La
questione, tornata prepotentemente di attualità con il moltiplicarsi
delle azioni razziste contro ebrei, neri, diversi in genere, era già
stata messa perfettamente a fuoco nel 1945 da Karl Popper nel suo “La
società aperta e i suoi nemici”: «La tolleranza illimitata – scriveva –
porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo la tolleranza
illimitata anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo preparati a
difendere una società tollerante dall’assalto dell’intollerante, allora
i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con loro».
E allora le domande successive sono
spontanee e inevitabili: il sistema democratico può consentire che, al
proprio interno, si sviluppi un attacco al sistema democratico? E se lo
stato di diritto non consentisse ai propri nemici di esercitare la
critica più radicale, resterebbe uno stato di diritto? Sembra quasi che
la condanna a morte delle democrazie sia già scritta: o muoiono perché
cancellate da un autoritarismo, o cessano di esistere in quanto
subiscono una mutazione che le stravolge profondamente. Del resto,
l’intolleranza contro gli intolleranti tende a censurare, la censura
nasconde le ragioni altrui e, quindi, fa crescere l’intolleranza stessa e
innesca un circolo vizioso molto difficile da interrompere e che troppo
comodamente saremmo tentati di liquidare definendolo un paradosso.
Se, poi, alle considerazioni di
Popper a guerra appena finita, aggiungiamo quella potente accelerazione
impressa da internet e dall’assoluta mancanza, non soltanto di censura,
ma addirittura di quel semplice controllo antitruffa non previsto dalle
legislazioni attualmente in vigore nelle nazioni democratiche, ci si
rende conto che la situazione sta diventando di una gravità terribile.
La campagna d’odio portata avanti da Salvini è un esempio di come
l’intolleranza può diventare efficace propaganda; l’alleanza più che
possibile – a Udine è già realtà – tra Lega, Fratelli d’Italia e partiti
che si rifanno esplicitamente al fascismo è già diventata terrificante
realtà politica.
L’argomento è difficile e scivoloso,
ma davanti all’incitamento all’odio e al fatto che questo sprone sta
dando frutti sempre più frequenti, visibili e pericolosi, muoversi
diventa un dovere e credo che sia possibile farlo senza abbassarsi agli
infimi livelli di coloro che tracciano ancora croci uncinate, urlano
vergognosi slogan fascisti, o si scagliano fisicamente contro coloro che
magari sono anche italiani, ma hanno pelle, lingua, religione,
abitudini di vario tipo diverse da quell’assurdo prototipo che esiste
nella testa di coloro che emettono flatulenze intellettuali sul tipo di
«Prima gli italiani», o i settentrionali, o altre sempre più piccole e
comode parcellizzazioni.
Credo siano soprattutto due le
strade da seguire, in special modo ora che i testimoni diretti sono
quasi del tutto scomparsi e confondere la storia può apparire più
semplice.
La prima via è quella di bandire e far bandire il sentimento di
insensibilità, noncuranza, voglia di voltare il capo dall’altra parte
davanti alle brutture che appaiono quotidianamente davanti ai nostri
occhi. Non per nulla Liliana Segre ha voluto che fosse la terribile
parola “INDIFFERENZA” a dominare, a caratteri enormi, il Binario 21,
quello da cui partivano i treni piombati diretti verso i campi di
sterminio, che è diventato il vero Memoriale della Shoah di Milano.
La seconda via è quella di ricordare
che accanto ai diritti esistono anche i doveri che dai primi non sono
separabili, perché soltanto da un loro equilibrio può nascere e poi
continuare a esistere la convivenza civile che, al suo massimo grado,
diventa democrazia. Nella nostra Costituzione, per esempio, l’articolo
21 recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La
stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può
procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità
giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa
espressamente lo autorizzi». È la legge, insomma, a essere chiamata ad
armonizzare i diritti con quei doveri che sono stabiliti proprio per
difendere i diritti; a difendere i principi di uguaglianza e di non
discriminazione, anche attraverso la limitazione di alcune libertà,
laddove il loro esercizio illimitato costituisca una minaccia per i
diritti altrui e, quindi, per i valori democratici su cui lo Stato di
diritto si fonda e per i cittadini che a quello Stato danno vita.
È questo lo strumento che può e deve
spezzare quel circolo vizioso che, da possibile, purtroppo ci appare
sempre più concreto. È questo, assieme alla diffusione della conoscenza e
della cultura, il modo per agire attivamente in modo da prevenire il
diffondersi dell’odio e dell’indifferenza, da annichilire vecchie e
nuove forme di discriminazione.
Perché è questa la priorità di ogni
sistema democratico. Altrimenti prende corpo l’ammonimento scritto da
Primo Levi: «È accaduto una volta; dunque può ripetersi».
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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