venerdì 31 maggio 2019

La responsabilità della scelta

Non era difficile immaginarlo: Salvini vuole capitalizzare subito il suo successo elettorale prima che l’inevitabile scontro con la realtà economica del nostro Paese lo faccia svaporare mettendo a nudo l’insostenibilità di tante promesse e assicurazioni. Ad aiutarlo è anche la situazione dei 5stelle, ma soprattutto degli esponenti del loro gruppo dirigente che sanno che non appena questa legislatura si concluderà, con lei finirà anche la storia parlamentare della maggior parte di loro. La regola del limite del doppio mandato, infatti, appare insuperabile e questo fa diminuire drasticamente le probabilità di elezioni anticipate.

Si può tentare di consolarsi con il fatto che l’ondata nazionalista non è riuscita a sommergere l’Europa e magari anche ricordando che nessuno poteva ragionevolmente illudersi che in Italia questa maledetta notte potesse già avvicinarsi alla fine, ma è certo che i risultati delle europee sono impietosi e che alcuni delle amministrative, come quelli di Riace e di Lampedusa, sgomentano.

E oggi Salvini che, dopo aver indicato come porti sicuri quelli della bolgia demoniaca della Libia meritandosi il titolo di ministro degli Inferni, ha ancora una volta dimostrato di avere in gran spregio le leggi che non gli convengono, infrangendo quel silenzio elettorale che, se fosse davvero un ministro degli Interni, avrebbe dovuto garantire, continua nelle sue azioni da satrapo più che da ministro del governo di uno stato democratico.

Immediatamente, dopo aver attaccato ripetutamente e con violenza, Fazio e Saviano per le loro apparizioni sui canali Rai, ha messo nel mirino Gad Lerner e il suo programma “L’approdo” ancor prima di vederne la prima puntata che andrà in onda – si spera – il 3 giugno. E con Saviano poi si intestardisce a tentar di infierire: «Sto lavorando – dice - a una revisione dei criteri per le scorte che impegnano ogni giorno in Italia più di duemila lavoratori delle forze dell’ordine». E prima dell'annuncio il Fregoli delle felpe fa capire benissimo a chi l’annuncio sarà rivolto mandando un “bacione” a Roberto Saviano, scrittore che da anni vive sotto scorta. Un vero e proprio “bacione” di Giuda. Altro che crocifissi e rosari.

Il più grande pregio della democrazia non consiste soltanto nel fatto di far decidere molte cose al popolo, ma soprattutto, paradossalmente, nel permettere di vincere temporaneamente anche a idee sbagliate. Perché così finisce per sottolineare che nessuno – persona, gruppo o partito che sia – ha il dono dell’infallibilità e che, quindi, ogni volta, in ogni occasione, ci si deve sforzare per convincere che la propria idea sia la migliore e si deve continuare a faticare per dimostrare la stessa cosa anche quando le idee si materializzano in fatti. Poi, se ci si accorge di aver sbagliato, si deve avere il coraggio di correggersi. Anche la democrazia, come la scienza, insomma, esiste e progredisce proprio sugli errori e sulla loro revisione.

È difficile pensare che Salvini e i suoi complici grillini possano ammettere di avere sbagliato: da sempre sono affetti dalla sindrome dell’infallibilità. Ma la cosa che fa preoccupare è che anche chi dovrebbe opporsi al dilagare dell’ondata giallobruna pare contagiato dal medesimo morbo. In una situazione già precaria in partenza, infatti, abbiamo visto realizzarsi l’unico tentativo di raggruppamento tra PD, Articolo Uno e Calenda, mentre Più Europa e i partiti di sinistra hanno continuato a preferire un’orgogliosa solitudine che forse difende le idee, ma sicuramente non le persone per le quali queste idee dovrebbero fare del bene. E, manco a dirlo, a spoglio concluso, mentre Renzi gongola attribuendosi, dopo averne negato la paternità, il merito di quella “politica del pop-corn” che consiste nel non fare nulla e attendere che l’incapacità dei grillini li porti al disastro, i renziani si sono immediatamente scatenati a criticare i risultati del tentativo di unione del centrosinistra deciso e realizzato dall’attuale segreteria del PD.

Cosa ci vorrà per capire che oggi serve soprattutto un Comitato di Liberazione Nazionale? Che è necessaria un’unione temporanea di forze diverse che hanno, però, tanto a cuore gli italiani da mettere temporaneamente da parte alcune idee pur di operare insieme contro un governo che sta distruggendo il Paese non soltanto moralmente, ma anche economicamente? Chi resterà fuori si assumerà una responsabilità terribile.


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venerdì 24 maggio 2019

Bestemmie laiche

A differenza del sedicente ministro degli Interni Matteo Salvini che, come suo compito, dovrebbe controllare anche il rispetto di quel silenzio elettorale prescritto nelle giornate di voto e in quella che le precede, e che lui invece sfrontatamente infrange in prima persona, per quasi tutti gli altri il rispetto della legge è fondamentale e quindi oggi è l’ultimo giorno in cui posso parlare di votazioni europee soprattutto per capire e far capire quale importanza rivesta questa consultazione elettorale.
 
