venerdì 26 febbraio 2021

Che giorno dopo la “nuttata”?

TopolinoIl dubbio è più che legittimo: Matteo Salvini è ignorante, oppure punta sul fatto che ignoranti siano coloro che lo ascoltano? A sentirlo mentre spiega che parlare di chiusure per Pasqua a causa della pandemia «non mi sembra rispettoso per gli italiani», una terza via non sembra proprio possibile. Come si può parlare, infatti, doi rispetto, o di mancanza di rispetto per un provvedimento che mira a limitare il numero dei contagi e, quindi, delle centinaia di morti causate ogni giorno dal Covid?

Qualcuno dirà che ce l’ho con la Lega. Non è sbagliato, ma del resto, al di là delle idee politiche diametralmente opposte e pur ricordando che di Toninelli se ne trovano in ogni partito, sta di fatto che la Lega non solo naviga da sempre nelle primissime posizioni di questa corsa alla pochezza culturale, ma che esplicitamente non soltanto se ne disinteressa, ma addirittura tende a farne un vanto. Come si potrebbero spiegare altrimenti le scelte di alcuni sottosegretari?

Prendete Rossano Sasso, sottosegretario leghista all’Istruzione, che pochi giorni prima della nomina, con l’evidente scopo di mettersi in mostra, ha pensato bene di citare Dante Alighieri attribuendogli la frase «Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto». E, infatti è un Dante a pronunciare questa frase che, tra l’altro di italiano del Duecento e di stile dantesco non ha proprio nulla, ma non si tratta del Dante della Divina Commedia, bensì di quello de L’Inferno di Topolino, una storia disneyana in cui il Mickey Mouse impersona il sommo poeta, apparsa tra il 1949 e il 1950 e poi ristampata varie volte di cui l’ultima poco meno di un anno fa. Nel XV canto, ma non in quello dantesco, bensì soltanto del poema a fumetti, infatti, Topolino-Dante legge questa frase incisa su una pietra all’uscita del girone in cui piove fuoco per punire coloro che predicano bene, ma razzolano male.

Anche per Mussolini, che si era fermato alla prima metà della frase incriminata, a suo tempo si era tentato inutilmente di trovare addentellati con qualche opera letteraria, mentre Totò l’aveva usata per il titolo di un suo film, ma senza minimamente pensare di andare a disturbare il riposo del poeta.

Si dirà che può capitare a tutti di sbagliarsi. È vero, ma non tutti poi sono premiati con un sottosegretariato. E tantomeno all’istruzione.

E se Istruzione e Cultura sono parenti stretti, allora perché non infierire anche sulla Cultura donando un sottosegretariato alla leghista Lucia Bergonzoni, quella che, dopo aver perso le elezioni comunali di Bologna, ha perduto anche quelle regionali dell’Emilia Romagna. Ma a fare specie sulla sua nomina non sono i suoi insuccessi elettorali, bensì il fatto che tre anni fa, mentre occupava lo stesso posto di oggi nel primo governo Conte, aveva dichiarato con orgoglio: «Non leggo un libro da tre anni. Magari adesso andrò di più al cinema e al teatro». Insomma un posto al ministero non per amministrare e, magari insegnare, ma soprattutto, se avanza tempo e voglia, per imparare. E, per dare contorni culturali ancora più definiti al personaggio è bene anche ricordare che indicò senza esitazioni il Trentino, tra le regioni confinanti con l’Emilia Romagna.

Si potrebbe anche prenderla in ridere, ma le considerazioni non possono fermarsi a questi personaggi perché è l’intero panorama politico italiano a fornire un quadro culturalmente desolante e forse sarebbe il caso di ricordare che per risolvere problemi complessi occorre avere una preparazione approfondita e vasta che dia la possibilità di affrontare sfide per le quali la cultura può non bastare, ma nelle quali senza cultura è del tutto inutile sperare di non uscirne con le ossa rotte.

È da anni che penso e dico speranzosamente che questa maledetta notte che stiamo attraversando – la “nuttata” di Eduardo De Filippo – dovrà pur finire. Ma adesso mi si affaccia alla mente un nuovo timore: cosa succederà quando la notte finalmente passerà se comincerà un giorno popolato e indirizzato da questi figuri? Sarà migliorato davvero anche soltanto qualcosa?

Sta diventando sempre più urgente pensare a ricostruire una classe politica capace e onesta, ma anche in grado di organizzarsi in partiti che non siano più piccoli feudi nei quali ancor più piccoli feudatari combattono tra loro, ma tornino a essere organizzazioni democratiche e politiche capaci, ognuna dal proprio punto di vista, di cercare di far progredire la società e i suoi componenti.

Altrimenti tra “nuttata” e giorno la differenza non sarà assolutamente avvertibile.

