sabato 29 giugno 2019

Più di Antigone

Vale sicuramente poco, ma a Carola Rackete, la capitana tedesca della Sea Watch che, dopo 17 giorni in mare, ha fatto attraccare al molo commerciale di Lampedusa ed è stata arrestata dai finanzieri, mentre una folla di lampedusani la applaudiva, va non soltanto tutta la mia solidarietà, ma anche l’ammirazione.
 
Le imputazioni, da quanto è dato di sapere, saranno di due tipi: la prima è di “resistenza o violenza contro nave da guerra”, un reato che prevede una pena da tre a dieci anni. La seconda è quella di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”.

Da più parti la figura di Carola Rackete è stata accostata a quella di Antigone che purtroppo mi trovo a citare troppo spesso: la protagonista della tragedia di Sofocle che, davanti al diniego regale di lasciar seppellire un suo fratello, si ribella, si lascia arrestare e poi, davanti al sovrano sostiene con fierezza che le leggi del re sono importanti, ma che nessuna legge di re può essere superiore alle leggi degli dei e della coscienza; e che a quelle bisogna obbedire. E va serenamente incontro alla condanna sostenendo con forza che è giusto disobbedire a una legge sbagliata, anche a costo di perdere la vita.

Assolutamente lontana da me l’idea di paragonare Salvini a un re, anche se lui e i suoi complici di governo e di voto stanno gongolando, ma è certo che davanti a entrambe le motivazioni dell’arresto occorre fare qualche riflessione.

Per prima cosa il mancato rispetto dell’alt. Era da 36 ore che la comandante aveva dichiarato lo stato di necessità che le autorità italiane hanno bellamente ignorato. Uno stato di necessità legato alla condizione psicofisica in caduta libera dei 40 migranti ancora a bordo dopo che uno di loro, accompagnato da un suo parente undicenne, era stato fatto sbarcare per le gravi condizioni di salute. Stato di necessità è anche e soprattutto l’obbligo di salvaguardare la vita dei propri passeggeri ricordando anche che se uno di loro fosse morto, la responsabilità sarebbe inevitabilmente caduta proprio su Carola Rackete e non su Matteo Salvini.

Seconda cosa, l’immigrazione clandestina. Non di immigrazione si tratta, ma di salvataggio in mare e di rispetto delle convenzioni internazionali che prevedono che i naufraghi siano portati nel più vicino “porto sicuro”. E ormai soltanto il ministro degli Inferni (non è un errore di battuta) continua a ritenere che la Libia possa essere un porto sicuro. Sul concetto di “clandestino”, poi, ci si chiede cosa possa esserci di clandestino in uno sbarco avvenuto sotto la stretta vigilanza di forze dell’ordine di televisioni, giornali, uomini politici e gente comune che di questo “sbarco clandestino” sentono parlare e vedono immagini da più di due settimane.

Carola Rackete, però, finirà per essere ancora più emblematica di Antigone, perché sicuramente la sua vicenda porterà davanti alla Corte Costituzionale i famigerati “Decreti sicurezza” del ministro degli Inferni che, evidentemente, della Costituzione italiana ignora molto: sicuramente l’articolo 10. E, quindi, finirà per far cominciare una discussione, finalmente seria e non basata soltanto su mutevoli rapporti di potere, sui decreti voluti da Salvini e anche sulla legge Bossi Fini che è la madre di tutte queste storture e che il centrosinistra, quando poteva farlo, non ha mai voluto davvero cambiare, in quell’ansia di raccattare voti anche in settori della popolazione che mai le erano stati vicini e che mai avrebbero continuato a votarla a meno che non fosse diventata un centrodestra vero e proprio in ogni settore sociale.