Deve essere chiaro a tutti, infatti, per che cosa in realtà noi abbiamo il diritto di votare. Sono moltissime le motivazioni che dovrebbero farci riflettere, ma una le sovrasta tutte. Il nostro continente è stato per secoli il teatro di continue guerre sanguinose e finalmente, nella seconda metà del secolo scorso, alcune nazioni, poi imitate anche da altre, hanno deciso che per la pace era possibile, se non doveroso, rinunciare a una parte della propria sovranità.

Detto questo e vedendo quello che sta accadendo in Italia e in Europa, la domanda che dobbiamo porci è molto semplice: per riconquistare quei pezzi di sovranità ai quali si è abdicato saremmo disposti a rinunciare a pezzi di pace? Anzi, visto che la pace c’è, o non c’è, saremmo disposti a rinunciare alla pace tout court, almeno relativamente al nostro continente?

La risposta, almeno per me, è un negazione assoluta e priva di alcuna venatura di dubbio. Anzi, ritengo che l’essere sovranisti equivalga a una vera e propria bestemmia laica.

Potrei fermarmi qui perché non ho la minima intenzione di suggerire per chi votare, seguendo ragionamenti sui voti utili o inutili, sulle rigidità assortite che ci arricchiscono e contemporaneamente ci impoveriscono da sempre. Con certezza posso soltanto dire per chi non votare: non per i sovranisti e i suprematisti dichiarati, ma neanche per coloro che vorrebbero allearsi con loro e neppure per quelli che traccheggiano senza esprimersi, oppure cambiano dichiarazioni a ogni stormir di foglie e a seconda della convenienza; magari anche perché il limite dei due mandati corrisponderebbe per loro, in caso di elezioni anticipate, non soltanto all’abbandono della comodissima e prestigiosa poltrona ministeriale, ma anche alla fine delle loro presenze in Parlamento.

Non dico per chi votare perché – lo ripeto ancora una volta – in questo momento ritengo necessaria, imprescindibile, almeno temporaneamente, la formazione di una riedizione del Comitato di Liberazione Nazionale – non soltanto a livello di partiti, ma anche e soprattutto di cittadini – che faccia finire questa maledetta notte democratica che stiamo attraversando.
In ogni caso domenica, andando a votare contro i sovranisti, ci renderemo conto di essere contemporaneamente nel giusto e nello sbagliato. Nel giusto perché scegliamo una strada verso un futuro di progresso umano e sociale; nello sbagliato perché non abbiamo ancora fatto abbastanza per riunire tutti quelli che la pensano allo stesso modo sulle basi fondamentali della democrazia e della Costituzione per rimandare a dopo le altre discussioni, pur importanti ma destinate a rimanere soltanto accademiche se manca la democrazia che permetta di tramutare le discussioni in compromessi e decisioni.

E sempre senza mai abbassare la guardia, senza lasciare che le diatribe su cose secondarie possano prevalere sulle cose fondamentali. Con la piena coscienza che i diritti non sono un regalo divino, ma una conquista umana che deve essere difesa strenuamente perché qualcuno può sempre tentare di rubarcela.


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mercoledì 22 maggio 2019

Cattolicesimo e altri politeismi

Verrebbe da dire che ha disturbato tutti la spudorata recita di Salvini che, sul palco della manifestazione sovranista di Piazza Duomo, a Milano, durante il comizio ha impugnato ancora una volta un rosario e ha chiuso il suo intervento nominando la Madonna «che sicuramente – ha detto – ci porterà alla vittoria». E che immediatamente dopo ha attaccato Papa Francesco istigando i suoi seguaci a fischiarlo.
 
Ha scandalizzato i credenti perché si è trattato del tipico esempio del «Non nominare il nome di Dio invano». Ha indignato i non credenti che si cullavano nell’illusione che finalmente si stesse riuscendo a dare «a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio». Ha fatto sdegnare coloro che non sono non credenti e che con questa doppia negazione intendono dire che sanno soltanto che non sapranno mai nulla, anche se per loro Dio resta sempre una speranza, un ottativo, ne sono, come dice un amico, “simpatizzanti”.

L’esibizione, ovviamente, ha destato le reazioni più esplicite proprio tra i credenti e soprattutto nella Chiesa. La prima è stata quella del cardinale Parolin che ha detto: «La politica partitica divide, Dio invece è di tutti. Invocare Dio per se stessi è sempre molto pericoloso». Il settimanale Famiglia Cristiana ha scritto: «Il rosario brandito da Salvini e i fischi della folla a Papa Francesco: ecco il sovranismo feticista». Sdegnato anche l’Avvenire che poco più in là annota anche che il sedicente ministro degli Interni afferma che «Nel 2019 si sono avuti solo due morti in mare», mentre l’Alto commissariato per i rifugiati dell’ONU ne conta 402 e l’OIM (Organizzazione internazionale migranti), sempre per le Nazioni Unite, 307.