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mercoledì 17 febbraio 2021

Una semplice domanda

Niente di nuovo sotto il sole politico italiano: un governo che non può entusiasmare non foss’altro perché ha in sé tutto e il contrario di tutto; un presidente del consiglio al quale fino a ieri si guardava con diffidente ammirazione e dal quale oggi si pretendono poteri taumaturgici; una disinvolta capacità di moltissimi di cambiare apparentemente bandiera in tempi brevissimi; un’attenzione spasmodica da parte di quasi tutti i partiti ai sondaggi ben prima che alle necessità degli elettori che hanno il compito di rappresentare. L’unica novità – che però non porta allegria – è rappresentata dal fatto che questa volta parte del governo attacca il resto del governo prima ancora che il governo stesso abbia ottenuto la fiducia dalle Camere.

Il primo e violentissimo scontro, mentre le varianti del virus proiettano ombre sinistre su una situazione pandemica che non migliora come si sarebbe voluto, riguarda la proibizione di riaprire gli impianti di risalita e, quindi, in pratica, la definitiva cancellazione della stagione sciistica di questo nevoso inverno. È innegabile che aver deciso il prolungare fino al 5 marzo la chiusura a poche ore soltanto dalla proclamata riapertura è stato un errore clamoroso perché ha comportato la perdita di fatiche, spese e investimenti da parte di albergatori, ristoratori, maestri di sci e categorie in genere impegnate con le vacanze invernali. Ma è anche chiaro che la responsabilità della decisione ricade sulle spalle dell’intero governo uscente e non soltanto su quelle del ministro Speranza che già da tempo, seguendo le indicazioni del comitato scientifico, chiedeva misure più drastiche, sempre osteggiato dai presidenti di varie regioni, oltre che da alcuni ministri che evidentemente avevano più peso di Speranza nelle decisioni di Conte.

Ma il ritardo nell’annuncio dello stop è l’unico argomento sul quale si può discutere. Farlo sulla sostanza della decisione è davvero un non senso perché, a parer mio, per mettere fine a ogni discussione basterebbe porre agli appassionati dello sci una semplice domanda: “Saresti disposto a morire, o a perdere un figlio, un coniuge, un genitore, un parente, un amico, o anche un conoscente, pur di poterti fare una sciata?”. Perché non è mica detto – e in molti lo abbiamo già amaramente constatato – che la morte vada a colpire soltanto lontano da noi. Oppure, sostituendo la parola “sciata” con “riapertura”, rivolgere la stessa domanda a chi con lo sci lavora e vive e in questo lungo frangente ha assolutamente diritto di essere aiutato dallo Stato.

Perché, mentre stiamo avvicinandoci alla terribile cifra di centomila morti soltanto in Italia, dovremmo cominciare a usare di nuovo le parole che devono essere usate. E una di queste parole, mai pronunciata ma sempre incombente sulla nostra coscienza, per quanto questo nome possa fare orrore, è “omicidio”. Magari preterintenzionale, ma sempre omicidio è. E non è un’esagerazione perché favorire i contagi significa far aumentare i malati e sappiamo bemissimo che una percentuale di chi si ammala non riuscirà a farcela.

Chiedetevi quanti morti si sarebbero potuti evitare se la sanità pubblica non fosse stata massacrata per decenni da una politica dissennata che favoriva la sanità privata accampando a propria discolpa il fatto che doveva fare i conti con una povertà di bilancio causata dal fatto che l’evasione fiscale, mai davvero combattuta, si aggira intorno ai 120 miliardi di euro l’anno, una cifra che potrebbe risistemare tutto il comparto in un paio di anni? Quanti morti si sarebbero potuti evitare se, per abietti calcoli politici, la scorsa estate alcuni non si fossero impegnati ad accusare il governo di essere liberticida perché imponeva mascherine e distanziamenti? Quanti morti si sarebbero potuti evitare se molte cose non fossero state rallentate o fermate da una crisi di governo che avrebbe potuto benissimo non esserci? Quanti morti si potrebbero evitare se nella vicenda dei vaccini i guadagni stratosferici delle ditte farmaceutiche fossero considerati – come in realtà davvero sono – molto meno importanti anche di una sola vita umana? Quanti morti si sarebbero potuti evitare se non fossero state esposte in pubblico da coloro che sono considerati “esperti” delle diatribe intestine che hanno ingenerado esitazioni e dubbi in molti e hanno procurato false giustificazioni a negazionisti e no vax? Quanti morti si sarebbero potuti evitare se non ci si fosse insensatamente ammassati ogni qual volta il colore della zona in cui si vive ha puntato sul giallo?

È una domanda semplice alla quale tutti dovrebbero rispondere in coscienza, magari avvertendo figli, coniugi, genitori, parenti, amici e conoscenti della propria scelta. Perché nessuna scelta collettiva – presa a maggioranza o d’imperio, non importa – può ridurre la propria responsabilità personale.

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