Per finire merita ricordare cos’ha detto l’ex senatrice della Lega Angela Maraventano che ha urlato all’equipaggio della Sea Watch: «Questa è la mia isola e voi la state invadendo. L’Italia questa sera è stata violentata». Certo che sentir parlare di un’Italia violentata da chi è in un partito che opera questa pratica quotidianamente contro i diritti, fa capire bene non soltanto le colpe di Salvini e del suo connivente Di Maio, ma anche di tutti coloro che continuano a bisticciare tra loro invece di unirsi temporaneamente per far finire al più presto questa maledetta notte che stiamo attraversando.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

venerdì 28 giugno 2019

I due lati del filo spinato

Nel 1994 fu edito in Italia un libretto che fece molto discutere. “Cattiva maestra televisione” era il suo titolo e il suo saggio principale era di Karl Popper, drastico nell’accusare questo mezzo di comunicazione: «Se le nuove generazioni – ha scritto – vengono martellate da una programmazione televisiva irresponsabile, che mostra loro migliaia di omicidi fin dalla più tenera età, è prevedibile che la loro propensione alla violenza si innalzi, poiché la considereranno un fatto normale. E la nostra civiltà, il cui progresso è consistito soprattutto nella riduzione della violenza e nell’ampliamento della tolleranza, rischierà un’inversione di marcia tale da mettere in pericolo la sua stessa esistenza».

Le reazioni non furono entusiastiche: la più violenta fu ovviamente quella di Berlusconi che interpretò questa frase come un attacco diretto a se stesso e alle sue televisioni, ma molti commentatori rreputarono questa idea quantomeno esagerata perché ritenevano impossibile che tanta gente mandasse tranquillamente il proprio cervello all’ammasso senza un soprassalto di ribellione etica, o di critica a quello che vedevano.

Oggi, a 25 anni di distanza, dopo che la televisione è riuscita a superare qualsiasi mirabolante record precedente in fatto di cattivo gusto, e che a sua volta è stata surclassata, sempre in questa classifica negativa, dai social network, sarebbe il caso da dare a Popper l’onore di una assoluta lucidità profetica. E, infatti, stiamo assistendo, sgomenti, a proposte di innalzamento di muri, anche qui, nella nostra regione, per impedire ai migranti di entrare in Italia e abbiamo già visto approvare leggi che praticamente non danno limiti alla legittima difesa non soltanto di se stessi, ma anche del proprio patrimonio. E così vediamo governi che vorrebbero punire chi salva una persona che sta annegando senza permesso di soggiorno e che danno tutta la loro solidarietà a chi spara da un balcone e colpisce a morte nelle schiena un ladro che sta fuggendo.
 

Non stiamo più riducendo la violenza, né stiamo ampliando la tolleranza; anzi, stiamo aumentando la prima e stiamo abolendo la seconda in un parossismo di avversione verso chi arriva da fuori, o comunque “disturba”.

È terribile sentir parlare di muri da costruire, di fili spinati da tirare, per definire i territori dell’inclusione e dell’esclusione. È incredibile assistere a con quanta indifferenza viene accettata l’idea che ci si avvicina alla cancellazione dei benefici che aveva portato l’abolizione delle frontiere all’interno dell’Area Schengen. È avvilente constatare che ancora oggi un filo spinato lo si vede soltanto dalla parte che ci sembra più comoda: lo tiriamo per impedire ad altri di entrare nel nostro territorio e non ci rendiamo conto che contemporaneamente impediamo anche a noi di uscirne.

E intanto assistiamo inerti anche ad altre brutture, come quelle di un ministro degli inferni che parla di legalità violata da altri, mentre lui viola sistematicamente la legge fondamentale, quella cui ogni altra legge deve conformarsi e che all’articolo 10 recita: « Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge». Ma per avere quel diritto deve poterlo chiedere e l’uomo innamorato delle divise non glielo permette neppure.

Un altro grande studioso della comunicazione, John Condry, ha scritto in “Ladra di tempo, serva infedele”, che «la televisione vive nel presente, non ha rispetto per il passato e ha scarso interesse per il futuro; incoraggia atteggiamenti che possono essere disastrosi visto che una delle funzioni primarie dell’istruzione, sia a casa, sia a scuola, è proprio quella di collegare il passato con il futuro e di mostrare in che modo il presente discenda da ciò che lo ha preceduto, e in che modo il futuro sia legato a entrambi». E noi, invece, ormai viviamo soltanto in un presente cannibale e angosciante che impedisce anche quelle speranze che in altri periodi ci avevano permesso di andare avanti.

