Matteo Salvini
(scusate se comincio ancora una volta con queste parole) sta tenendo una
serie infinita di comizi nella sua eterna campagna elettorale e questo
tra l’altro ci fa sorgere la domanda se è lecito pagare come ministro
con i soldi di tutti un personaggio che si dà da fare in maniera quasi
esclusiva per un partito che, guarda caso, porta anche il suo nome. Ma
se questo potrebbe essere un argomento da Corte dei conti, a noi
interessa molto di più la quantità inverosimile di cose che è costretto a
dire per non essere troppo ripetitivo e che, alla fine, rivelano di lui
molto di più dei suoi pochi, ma sempre pessimi, atti ufficiali.
A San Giuliano Terme, in provincia
di Pisa, per esempio, ha affermato: «Abbiamo appena reintrodotto
l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse anche il grembiule
per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che
ce l’ha di terza mano perché non può permettersela. Ma sento già chi
griderà allo scandalo ed evocherà il duce, ma un Paese migliore si
costruisce anche con ordine e disciplina».
Per una volta ha proprio ragione, ma
con un piccolo distinguo: ci fa avvertire la puzza di fascismo non
perché parli del grembiule a scuola, ma in quanto questa uscita non fa
che confermare quel miasma che già avvertiamo da tempo e che è
confermato anche dalla frase successiva: «In Italia c’è la democrazia,
ma questo non deve impedire di avere non solo diritti, ma anche doveri.
Ed è soprattutto sui bambini che dobbiamo investire in educazione per
non avere ragazzi che a vent’anni sono solo dei casinisti».
Appuntate la vostra attenzione su
due particolari. Il primo: Salvini è convinto che la maggior parte
dell’Italia – quella che, cioè, non la pensa come lui – non senta i
propri doveri, ma reclami soltanto tanti diritti. E forse è per evitare
tentazioni che il ministro della paura e della propaganda sta già
operando per fare strame di tanti diritti civili e individuali. Il
secondo riguarda il terrore di avere ragazzi “casinisti” perché
evidentemente per lui la contestazione, se non è la sua, è cosa comunque
abominevole e, anzi, se è rivolta contro di lui è da reprimere, come è
stato visto fare a Modena con forza dalla polizia che dal ministero
degli Interni dipende, quando alcuni “giovani casinisti”, ma anche
vecchi seri e composti, hanno avuto l’impudenza di contestarlo cantando
la divisivissima “Bella ciao”.
Lascerei perdere alcune ovvie
contestazioni, magari sul fatto che, per quanto riguarda la scuola
italiana, prima di occuparsi dei grembiuli, sarebbe il caso di
preoccuparsi di soffitti che crollano, di edifici in cui le norme
antisismiche sono totalmente assenti, come invece di prendere le
impronte digitali ai presidi, sarebbe il caso di migliorare le
condizioni degli insegnanti.
Ma torniamo alla puzza di fascismo e
al significato di «ordine e disciplina» che, ovviamente non si
riferiscono ai casi in cui studenti e/o genitori aggrediscono i
professori rei di avere dato un’insufficienza, o di aver deciso una
sospensione, perché in questi casi non di disordine e di indisciplina di
tratta, ma di veri e propri reati.
Ma provate a pensare al valore
simbolico del 7 in condotta, valutazione che, guarda caso, risale al
ventennio fascista e che è stato fissato nel Regio decreto del 24 giugno
1924, il primo della Riforma Gentile, che, all’articolo 82, contiene
questa affermazione che poi non sarà toccata: «La promozione è conferita
agli alunni che nello scrutinio finale abbiano ottenuto voti non
inferiori a 6 decimi in ciascuna materia, o complessivamente in ciascun
gruppo di materie affini, e 8 decimi in condotta».
L’8 è generalmente un voto alto
rispetto agli altri della pagella, ma nella condotta si pretendeva la
perfezione del 10, o quasi: il 9 era accettato ma con malcelato
disappunto, l’8 ti faceva guardare come un potenziale piccolo
delinquente, il 7 era tanto basso da farti andare a ottobre (quella
volta gli esami di riparazione esistevano ancora) in tutte le materie:
da condannarti, insomma a tre mesi (quella volta le vacanze duravano più
o meno così) da passare sui libri, o addirittura alla perdita di un
anno.
E questo perché? Perché forse il
saper comportarsi bene fosse più importante del conoscere l’italiano, la
matematica, una lingua straniera? Assolutamente no. E, infatti, non si
potrebbe capire il perché di una simile severità se si pensasse che la
buona condotta è sinonimo di buona educazione. Diventa, invece,
platealmente comprensibile se si capisce che buona condotta è sinonimo
di disciplina. E la differenza tra disciplina ed educazione è enorme. La
disciplina è il rigoroso rispetto delle regole. L’educazione, invece, è
il rispetto delle persone e delle regole del vivere socialmente e
solidalmente. La differenza è fondamentale perché l’educazione è un modo
di porsi davanti agli altri, mentre la disciplina è il rispetto di
dettami che non tengono conto del valore delle persone che quelle regole
in qualche modo dovrebbero governare. Per capirci: non c’è dubbio che
gli eserciti nazisti fossero rispettosi delle regole che si erano dati,
ma non c’è nemmeno dubbio che erano disumani.
E durante tutto il ventennio le aule
scolastiche furono utilizzate come luogo privilegiato di propaganda
fascista: una palestra di obbedienza, disciplina ed efficienza. I
bambini dovevano essere pronti in ogni occasione a servire il duce e la
patria, senza mettere in discussione l’autorità e il potere. La figura
ideale dello scolaro era delineata soprattutto in base alle sue
attitudini fisiche e alla disponibilità a eseguire ordini e disposizioni
di insegnanti che un po’ alla volta persero la loro autonomia educativa
per diventare, in moltissimi casi, acritiche, se non addirittura
entusiaste cinghie di trasmissione dei voleri del duce. E infatti al
fascismo faceva gioco equivocare sul termine “educazione”, tanto che nel
1929 il ministero dell’Istruzione assunse il nome di ministero
dell’Educazione nazionale, in cui il termine educazione voleva indicare
l’intero processo formativo che la scuola doveva garantire. Non a caso,
nel 1925 Mussolini aveva proclamato: «La disciplina dal basso all’alto
non deve essere formale, ma sostanziale, e tipicamente religiosa, cioè
assoluta».
Insomma, l’assoluto contrario del ragionamento, dell’obiezione
sostanziale, della convinzione che l’uomo non è necessariamente in balia
del destino, ma che è il destino a essere creato dall’uomo con la sua
dignità, il suo libero arbitrio, la capacità di indignarsi e di dire
«No», quel “No” che, in definitiva, è sempre stato il fondamento di ogni
progresso sociale, ma anche scientifico, perché è l’insoddisfazione, il
disaccordo di ragione o di coscienza e essere il motore più potente per
cercare nuove strade che portino in posizioni migliori e più avanzate.
Salvini preferirebbe «ordine e
disciplina», una locuzione che, presa nel suo insieme, non ha altro
significato che “obbedienza”. Quando, alla fine del 1931, Mussolini
impose ai docenti universitari di iscriversi al Partito Nazionale
Fascista, pena l’automatica cacciata dai quadri dell’insegnamento, a
dire «No» furono soltanto 12 professori su oltre 1.250. Ma sono quei 12,
soltanto quei 12, disordinati e indisciplinati, a meritarsi la nostra
ammirazione e soprattutto la nostra gratitudine.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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