mercoledì 27 gennaio 2021

La memoria e il deserto

Oggi, Giornata della Memoria, può apparire quasi sacrilego parlare della politica italiana, ma invece è doveroso farlo perché, se la memoria fosse esistita davvero e se esistesse oggi, certamente non saremmo a questo punto in cui alle preoccupazioni per il Covid si aggiungono quelle per il futuro del nostro Paese e, soprattutto, dei suoi cittadini.

Può sembrare assurdo parlare di Renzi, Salvini, Meloni, Berlusconi, Conte, Zingaretti, dei “responsabili”, nel giorno in cui il pensiero dovrebbe appuntarsi sulla criminale cupezza di Auschwitz, sulla ferocia nazista, sulle leggi razziali – o, più esattamente, razziste – del fascismo. E, invece, bisogna farlo perché questa crisi è strettamente imparentata con la memoria, o, meglio, con la mancanza di memoria non tanto di deputati, senatori e politici in genere, quanto di noi stessi. Noi che abbiamo che abbiamo permesso che si arrivasse a questo punto, che rischiamo addirittura di passare oltre, senza provare vergogna, alla notizia che un giovane delinquente neonazista ligure, puntava a imitare Breivik, il norvegese che ha ucciso 77 ragazzi a Utoia, effettuando una strage di ebrei, donne soprattutto se femministe, e “comunisti” in genere. È la mancanza di memoria e di dignità civile che ha permesso che fascisti, nazisti e razzisti siano sempre più sfrontati, si sentano sempre più liberi di esporre simboli, gesti e immagini proibiti dalla legge, di fare cortei e propaganda, di usare intimidazioni e violenze contro chiunque loro pensano essere diversi.

È la mancanza di memoria che ha permesso di eleggere personaggi che pensano ben prima a se stessi che al resto dei cittadini italiani. Ed è proprio per questo che oggi, Giornata della Memoria e secondo giorno della crisi di governo, è obbligatorio parlare del vicolo cieco nel quale siamo riusciti a cacciarci. Anzi, del deserto dal quale non sappiamo come uscire. Perché quello che ci sta davanti, se guardiamo da una finestra sul futuro, appare proprio come un deserto con rari e stentati arbusti e scarsissime pozze d’acqua, quasi sempre non potabile.

Guardiamo questo panorama cominciando da destra. Giorgia Meloni è in grande spolvero nei sondaggi, ma è sovranista, antieuropeista, sempre pronta a difendere i camerati. Salvini è costantemente impegnato a tentare di superarla a destra. Berlusconi ondeggia nei suoi desideri tra opposizione maggioranza con l’obbiettivo di sopravvivere politicamente e con il sogno di arrivare sul colle.

Al centro si cercano di approfittare del momento i cosiddetti “responsabili”, o “costruttori”, prontissimi a cambiare idea e bandiera se la contropartita è degna. E lì vicino, ma non con loro, c’è Conte, il “self made premier”, capace di stare con Salvini e subito dopo con chi da Salvini è il più lontano possibile: abile, ma certamente schiavo del fatto che se si vuole galleggiare è fortemente sconsigliato di squilibrarsi prendendo qualche decisione.

In un teorico centro stanno anche i 5stelle, quelli che teorizzavano la morte della destra e della sinistra e che con Conte credono di poter stare sia con il diavolo, sia con l’acqua santa, quasi sempre senza sapere cos’è meglio fare e con la penosa consapevolezza di aver a disposizione molti più seggi che voti. E sempre al centro – perché a sinistra certamente non è – si trova Renzi, colui che ha aperto questa crisi facendo dimettere le sue ministre e che ora nega di averlo fatto, che gioca tutto sulla paura di molti di andare al voto perché sanno che in Parlamento non tornerebbero più.

Poi, a sinistra, il PD e LEU sono quelli più affezionati alle regole e all’educazione istituzionale, ma sono i più muti di tutti, i meno capaci di spiegare se stessi, le proprie idee, i propri progetti, e di sostenerli con forza.

Non ci fosse la certezza di perdere i miliardi dell’Europa, si potrebbe essere tentati di augurarsi che questa legislatura finisca subito, senza lode, ma con qualche infamia. Il fatto è che non si può nemmeno più dire «Tanto, peggio di così non può andare», perché almeno nella ricerca del peggio abbiamo ben pochi rivali.