Ma non sentitevi assolti perché pensate che tutta la colpa debba essere ascritta alla televisione e alle sue storture. Anzi: oltre ad avere la colpa di aver permesso che andasse al potere un governo così immondo, abbiamo anche il rimorso di aver permesso, con ascolti mai crollati e con pochissime proteste, che la televisione, con non troppo numerose anche se lodevolissime eccezioni, avvolgesse la nostra società come in un recinto di filo spinato che assomiglia non a una fortezza che si difende, ma a un lager nel quale ci stiamo rinchiudendo da soli.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

venerdì 21 giugno 2019

Gli striscioni gialli

L’etimologia è una scienza divertente, oltre che ricchissima di spunti per ragionare sulle cose. Mostro, per esempio, deriva dal latino “monstrum” che significa prodigio, portento. E Sant’Isidoro, uno che sull’etimologia ha basato molte delle sue fortune culturali che lo hanno portato a essere proclamato “Dottore della Chiesa”, ha specificato che «mostro è ciò che merita di essere mostrato, o esibito”.
 
Il pensiero, quindi, va subito allo spettacolare per antonomasia, da baraccone da fiera: il vitello a due teste, la donna barbuta, il contorsionista incredibile, il lanciatore di coltelli bendato. Ma anche all’altro significato che è implicito nella definizione, volutamente ambigua, di Isidoro. Perché il dovere di mostrare qualcosa può discendere dalla sua eccezionalità, ma anche dal fatto che la si debba far vedere per far comprendere che non la si deve assolutamente imitare.

Shakespeare in questo fu uno specialista: pensate soltanto a Riccardo III, o a Lady Macbeth. E la mitologia greca, come anche quella medievale, è ricchissima di ibridazioni tra umani e animali, tutte invariabilmente crudeli.

È ovviamente impossibile, ma mi piacerebbe molto sapere cosa penserebbe Shakespeare (la sua fantasia era tantissima, ma non si sarebbe mai spinta a queste vette) di chi fa di tutto per disincentivare il salvataggio di coloro che stanno per annegare. O anche di chi pensa che il ricordo di uno studente assassinato dalle istituzioni di un altro Stato (deviate, o meno, per ora è difficile saperlo con certezza), sia da cancellare perché fonte di polemiche evidentemente contro la propria parte politica che implicitamente, e senza minimamente rendersene conto, accusa, a scelta, di insensibilità, di complicità, o di sprezzo di ogni senso di giustizia che, secondo lui e i suoi, va sottoposto comunque e sempre sotto il possente tallone dell’opportunità politica del momento, o della convenienza economica.

È vero: dovremmo essere abituati a schifezze simili che nel nostro Paese si sono verificate con tanti governi diversi – pensare soltanto al caso di Ilaria Alpi e di Milan Hrovatin in Somalia – ma questa è la prima volta che di una vergogna si tenta esplicitamente di cancellare anche il ricordo.

E allora sarebbe il caso che tutti noi esponessimo alle nostre finestre uno striscione giallo con su scritto «Verità per Giulio Regeni», sia per non far dimenticare quello che è accaduto a quel povero ragazzo, sia per tentare ottimisticamente di far ricordare a Fedriga e ai suoi che lui si trova a capo della giunta regionale non per fare gli interessi della sua parte politica, ma per il bene di tutti noi, compreso quello della mamma, del papà e della sorella di Giulio Regeni.


Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

sabato 15 giugno 2019

Il furto di dignità

Uno dei parametri più certi per valutare lo stato di salute di una democrazia è quello basato sulla quantità di rischi da correre per mantenere la propria dignità. E la diagnosi attuale appare assolutamente infausta.

Provate a pensarci. Quanta dignità perde una persona che magari decide di non alzare più un terribile cartello con su scritto l’evangelico «Ama il prossimo tuo», perché rischia di essere picchiato a pugni e calci dai sostenitori del ministro degli Inferni?

Quanta ne perde chi magari rinuncia a esprimere il proprio dissenso davanti a una manifestazione – questa sì con grandi striscioni in testa – nella quale si solidarizza con una persona che ha ucciso un ladro sparandogli alle spalle da un balcone?

Quanta chi non dice che si preoccupa di essere in un Paese che sta diventando razzista quando sente sempre lo stesso padrone del governo che minaccia di ripulire l’Italia dai Rom e che, davanti all’obiezione «Ma sono quasi tutti italiani», ghigna minacciosamente: «Beh, quelli purtroppo ce li dobbiamo tenere».

