo della Liberazione di via Tasso, a Roma, ha affermato che «constatiamo con preoccupazione, l’appannarsi dei confini che la storia ha tracciato tra democrazie e regimi autoritari, qualche volta persino tra vittime e carnefici; vediamo crescere il fascino perverso di autocrati e persecutori delle libertà civili, soprattutto quando si tratta di alimentare pregiudizi contro le minoranze etniche e religiose». E ha proseguito spazzando via in un colpo solo decenni di ipocrisie sia da parte di chi voleva appropriarsi anche della Resistenza, sia da parte di quelli che, pur di non avere problemi, tacevano il fatto che la Resistenza non è di tutti, non può essere di tutti. Ha affermato, infatti, che «dobbiamo anche ricordarci che non fummo tutti, noi italiani, “brava gente”. Dobbiamo ricordare che non scegliere è immorale».

E a proposito di dire le cose come stanno, a non molta distanza Papa Francesco, dopo aver ricordato che «130 migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto: un aiuto che non è arrivato», stava dicendo che «È il momento della vergogna! Preghiamo per questi fratelli e sorelle e per tanti che continuano a morire in questi drammatici viaggi. Anche preghiamo per coloro che possono aiutare, ma preferiscono guardare da un'altra parte. Preghiamo in silenzio per loro».

Forse è stata proprio la lontananza dai discorsi ufficiali pronunciati davanti a grandi quantità di gente a permetterci di non sentire i tanti discorsi vuoti di coloro che vorrebbero cancellare i ricordi dei misfatti perpetrati dal nazifascismo, o che stupidamente spererebbero di annacquarli ricordando invariabilmente che nella terribile storia dello scorso secolo ci sono state anche le foibe, o di coloro che mendicano voti evitando di prendere posizioni nette, rinunciando a pensare e anche ricacciando indietro una vergogna che non possono non sentire.

Sia Draghi, sia Francesco hanno ribadito la medesima conclusione: non si può non scegliere. O si è fascisti, o non lo si è. E se non lo si è, non si può fare a meno di combattere la disumanità di quel credo che mi ripugna definire “politico”. Non si può farne a meno perché il silenzio altro non è che complicità, perché il delegare ad altri i propri doveri forse non è illegale, ma sicuramente non è umano. Perché accettare di mantenere le proprie posizioni grazie al sostegno di nostalgici del fascismo e del nazismo è accettare di dividere le responsabilità di quello che può accadere.

Per capirci, è possibile che non si sentano corresponsabili delle migliaia di morti in mare coloro che sorridono quando Salvini riesce a bloccare le operazioni di soccorso in mare, o quando poi, Minniti da una parte e Di Maio e l’Europa dall’altra, raccontano sfilze di falsità per tentare di convincere altri e per far tacere la propria coscienza?

Tra tutti i diritti, quello alla vita è il diritto fondamentale e, come tutti i diritti, è tale soltanto se è un diritto di tutti. Altrimenti diventa un privilegio. E quelli che tentano di attraversare il Mediterraneo non hanno meno diritto di vivere di qualunque altro essere umano.

Draghi, nel suo discorso, ha avuto ragione in tutto, tranne che nell’uso del tempo: nel «non fummo tutti, noi italiani, “brava gente”» il passato remoto avrebbe dovuto essere sostituito con il presente.

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sabato 24 aprile 2021

C’è ancora bisogno di Resistenza

Resistenza Talvolta potrebbe venire il dubbio che sarebbe meglio cancellare dalla memoria la parola fascismo ed eliminare ogni possibile riferimento che possa farla tornare alla memoria. Idea apparentemente bizzarra, d’accordo, soprattutto se espressa in coincidenza con la ricorrenza del 25 aprile, anniversario della Liberazione dal tallone del nazifascismo, ma forse potenzialmente utile.

Cerco di spiegarmi. L’articolo 12 delle Disposizioni transitorie e finali della nostra Costituzione recita: «È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista». Ineccepibile, ma da quella volta a oggi questo articolo è stato immancabilmente interpretato in maniera restrittiva affermando implicitamente che l’importante non è pensare da fascisti, comportarsi da fascisti, inneggiare da fascisti, fare violenza da fascisti, ma soltanto costituire un partito che sia organizzato come il fortunatamente sconfitto e cancellato Partito nazionale fascista.