Adesso la convenienza quasi comune è che un qualche governo – difficile fa gli schizzinosi – esca dall’abilità di Mattarella, ma l’obbligo generale è quello di cominciare da subito – e siamo già in ritardo – a prepararci alle prossime elezioni: non per vincere, ma per vincere portando in Parlamento e al Governo gente onesta e contemporaneamente capace: una sola di queste qualità non può bastare più.

Lo dobbiamo a noi stessi, ai nostri figli e nipoti, ma anche e soprattutto ai tanti che sono morti nei campi di sterminio, o in combattimento nella Resistenza sognando di poter vivere in quella democrazia che hanno regalato a noi e che stiamo buttando via in maniera inaccettabile.

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giovedì 21 gennaio 2021

Il potere e l’esempio

Per la maggior parte della vita ho sognato, come diceva Giorgio Gaber, «una libertà diversa da quella americana», eppure ieri, durante la cerimonia del giuramento davanti al Campidoglio, ho avvertito grande ammirazione per Joe Biden e per il popolo statunitense. Oltreoceano, infatti, i cittadini sono andati alle urne in un numero mai visto prima e sono riusciti a cacciare l’indegno Trump e il neopresidente ha cominciato il suo difficile percorso dando segnali di discontinuità incontrovertibili e di enorme significato sociale. Da noi una reazione si è vista alle ultime regionali, ma i sondaggi attuali lasciano pensare che gli emuli nostrani di quel signore vincerebbero le elezioni.

Non voglio entrare nell’elenco dei 17 ordini esecutivi che Biden ha firmato e che cancellano immediatamente molte delle brutture più inaccettabili messe in piedi dal suo predecessore, ma mi colpisce con forza il ricordo che da noi la vergogna dei decreti Salvini è rimasta intatta per lungo tempo dopo l’uscita dal governo del loro creatore e che poi, comunque, probabilmente anche per non smentire Minniti, siano stati soltanto depurati delle loro parti più inumane. Altro che discontinuità.

Ma quello che mi ha colpito di Biden è stata la decisa saggezza che ha innervato tutto il suo discorso, una decisa saggezza che ha invocato la fine della politica urlata e ha invocato la ripresa del dialogo tra diversi per trovare punti di unione e di mediazione; una decisa saggezza di cui avremmo tanto bisogno qui in Italia e che ha dimostra – ove ce ne fosse stato ancora bisogno – l’idiozia di chi pretendeva di “rottamare”, con l’unica discriminante legata all’età, chi rischiava di fargli ombra.

Quanto ci sembra lontana dagli abituali interventi dei politici nostrali una frase come «Ritroveremo autorevolezza non con l’esempio del nostro potere, ma con il potere del nostro esempio». Quanto ci appare strano sentir accusare, senza circonvoluzioni dialettiche, di razzismo i razzisti e di antidemocraticità gli antidemocratici. Quanto assurdo, dopo aver sentito invocare dignità e decenza per tutti, ci appare il nostro mondo politico in cui un figuro, che non ha limiti verso il basso e che crede di essere sempre al di sopra delle leggi, si permette di ricordare, all'interno del Senato, la frase di un altro figuro per auspicare la morte dei senatori a vita perché votano in maniera diversa dai suoi desideri. Ma anche ascoltare una signora che già aveva dato prova della sua insipienza e scarsa lucidità, quando era ministro della pubblica istruzione, chiedere che nelle vaccinazioni anticovid fosse data la precedenza alle zone in cui si crea più PIL. E pure sentire un’altra signora che pretenderebbe dal presidente della Repubblica che negasse il risultato del voto al Senato soltanto perché a lei non piace; dimenticandosi, tra l’altro che, proprio grazie a quelle stesse regole il suo partito, anche se allora aveva un altro nome, ha potuto restare al governo, pur senza avere una maggioranza assoluta.

L’invidia è un sentimento detestabile e spesso immotivato, ma mi piacerebbe davvero che anche da noi ci fosse un personaggio come Biden capace, dopo una vita passata a mediare, di essere duro e deciso nel difendere le cose che non possono essere sottoposte a mediazioni, come la democrazia, per essere chiari.

A noi manca decisamente un personaggio carismatico che sappia difendere ideali e non bilanci, che si infiammi nella difesa di chiunque e non soltanto nell’attacco ai diversi, che sappia riscaldare il cuore di chi ormai si è rassegnato a non sognare più e ad attendere, tristemente impotente, che questa maledetta notte che stiamo attraversando si avvicini alla fine.

