sabato 15 febbraio 2020

Regole e lontananze

So molto bene che la politica è l’arte della mediazione e che la prima regola – soprattutto in un sistema elettorale proporzionale e con la necessità di creare governi di coalizione – è l’obbligo di usare mielati giri di parole anche per dire le cose più indigeribili nei confronti di un avversario politico che, però, di lì a qualche giorno potrebbe diventare un alleato contro altri nuovi avversari momentaneamente più sgraditi, o inutili, per arrivare all’obbiettivo che ci si è prefissi.

So anche benissimo che – seconda regola fondamentale – sarebbe sicuramente sbagliato stigmatizzare in maniera troppo decisa i comportamenti di chiunque non si trovi proprio all’estremità opposta del nostro sentire etico e politico. E anche in questo caso la politica italiana ha insegnato che in quell’ambiente non esistono regole che non siano sovvertibili da enormi eccezioni: i più anziani ricorderanno il caso del democristiano Silvio Milazzo che nel 1958, contro il candidato ufficiale del suo partito, fu eletto presidente della Regione siciliana con i voti del PCI e del MSI che entrarono anche nella sua giunta «in nome – dissero i segretari regionali dei due partiti – dei superiori interessi dei siciliani».

So perfettamente, però, che non mi sono mai iscritto a un partito politico, né mai ho voluto accettare candidature di sorta proprio perché sono totalmente incapace di seguire le due regole che ho appena esposto. Quindi, mi sento assolutamente libero di dire che se Matteo Salvini mi è del tutto alieno per quel sovranismo e quel razzismo che sono lontanissimi dal mio sentire, anche Matteo Renzi mi è totalmente indigeribile, visto che, a distanza di tre anni dal referendum che avrebbe potuto stravolgere la Costituzione e che lui ha voluto trasformare – perdendolo – in un referendum su se stesso, il suo modo di essere non è minimamente cambiato visto che ogni sua mossa apparentemente politica è, in realtà, soprattutto personale. E questo, a qualsiasi livello, dalle comunali in su, per me è indigeribile.

Il leader di Italia viva – nome strano, forse nostalgico di un periodo che sembra soltanto un ricordo – sta dimostrando ancora una volta che l’unico suo interesse è la gestione del potere e, come il 14 febbraio del 2014 ha portato alle dimissioni Enrico Letta dopo il famigerato «Enrico, stai sereno», ieri – forse San Valentino lo ispira – ha voluto attaccare non tanto Conte, ma quel governo che Renzi stesso ha voluto far nascere evidentemente non tanto con lo scopo di tenere lontano da Palazzo Chigi Salvini e la sua smania di “pieni poteri”, ma con la mira di porre le basi per riuscire ancora una volta a far valere la sua determinante, pur se scarsa, forza di voti parlamentari al fine di arrivare di nuovo lui stesso al vertice del governo, o, almeno per farci arrivare qualcuno che, per gratitudine o costrizione, finisca per fare quello che desidera lui.

Può apparire strano che, in una graduatoria di lontananza, io possa mettere sullo stesso piano Salvini e Renzi, nella foto assieme in una serata a Porta a porta, mentre della Meloni mi sembra addirittura superfluo parlare e dei 5stelle mi appare ormai inutile. Ma se di Salvini e dei suoi non riesco a sopportare la puzza di fascismo, di Renzi mi è del tutto indigesta la spregiudicatezza con cui agisce e cambia strada – parlare per lui di ideali mi sembra estremamente difficile – non appena gli sembra più redditizio farlo. Ricordiamo l’agguato al compagno di partito Enrico Letta; l’eliminazione, dopo essere riuscito a diventarne segretario, del concetto di sinistra in un partito che alla sinistra in gran parte si richiamava; la spinta a creare un governo con i 5stelle per poi, dopo essere uscire dal PD, restare formalmente in maggioranza, ma minarlo nelle fondamenta non appena la sue spinte non sono state accettate. E questi non sono gli unici episodi che raccontano di come quest’uomo sia riuscito ad avvelenare la politica italiana, a ridurre ulteriormente in macerie la sinistra e a rendere molto più complicato e precario il divenire del nostro Paese.

Dopo aver annunciato la richiesta di sfiducia per il ministro Bonafede, ha fatto esultare l’intero schieramento sovranista – che sostiene stia già dialogando con Salvini – dichiarando a “Dritto e Rovescio”, trasmissione di punta della destra: «Ci sono diverse possibilità: mettersi a lavorare, o che si apra la crisi e ci sia ancora un altro Governo, o il voto. L’importante è che, dopo il voto, qualcuno vinca e governi 5 anni». Con il suo appoggio, ovviamente, fino a quando quel qualcuno farà esattamente quello che dice lui. Se non accadrà, reciterà ancora, assumendo la faccia di colui che vuol far credere di essere sul punto di essere cacciato, mentre in realtà, è lui a voler cacciare chi non appoggia i suoi desideri.

E il destino della democrazia italiana e del popolo che a questa si aggrappa? Del tutto secondario.

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