E così per decenni abbiamo assistito a parole, comportamenti, inni, manifestazioni, violenze, tentativi eversivi, attentati vigliacchi e sanguinosi compiuti da fascisti, spesso addirittura in camicia nera, con il braccio teso nel teorico saluto romano, accompagnati dalle parole e dalle note di inni di cui dovrebbe essere vietata qualunque riproposizione, come in Germania è proibita la riproposizione di quelli nazisti.

E se qualcuno ha osato alzare il dito accusatore contro quei gruppi si è sempre sentito rispondere: «Fascisti noi? Ma per piacere», specificando di seguito in quali particolari non assomigliavano al fascismo del cavalier Benito Mussolini e che, quindi, non potevano essere accusati di “riorganizzazione”.

Se la parola “fascismo” non esistesse più, non avrebbero più alibi e potrebbero essere semplicemente accusati di alcuni dei tanti reati comuni che nascono dalla disumanità.

Così tutto è sempre passato senza grande interesse da parte della magistratura che praticamente mai vi ha visto quella “riorganizzazione” che, invece, appariva evidente ai più, e, purtroppo, anche senza eccessivo sdegno della popolazione che in buona parte ha sempre pensato che il rischio di un ritorno del fascismo appartenesse più al mondo della fantapolitica che a quello della realtà.

Purtroppo così non è stato e i partiti che dentro di sé nutrono grandi parti delle ideologie fasciste si sono almeno duplicati, e addirittura sono entrati al governo, opponendosi, purtroppo con successo, alla promulgazione di leggi contro le discriminazioni, praticando razzismi e disumanità assortite, assistendo quasi con soddisfazione alla morte in mare di migliaia di esseri umani, continuando a dileggiare la democrazia e a essere talmente penetranti davanti a una sinistra sempre più incerta e tremebonda, da minare addirittura la base stessa della democrazia con la teoria che la velocità nelle decisioni è più importante che il ragionamento dibattuto e, quindi, indirizzando tutta la politica alla ricerca dell’“uomo forte”, magari incapace di qualunque disegno strategico, ma apparentemente “forte”.

Poi arriva il 25 aprile, anche se il Covid per la seconda volta ci sottrae il piacere di celebrarlo insieme, e ci si trova ancora davanti a figuri che propongono di cancellare questa ricorrenza perché «divisiva», come se essere divisi dai fascisti potesse avere in sé qualcosa di sgradevole; perché non ha senso ricordare le cose brutte e allora non si capisce perché loro ricordino ancora tutte le orrende leggi fasciste, da quelle razziste in giù; perché «ormai destra e sinistra non esistono più» e allora non capisci come mai loro siano ancora lì, davanti ai nostri occhi.

E allora, ancora una volta ti rendi conto che il 25 aprile non soltanto non è da cancellare, ma, anzi, è da celebrare con ancora maggiore forza perché fa ricordare e rendersi conto che la Resistenza è ancora attuale, che l’uomo, se lo vuole davvero, può spazzare dalla terra qualsiasi forma di schifezza, ogni fascismo e ogni suo turpe rigurgito. Se lo vuole, ovviamente e se si rifiuta di cancellare la memoria e di dare spazio a quell’ipocrisia che, oltre a rendere inutile l’articolo 12 delle Disposizioni transitorie e finali della nostra Costituzione, continua a mettere in pericolo la democrazia nel nostro Paese.

Il 25 aprile è una festa nella quale è bello stare insieme, ma in cui ci si deve anche rendere conto che ognuno dei componenti di quella folla che si riuniva e si riunirà nelle piazze e nei cortei, deve fare la propria parte, in prima persona, senza deleghe, perché l’orrore di quel ventennio non possa mai tornare a galla.

Buon 25 aprile a tutti quelli che lo meritano.