Qualcuno ha paura che ancora una volta chi vince poi non sappia rassegnarsi che la propria vittoria non può e non deve essere definitiva ed eterna? È una paura inevitabile e giusta. Ma il sistema per cancellarla è semplice, anche se difficile: moltiplicare le persone politicamente di valore tornando a usare i partiti come scuola di democrazia e di politica e non come laboratorio per trovare soluzioni che puntino soltanto a perpetuare e ad accrescere il potere.

Fino a quando non sarà di nuovo la gente a spingere, come faceva una volta, dal basso perché siano i partiti ad adeguarsi ai bisogni della gente, e non il contrario, il nostro destino non potrà essere diverso da quello di seguire con raccapriccio le gesta di quelli che eticamente ci sono più lontani e con triste delusione i comportamenti di quelli che dovrebbero esserci più vicini.

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domenica 17 gennaio 2021

Un centrodestra liberale e serio

Mio Dio, quanto mi manca un centrodestra liberale e serio! Non sono impazzito e non lo vedrei certamente come elemento politico destinatario dei miei voti, ma mi manca come alternativa temporaneamente accettabile in un gioco democratico di alternanza che nel nostro Paese ha finito da decenni di essere tale per tramutarsi in un dramma che, ogni volta che si verifica, va a cancellare qualcosa di terribilmente importante: talvolta alcuni diritti a suo tempo conquistati con grandi fatiche e sacrifici, talaltra molte vite di persone più sfortunate di noi che si assumono rischi fatali pur di fuggire dalla guerra, dalle dittature, dai dispotismi, dalla fame, dall’impossibilità di guarire da malattie che da noi consideriamo ormai soltanto più che un leggero fastidio.

Questo centro destra mi manca perché oggi, se davvero esistesse, non avrei il minimo dubbio nello sperare che l’attuale presidente del Consiglio decida davvero di andare fino in fondo nella scelta di lasciar decidere il suo destino ai voti del Parlamento e poi, nel caso di crisi irreversibile, di delegare ai voti di tutti gli italiani la scelta della maggioranza per il prossimo quinquennio.

Ma quella destra non c’è e, quindi, il rischio è quello di finire nelle grinfie di Salvini e della Meloni (Berlusconi non lo cito neanche, perché sa che ormai la sua sopravvivenza dipende dagli altri e non da lui stesso), con l’inevitabile conseguenza che alla loro distintiva ferocia nei confronti degli ultimi e dei (anche politicamente) diversi, si aggiungerebbe pure la conclamata incapacità di gestione della cosa pubblica già sperimentata e provata nei tanti governi berlusconiani e giallo-verdi sofferti in questi anni.

Se quel centrodestra ci fosse, diventerebbe concreta la possibilità di dire a Renzi che il suo bluff è fallito, che la sua pretesa di fare il dominus della politica italiana con il 2 per cento attribuitogli dai sondaggi è una cosa assurdamente presupponente, che potrà benissimo presentarsi alle urne tra qualche mese con buone probabilità di restarsene finalmente (e spererei definitivamente) a casa.

Il New York Times lo ha definito “Demolition man” (e sul “demolition” siamo perfettamente d’accordo), ma oggi, forse per la prima volta, si è accorto che, a furia di demolire – o tentare di demolire – Costituzioni, partiti, coalizioni, sentimenti politici e di “rottamare” chiunque potesse fargli ombra, questa volta si è lasciato andare un po’ troppo, tanto che ormai è probabile che tra le prossime macerie si troveranno frammenti di ex presidente della provincia di Firenze, di sindaco di quel capoluogo, di presidente del Consiglio, di transfuga dal PD per la terribile colpa di quel partito di non eseguire sempre e comunque i suoi desideri. Non per niente, dopo aver detto le peggiori cose possibili di tutti coloro che erano con lui al governo, ha deciso di far astenere sulla fiducia se stesso e i suoi servitori e di far votare favorevolmente su alcuni provvedimenti non secondari. Con l’ovvio obbiettivo di ritornare al più presto nei giochi, magari con qualche ministero, sottosegretariato e delega in più.