Ma forse l’esempio più clamoroso di sottrazione di dignità arriva da Udine. E di questo Salvini – scusate la parola – con tutta probabilità non sa nulla. Ed è proprio per questo che diventa il più clamoroso; perché ormai il nascondersi e il nascondere la propria dignità per molti sta diventando un automatismo di sopravvivenza.

Alla scuola media Fermi, dove il 45 per cento degli studenti è di origine straniera e dove sono rappresentate più di venti etnie, due insegnanti hanno fatto svolgere ai propri alunni dell’ultimo anno un progetto teso a riflettere su quanto è stato fatto nel corso del triennio. E ne sono uscite delle colorate strisce di stoffa con su delle parole assolutamente pericolose, se non sediziose: “Solidarietà”, “Amicizia”, “Integrazione”, “Autonomia”, “Essere poesia” e altri concetti di simile elevata pericolosità.

E, infatti, davanti a una simile protervia, qualcuno deve aver protestato, se è vero che l’avvenimento ha fatto discutere e se il Comune di Udine, pro tempore saldamente nelle mani della destra, ha magnanimamente concesso di non togliere fino alla fine dell’estate le cosiddette “bandiere tibetane” esposte.

Quello che colpisce, a proposito dell’ormai impiantato automatismo di autodifesa, è la reazione dei due bravissimi insegnanti che hanno voluto far pensare e ragionare, in una parola educare, i propri studenti: hanno ritenuto di dover scusare i propri giovani e, in definitiva, se stessi, sottolineando che tutte queste rivoluzionarie scritte non erano assolutamente contro Salvini e che in tutto questo non c’è alcun collegamento con la politica.

Di tutte le cose brutte che hanno seguito un’iniziativa assolutamente bella, forse la frase peggiore, anche se detta per difendere i propri ragazzi e soprattutto quelli “stranieri”, è stata proprio quella che esclude ogni collegamento tra le nostre azioni e la politica, perché in realtà tutto quello che facciamo, o che non facciamo è politica. Perché quel personaggio che ama travestirsi con le divise come tanti altri nella storia hanno fatto, fa politica e noi facciamo politica sia che diciamo di essere d’accordo, sia che esprimiamo il nostro dissenso, sia che stiamo timorosamente zitti.

Ma perché quei giovani che oggi hanno distillato quelle parole dalla loro esperienza comunitaria in una scuola domani dovrebbero rispettare la politica se prima si fa loro percepire che l’umanità è parte fondamentale della politica e poi lo si smentisce? E perché dovrebbero praticarla ancora se si nega loro l’onore e l’orgoglio di averla già fatta pacificamente e razionalmente? Perché non dovrebbero rinunciare a quella dignità che la democrazia – unico regime che dà davvero spazio alla politica – ci consente?

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

martedì 11 giugno 2019

Diversi, ma diversi

L’improntitudine del sindaco di Udine, Pietro Fontanini (tendo a dare scarsa autonomia di movimento all’assessorato alla Cultura) è davvero esemplare. Attacca a spada tratta vicino/lontano – iniziativa assolutamente privata – perché, a suo dire, è troppo schierato in quanto conteggia la presenza di molti più intellettuali di sinistra che di destra, come se fosse colpa di qualcuno se la cultura, a destra, non è che vada proprio per la maggiore. Inoltre si scaglia contro Gad Lerner in quanto si permette di criticare la Lega, taglia il contributo comunale a un evento ormai apprezzato in tutto il resto d’Italia e pretenderebbe anche che i futuri programmi fossero, se non concordati, quantomeno depurati da momenti in cui egli e i suoi superiori politici potrebbero provare qualche fastidio.
 
Poi, in prima persona, come Comune, appoggia economicamente e con la concessione del Salone del Parlamento del Castello di Udine il convegno “Identitas: uguali ma diversi”, organizzato da Emanuele Franz , filosofo gemonese e direttore della casa editrice Audax, ampiamente incensato dai siti di destra oltre che da quella della sua stessa casa editrice, un convegno che, tra gli altri, annovera la presenza di Alexandr Dugin, filosofo russo dichiaratamente di destra e in netto contrasto con la tutela dei diritti civili, considerato da molti come l’ideologo di Putin, che ha ispirato e supportato una filosofia geopolitica che sostiene l’irrilevanza dell’Unione Europea e la collaborazione tra la “santa Russia” e le forze conservatrici del continente, per ridimensionare la forza degli Stati Uniti e darne di più all’attuale zar di Mosca.