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domenica 18 aprile 2021

Due pesi e due misure

Zaki Sarà anche l’uomo della provvidenza e sicuramente continueremo a fare il tifo per lui mentre si dà da fare per gestire i problemi legati alla pandemia: dalle vaccinazioni alla gradualità di quelle riaperture che Salvini vede come cespite di voti mentre la maggior parte degli scienziati le guarda come un rischio pazzesco e come la dimostrazione che non sempre dall’esperienza si impara qualcosa; dalla necessità di aiutare coloro che ne hanno bisogno, allo studio di come affrontare il peso di un debito pubblico per il quale bisognerebbe inventare un superlativo di gigantesco.

Ma per il resto Mario Draghi non appare certamente il presidente del Consiglio dei sogni. Ci sono già stati alcuni intoppi sul suo cammino da inquilino di palazzo Chigi, ma quello che è accaduto nella conferenza di venerdì mi appare francamente sconcertante sotto diversi punti di vista.

Davanti alla domanda se il governo italiano, come richiesto dal Senato con un ordine del giorno quasi unanime, concederà la cittadinanza italiana a Patrick Zaky, il giovane ricercatore egiziano che studiava a Bologna e che ora si trova in carcere in Egitto da oltre un anno, oggetto di accuse risibili e senza essere mai stato giudicato, Draghi ha risposto: «Quella su Patrick Zaky è un'iniziativa parlamentare in cui il governo non è coinvolto, al momento». Una frase che lascia terribilmente perplessi sotto molti punti di vista.

Il primo riguarda la sensibilità democratica e istituzionale di Draghi stesso. In una democrazia parlamentare e rappresentativa, quale significato ha separare le iniziative del Parlamento che rappresenta i cittadini che lo hanno eletto dalle azioni del governo? Forse che Draghi e i suoi ministri, una volta designati, non hanno più obblighi nei confronti di coloro che hanno votato loro la fiducia? O pensa che questa fiducia, più che essere illimitata, diventi una licenza assoluta di fare ciò che si vuole senza dover rendere più conto al Parlamento e, quindi, ai cittadini? Oppure, con quel «al momento», si ritiene che tra tutto quello che decide il Parlamento si debba tenere conto soltanto delle cose che fanno comodo stabilendo così una specie di primato del potere esecutivo su quello legislativo e andando a minare ulteriormente quell’equilibrio tra i poteri voluto dalla Costituzione e già messo più volte in pericolo nella storia degli ultimi decenni della Repubblica?

Non meno importanti sono i dubbi legati alla sensibilità personale del presidente del Consiglio, una sensibilità che non è richiesta ufficialmente da alcuna legge, ma che da sempre è fondamentale se si vuole sperare che chi può decidere agisca nella direzione di quella umanità e solidarietà che, nonostante gli sforzi di molti degli esponenti politici che ammorbano telegiornali, talk show, giornali di carta e notiziari web, continuano a essere molto diffusi in una popolazione che non manca quasi mai di spendersi con un volontariato diffusissimo per ammorbidire gli acuminati spuntoni dei drammi di chi ha bisogno di aiuto.

Il terzo grande dubbio riguarda il fatto che Draghi non appare coerente con se stesso perché usa due pesi e due misure. Tanto è stato giustamente trasparente quando ha citato Erdogan chiamandolo “dittatore”, tanto appare ipocrita nel silenzio con il quale accompagna ogni suo riferimento ad Al Sisi e al suo regime. Se ha voluto allontanare le responsabilità del governo dalla concessione della cittadinanza a Zaki, è probabile che lo abbia fatto per i conosciuti grandi interessi economici, soprattutto in termini di armamenti, con l’Egitto. E in questo caso la sua statura morale e politica non può essere considerata molto diversa da quella del suo ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che appare come un dannoso fantasma annuente sul difficile palcoscenico del Mediterraneo.

Ultima considerazione, che è anche una domanda: se Draghi finisce per cedere alle voglie di Salvini di autoproclamarsi “vincitore”, forse anche per il timore di indebolire la maggioranza, perché si comporta diversamente davanti alle richieste della sinistra (ormai piccola e residuale nelle aule parlamentari, ma non così nel Paese)? L’uso di due pesi e due misure è soltanto Realpolitik, oppure semplicemente tranquilla convinzione che la sinistra e i suoi vicini non abbiano più il coraggio di sostenere con i fatti le proprie idee e i propri valori?