La cosa che colpisce, però, non è che Renzi rischi fortemente di restare con il cerino in mano: lui lo sapeva e l’azzardo è sempre stato il suo mestiere. Molto più sorprendente è il fatto che molti dei suoi accoliti si siano accorti soltanto adesso di non essere altro che piccoli strumenti nelle mani di un prestigiatore al quale non sempre riescono i suoi trucchi. Il deputato Vito De Filippo, un po’ più sveglio di altri, ha scelto di lasciare IV e di rientrare nel PD non appena ha annusato che il bluff rischiava di essere scoperto. Il povero e tremebondo Rosato, dal canto suo, afferma, tra lo stupito e lo speranzoso: «Conte, se vuole risolvere la crisi, lo fa in un pomeriggio». E la Bellanova, fedelissima ripetitrice delle parole di Renzi, sembra quasi rassegnata alle conseguenze delle azioni del suo capo: «Il Pd – dice – non cerchi vendette contro noi renziani. Siamo disponibili a stare nella maggioranza; abbiamo dimostrato che non ci interessano potere e poltrone, ma da quando abbiamo aperto la crisi siamo massacrati sui social». Che strano! Mi pareva di ricordare che fino a poche ore fa la stessa Bellanova accusava tutti, tranne Renzi, di avere aperto le porte alla crisi.

Anche se fino all’ultimo nella politica italiana non si può essere sicuri di nulla, per Renzi e i suoi figuranti sembrerebbe spalancarsi la porta dell’oblio, ma a dare loro una speranza di momentanea salvezza sono ancora Salvini, Meloni, Berlusconi con la loro protervia, o con la loro acquiescenza.

Mio Dio, quanto mi manca un centrodestra liberale e serio!

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mercoledì 13 gennaio 2021

Sansone e i Filistei

Probabilmente gli diceva di stare sereno
Turigliatto ha fatto cadere il secondo governo Prodi per motivi che si legavano a ideali politici miopi oltre che discutibili, ma sicuramente non era stata la molla dell’interesse personale a farlo muovere. In Bertinotti, l’assassino del primo governo Prodi, probabilmente era risultato determinante il narcisismo del personaggio. In Fini che aveva tentato di far cadere il governo Berlusconi, ma era stato sconfitto dal ritardo imposto da Napolitano al voto di fiducia e dalla cosiddetta “responsabilità” di personaggi come Scilipoti e Razzi, le motivazioni erano formate da un desiderio di maggior potere mescolato con l’incapacità di sopportare tutte le malefatte dell’ex cavaliere.

Per Renzi l’ideale politico è cosa molto lontana dalla sua comprensione, mentre è decisamente esperto nel capire cosa significhi potere e nei vari modi in cui si possa tentare di arrivarci, sia cancellando con l’insistente propaganda della “rottamazione” le capacità, l’esperienza e – in questo caso spesso sì – la dignità dei politici più anziani; sia tentando di cambiare le regole della stessa Costituzione per favorire se stesso senza capire che quelle stesse nuove regole avrebbero potuto regalarci davvero un Salvini con “pieni poteri”; sia attaccando con violenza coloro che, decisamente più a sinistra di lui, non se la sentivano più di stare nel Pd, ma poi andandosene non appena si è reso conto di non poter più fare il bello e cattivo tempo in quel partito; sia mettendo in pratica con grande perizia e foltissimo pelo sullo stomaco, visto anche il momento che stiamo vivendo, quei ricatti che permettono a un partito del 2 per cento di imporre i propri voleri senza accettare mediazioni e minacciando la crisi di governo.

La richiesta del ponte di Messina; quella finale del MES, condivisibile come concetto, ma evidentemente strumentale nel momento in cui è stato nuovamente richiesto come ultimatum dopo che quasi tutto il resto gli era stato concesso; l’idea di affidare a Rosato i servizi segreti; le mille piroette fatte di fronte alle decisioni da prendere per combattere il coronavirus: sono tutti fatti che dimostrano abbondantemente quanto fossero poco serie le sbandierate intenzioni di non arrivare a quella crisi che oggi Renzi tenta ridicolmente di addossare, come responsabilità, agli altri.

Lui si è mosso soltanto per arrivare al punto di poter dire, oggi, esattamente quello che ha detto in conferenza stampa: «Non abbiamo una pregiudiziale sul nome di Conte, ma non faremo mai un ribaltone e non daremo mai vita a un governo con forze della destra sovranista che abbiamo combattuto e contro le quali abbiamo fatto nascere questo governo». E per capire meglio il significato di queste parole è utile sentire la dichiarazione di Andrea Marcucci, capogruppo PD al Senato ed ex (?) fedelissimo del suo corregionale Renzi: «Serve una maggioranza con Iv». In poche parole il concetto implicitamente espresso da Renzi è: se volete non andare alle urne dateci posti e potere in più, soprattutto adesso che arrivano centinaia di miliardi dall’Europa e che a noi piacerebbe gestirli in percentuali maggiori a quelle che sembrano spettarci oggi.