Lungi da me l’idea anche soltanto di oppormi a un’occasione in cui si parla di idee, anche se sono diametralmente opposte alle mie, ma resto davvero ammirato dalla faccia di bronzo di chi pretende equidistanza e apoliticità dagli altri e poi, invece, concede, a se stesso e ai suoi amici, ampi spazi di propaganda senza eccessive opposizioni (si veda il resto dei partecipanti). Guardando in questo senso a Fontanini e ai suoi, forse il titolo più giusto – e per me consolante – per il convegno sarebbe “Identitas: diversi, ma diversi”.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

venerdì 7 giugno 2019

La matematica è un’opinione

Bisogna dare atto al “Governo del cambiamento” che almeno una mirabolante trasformazione l’ha fatta: ha reso la matematica un’opinione.
 
Inizialmente ero convinto che fosse allarmante che nell’attuale governo italiano chi diceva di avere cultura fosse molto carente di valori umani, etici e di solidarietà, mentre chi diceva di possedere quei valori fosse del tutto privo di cultura. Poi abbiamo visto i meno acculturati rinunciare spesso e volentieri anche ai propri principi perché tenere stretta la poltrona è stato per loro più importante e ora vediamo anche quelli che si ritenevano i più scolasticamente preparati sprofondare in un mare di ignoranza addirittura ridicola.

Non ci credete? Eppure mercoledì, dopo che l’Agenzia delle Entrate ha comunica che il gettito Irpef è aumentato del 3,2 per cento e quello dell’Iva del 4,6, Salvini e Di Maio, per una volta d’accordo, hanno annunciato trionfanti che «Abbiamo maggiori incassi di Irpef e Iva di quasi l’8 per cento».

Eppure un qualsiasi studente delle scuole medie che ambisca anche soltanto alla più tirata delle sufficienze dovrebbe sapere che due percentuali diverse non possono essere assommate che se fossero dei normali numeri: se io ho una biblioteca di 100 libri e la incremento del 30 per cento e un mio amico ne ha una di mille e la aumenta del 10 per cento, non è che la somma delle due biblioteche (1.100 in totale) sarà aumentata del 40 per cento, cioè di 440 libri, ma la prima aumenterà di 30 e la seconda di 100, per un totale di 130 volumi.

E, infatti, l’aumento totale delle entrate fiscali è del 3,6 per cento.

I casi sono due: o entrambi i vicepremier sono di un’ignoranza abissale che, anche se pretendono di dare lezioni al resto del continente, li rende palesemente inadatti al ruolo che stanno coprendo, oppure ritengono di governare un popolo di scemi e anche questo dovrebbe renderli incompatibili con l’alto ruolo istituzionale che è stato loro affidato da un popolo che assieme all’inalienabile diritto di scegliere di votare per chi diavolo vuole, sta evidentemente esercitando anche il diritto a un masochismo di cui non ci sono precedenti paragonabili.

Ricordo che una volta Moni Ovadia sosteneva che anche il diritto al voto dovesse essere regolamentato come il diritto a guidare un veicolo, cioè che, come occorre sostenere un esame per ottenere la patente, prima di andare alle urne servisse dimostrare di conoscere, anche se per sommi capi, almeno la Costituzione.

Avevo molti dubbi su questa tesi, sia perché il suffragio universale non sarebbe stato più tale, sia in quanto sarebbe stato sottoposto a una limitazione esposta anche al rischio di soggettività di giudizio e all’ingiusta punizione di chi, pur ragionando, non ha capacità, possibilità, o tempo di mettersi a studiare.

Ma se queste mie obiezioni valgono per l’elettorato attivo, non hanno ragione di esistere per l’elettorato passivo. È possibile che un Paese rischi di affidarsi a persone che, non soltanto non conoscono, o non vogliono conoscere, i principi fondamentali della Costituzione, o che comunque tentano di stravolgerli o bypassarli con leggi che poi magari saranno bocciate dalla Corte costituzionale, ma intanto fanno danni terribili?

Ed è possibile che quello stesso Paese affidi le proprie fortune a personaggi che non sanno nemmeno far di conto?

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/