martedì 11 febbraio 2020

Tolleranza e intolleranti

La questione, tornata prepotentemente di attualità con il moltiplicarsi delle azioni razziste contro ebrei, neri, diversi in genere, era già stata messa perfettamente a fuoco nel 1945 da Karl Popper nel suo “La società aperta e i suoi nemici”: «La tolleranza illimitata – scriveva – porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo la tolleranza illimitata anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo preparati a difendere una società tollerante dall’assalto dell’intollerante, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con loro».
E allora le domande successive sono spontanee e inevitabili: il sistema democratico può consentire che, al proprio interno, si sviluppi un attacco al sistema democratico? E se lo stato di diritto non consentisse ai propri nemici di esercitare la critica più radicale, resterebbe uno stato di diritto? Sembra quasi che la condanna a morte delle democrazie sia già scritta: o muoiono perché cancellate da un autoritarismo, o cessano di esistere in quanto subiscono una mutazione che le stravolge profondamente. Del resto, l’intolleranza contro gli intolleranti tende a censurare, la censura nasconde le ragioni altrui e, quindi, fa crescere l’intolleranza stessa e innesca un circolo vizioso molto difficile da interrompere e che troppo comodamente saremmo tentati di liquidare definendolo un paradosso.

Se, poi, alle considerazioni di Popper a guerra appena finita, aggiungiamo quella potente accelerazione impressa da internet e dall’assoluta mancanza, non soltanto di censura, ma addirittura di quel semplice controllo antitruffa non previsto dalle legislazioni attualmente in vigore nelle nazioni democratiche, ci si rende conto che la situazione sta diventando di una gravità terribile. La campagna d’odio portata avanti da Salvini è un esempio di come l’intolleranza può diventare efficace propaganda; l’alleanza più che possibile – a Udine è già realtà – tra Lega, Fratelli d’Italia e partiti che si rifanno esplicitamente al fascismo è già diventata terrificante realtà politica.

L’argomento è difficile e scivoloso, ma davanti all’incitamento all’odio e al fatto che questo sprone sta dando frutti sempre più frequenti, visibili e pericolosi, muoversi diventa un dovere e credo che sia possibile farlo senza abbassarsi agli infimi livelli di coloro che tracciano ancora croci uncinate, urlano vergognosi slogan fascisti, o si scagliano fisicamente contro coloro che magari sono anche italiani, ma hanno pelle, lingua, religione, abitudini di vario tipo diverse da quell’assurdo prototipo che esiste nella testa di coloro che emettono flatulenze intellettuali sul tipo di «Prima gli italiani», o i settentrionali, o altre sempre più piccole e comode parcellizzazioni.

Credo siano soprattutto due le strade da seguire, in special modo ora che i testimoni diretti sono quasi del tutto scomparsi e confondere la storia può apparire più semplice.
 

La prima via è quella di bandire e far bandire il sentimento di insensibilità, noncuranza, voglia di voltare il capo dall’altra parte davanti alle brutture che appaiono quotidianamente davanti ai nostri occhi. Non per nulla Liliana Segre ha voluto che fosse la terribile parola “INDIFFERENZA” a dominare, a caratteri enormi, il Binario 21, quello da cui partivano i treni piombati diretti verso i campi di sterminio, che è diventato il vero Memoriale della Shoah di Milano.

La seconda via è quella di ricordare che accanto ai diritti esistono anche i doveri che dai primi non sono separabili, perché soltanto da un loro equilibrio può nascere e poi continuare a esistere la convivenza civile che, al suo massimo grado, diventa democrazia. Nella nostra Costituzione, per esempio, l’articolo 21 recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi». È la legge, insomma, a essere chiamata ad armonizzare i diritti con quei doveri che sono stabiliti proprio per difendere i diritti; a difendere i principi di uguaglianza e di non discriminazione, anche attraverso la limitazione di alcune libertà, laddove il loro esercizio illimitato costituisca una minaccia per i diritti altrui e, quindi, per i valori democratici su cui lo Stato di diritto si fonda e per i cittadini che a quello Stato danno vita.

È questo lo strumento che può e deve spezzare quel circolo vizioso che, da possibile, purtroppo ci appare sempre più concreto. È questo, assieme alla diffusione della conoscenza e della cultura, il modo per agire attivamente in modo da prevenire il diffondersi dell’odio e dell’indifferenza, da annichilire vecchie e nuove forme di discriminazione.

Perché è questa la priorità di ogni sistema democratico. Altrimenti prende corpo l’ammonimento scritto da Primo Levi: «È accaduto una volta; dunque può ripetersi».

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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