È inevitabile che questa situazione porti a un bivio: da una parte si spera che un accordo di qualche tipo possa evitare il rischio a questo nostro povero Paese di cadere tra le grinfie di Salvini e di Meloni; dall’altra che, sperando che poi il popolo italiano sia ancora una volta migliore di quelli che elegge, pur andando alle urne (chissà come? Chissà quando?) il pericolo della destra sovranista non si concretizzi e che questa sia l’ultima volta che si vede Renzi e la sua banda di guitti della politica apparire sul palcoscenico romano.

Ricordate il racconto biblico di Sansone e dei Filistei? A me è sempre dispiaciuto che Sansone abbia dovuto soccombere, ma mi è sembrato assolutamente giusto il destino toccato ai Filistei. E Renzi non è certamente Sansone.

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giovedì 7 gennaio 2021

Il peso delle parole e dei silenzi

Sulla vergognosa pagina scritta dai supporters di Trump sotto dettatura dello stesso indegno presidente si scriveranno fiumi di parole, sia sulla forza, sia sulla debolezza della democrazia americana e di tutte le vere democrazie, ma anche sul fatto che gli Stati Uniti ora stanno percependo lo stesso amaro sapore che hanno sentito altri popoli quando Washington ha appoggiato palesemente figuri come Pinochet e sulle terribili difficoltà che attenderanno Joe Biden nel tentare di rendere di nuovo degni del loro nome gli Stati Uniti che oggi sono lacerati non certamente meno di come lo erano durante la guerra di secessione.

A me, anche ripensando al blocco imposto ai messaggi di Trump (mi ripugna appellarlo ancora con il titolo di presidente) da Twitter e da Facebook interessa soprattutto mettere in luce un aspetto che riguarda tutto il mondo e, cioè il peso delle parole e dei silenzi.

Alcuni potrebbero pensare che non è democratico proibire l’uso dei social a qualcuno, ma è forse democratico permettere che, con le nuove tecnologie, tutta una serie di notizie false, diffuse per evidenti interessi personali, possa dare vita a una realtà parallela e totalmente falsa, capace non soltanto di indirizzare il voto in una determinata maniera, ma anche da indurre alla violenza chi non accetta di avere perduto?

Che in Trump ci sia una vena di criminale pazzia che riesce a compenetrarsi con una lucidità propagandistica degna di miglior causa è un dato assodato per la maggior parte degli esseri umani di questo pianeta, ma se questo figuro, pur perdendo, ha ottenuto il voto di oltre 74 milioni di americani, vuol dire che la propaganda sui social ha avuto un peso preponderante e questo comporta il fatto che, come gli antichi comizi, anche i social devono sottostare a regole che difendano quel bene prezioso e fragile che si chiama democrazia e che troppo spesso vediamo trascinata nel fango senza che ci venga spontaneo reagire.

Perché, se le parole di Trump sono state schifose, i silenzi dei maggiorenti del Partito Repubblicano americano sono stati vergognosi. E le loro reazioni odierne, a frittata fatta, dopo che il tempio della democrazia americana è stato profanato anche con colpi di arma da fuoco e con la morte di alcune persone, non li riscatta minimamente, ma, anzi, sottolinea quella loro pusillanimità che li ha fatti tacere per anni, fino a quando il loro presidente garantiva il potere, ma non certamente un comportamento retto e democratico, né una fedeltà al giuramento fatto al momento del suo insediamento.

Quello che è successo in America deve essere di lezione a tutti noi. Qui, in Italia – e non voglio insistere su quelli del centrodestra che giravano con la mascherina decorata con il nome di Trump – quante volte abbiamo assistito in silenzio all’esaltazione di razzismi, fascismi e nazismi assortiti. Quante volte la politica ha scelto la convenienza del “non vedo, non sento, non parlo”, alla rettitudine istituzionale dettata dalla Costituzione?

Quanti nostri silenzi hanno contribuito a far rinascere in Italia decine di organizzazioni nostalgiche, tanto che, se il comunismo è diventato nulla più che un ricordo, il fascismo può nuovamente organizzare in maniera palese manifestazioni e azioni violente? Quanti, anche pensando al Covid, preferiscono far finta di non ricordare che quelle stesse frange politiche che oggi attaccano il governo perché troppo poco deciso, fino a poco fa lo attaccavano accusandolo di essere liberticida perché imponeva l’uso della mascherina? E quante violenze, sia fisiche, sia via internet, sono state causate da questi figuri?

Far rispettare la Costituzione e le leggi che vi si armonizzano non è minare la democrazia, ma rafforzarla. E lo si fa anche e soprattutto con le parole, ma mai con il silenzio.

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