Anche il PD dovrebbe meditare su questi fatti; ma non, come sempre, tanto a lungo da non arrivare mai ad alcuna conclusione.

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giovedì 15 aprile 2021

Un dibattito monco

vaccino Il tumultuoso dibattito che ha accompagnato, accompagna e continuerà ad accompagnare la somministrazione del vaccino AstraZeneca, ora si è inevitabilmente esteso, e si allargherà ulteriormente, anche al Johnson&Johnson.

Da una parte continueranno a schierarsi, oltre ai soliti novax e ai complottisti, anche coloro che considerano insicuri questi ausili anti-Covid realizzati dalla scienza in tempi così ridotti da sembrare fantascientifici; dall’altro gli scienziati continueranno a sgolarsi nel ripetere che nessuna medicina, nemmeno l’aspirina, è priva di rischi e che, rispetto a questi vaccini, rischiamo molto di più ogni volta che usciamo di casa, sulle scale, per strada, in automobile o a piedi, in treno o in aereo. Eppure lo facciamo senza pensarci. E ripetono anche – e indubbiamente a ragione – che le migliaia di persone che da gennaio in qua hanno perso la vita nel nostro Paese, se fossero state vaccinate, oggi sarebbero praticamente tutte ancora qui con noi.

Ma dall’altra parte per molti il timore istintivo della sfortuna resta più forte di ogni ragionamento e a ben poco serve ripetere che se in Italia si vaccinassero tutti i 60 milioni di abitanti, neonati compresi, e se fosse vero che certe morti per trombosi dipendono davvero dall’iniezione antivirus, a tenere per buone le percentuali tra vaccinati e casi di decessi sospetti, i morti nell’intera penisola per causa vaccinale, sarebbero all’incirca cinquanta, almeno mille volte meno dei decessi già causati dal virus nella seconda ondata.

Però quello che colpisce è che questo acceso e quotidiano dibattito è quasi sempre clamorosamente monco: manca, infatti, una parte importante non soltanto per indirizzare le scelte di ognuno, ma soprattutto perché illustra tangibilmente come sia cambiato il nostro mondo. A latitare totalmente, infatti, è la considerazione fondamentale che maggiore è il numero dei vaccinati, minore diventa la possibilità per il virus di contagiare altri esseri umani.

Se, come più volte abbiamo detto, ci troviamo in una fase di snodo, in un momento in cui necessariamente sta avvenendo un cambio di epoca, va sottolineato che le previsioni non possono essere certamente rosse: l’“io” ha riconquistato molti punti sul “noi”. Ce n’eravamo già accorti da moltissimi cambiamenti politici e sociali, ma questo, e soprattutto il fatto che neppure se ne parli, sembra essere una conferma con poche speranze di appello.

Ancora una volta abbiamo dimenticato il significato evangelico della parola “prossimo” alla quale spesso si dà un valore divergente dalla sua sostanza etimologica. Ci si ricorda della frase «Ama il prossimo tuo come te stesso» e inevitabilmente si pensa a questo prossimo come a una persona lontana, diversa, per amare la quale bisogna sforzarsi e sacrificarsi un po’. E invece “prossimo” significa davvero “vicino” in quanto tutti gli esseri umani sono come fossero vicini a noi.

Il caso del Covid è esemplare: pensare a evitare di poter contagiare il prossimo non significa, infatti, soltanto difendere chi si incontra magari per caso, ma vuol dire anche e soprattutto ergersi per prima cosa a baluardo delle persone con cui si vive, che si amano e da cui si è riamati, della cui malattia, o addirittura della morte, non si vorrebbe mai essere, sia pur involontariamente, responsabili..

Forse proprio pensando a questo si può cominciare a percepire che la differenza tra “io” e “noi” è determinante per indirizzare il futuro non soltanto della specie, ma anche del nostro minuscolo, e pur importantissimo, intorno.

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