Il presidente della CEI, cardinale Gualtiero Bassetti, invita a «non disertare» il voto di domenica nella consapevolezza che il problema non è soltanto l’Europa, su cui «soffiano populismi e sovranismi», «bensì l’Italia, nella nostra fatica a vivere la nazione come comunità politica». E chiede al Paese di ricominciare dalla sua storica capacità di accoglienza, dalla proposta di un «umanesimo concreto». «Come italiani – afferma – dovremmo essere il volto migliore dell'Europa per dare più fierezza ai nostri giovani, ai nostri emigrati e a quanti sbarcano sulle nostre coste, perché siamo il loro primo approdo». E in questa situazione non può non far piacere la notizia che Papa Francesco ha chiesto ai vescovi un Sinodo che ricostruisca finalmente la base di un rapporto proficuo tra fede e politica.

Eppure, pur nello sdegno generale per le frasi di Salvini e il suo cattolicesimo utilitaristico, ci sono anche zone in cui si preferisce tacere, o addirittura approvare a mezza voce, sia a livello di episcopati, sia di parrocchie in cui alcuni considerano il “capitano” della Lega, che curiosamente questa volta non si è travestito da cardinale, il male minore. E ti viene il dubbio che, pur se consacrati, abbiano letto distrattamente il Vangelo, o abbiano ritenuto più comodo dimenticarne larghe parti.

Eppure, anche se non possiamo sapere nulla di certo sul Creatore, qualche certezza riusciamo ad averla. Per esempio quella che – mi scuso per la rozzezza e limitatezza del linguaggio – non è un Dio moderato, ma è sicuramente un Dio estremista; se per moderato intendiamo colui che cerca compromessi e per estremista chi li rifiuta nel nome dei propri valori. Perché di sicuro non può essere contemporaneamente il Dio dei ricchi e il Dio dei poveri; il Dio di chi vuole la pace e di chi legittima le guerre; non può essere il Dio dei razzisti e degli aliofobi e insieme il Dio di chi sa accogliere con carità cristiana; il Dio dei forti, dei potenti e dei prepotenti e il Dio dei deboli, dei fragili, degli emarginati, degli ultimi; il Dio di chi usa il potere per prevaricare e sentirsi al di sopra delle leggi e il Dio di chi sente il potere come servizio.

È come se all’interno del cattolicesimo si adorassero degli dei diversi in una specie di politeismo non riferito ai nomi, ma alla sostanza. È vero: questo inatteso politeismo non si concretizza soltanto nella Chiesa cattolica. Nell’ebraismo Netanyhau, oggi, e Perez e Rabin, ieri, usano lo stesso nome per indicare entità divine terribilmente diverse e nell’islam, al di là dell’ancestrale inimicizia tra sciiti e sunniti, ci sono enormi differenze tra il dio dei fondamentalisti terroristi e quello della maggior parte della gente che, invece, ha un rapporto pacifico con il suo Creatore.

Ma tutto questo non lo si può superare con un semplice «Mal comune, mezzo gaudio», anche perché si creda a Dio o meno, il Vangelo resta il testo sul quale si poggia gran parte dello sviluppo etico e sociale degli esseri umani e far finta che non esista, o addirittura tentar di travisarne il significato di amore per il prossimo è un modo certo per prolungare questa maledetta notte che stiamo attraversando.

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domenica 19 maggio 2019

Colpe e complicità

Va bene. D’accordo. Ci dicono che è meglio, anche per questioni di utilità politica, non chiamare razzisti i razzisti e fascisti i fascisti; e noi, dubbiosi ma ragionevoli, tentiamo di adeguarci. Ma se ci adeguiamo noi fortunatamente non tutti fanno considerazioni politicamente utilitaristiche, ma preferiscono dire le cose come stanno.
Una fonte che fa così è l’ONU che, in una lettera di undici pagine, chiede all’Italia di ritirare le direttive del Viminale contro il salvataggio in mare e di interrompere immediatamente l’iter di approvazione del decreto Sicurezza bis, che Salvini vorrebbe portare subito in Consiglio dei ministri. E le motivazioni sono chiarissime, oltre che avvilenti per gli abitanti del Paese che viene richiamato: «Mette a rischio i diritti umani dei migranti, inclusi i richiedenti asilo»; «fomenta il clima di ostilità e xenofobia», «viola le convenzioni internazionali».
Beatriz Balbin, capo delle “Special procedures” dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani aggiunge che «è stato ampiamente documentato in diversi report dell’ONU che i migranti in Libia sono soggetti ad abusi, torture, omicidi e stupri e quindi la Libia non può essere considerata un ‘place of safety’, un porto sicuro, per lo sbarco». E la lettera continua specificando che «ci sono ragionevoli elementi per ritenere che la direttiva del 15 aprile sia stata emanata per colpire direttamente la Mare Jonio, vietandole l’accesso alle acque e ai porti italiani. La si accusa esplicitamente di favorire l’immigrazione clandestina. Siamo profondamente preoccupati per queste direttive, che non sono basate su alcuna sentenza della competente autorità giuridica». E osserva anche che tali direttive non sono altro che «l’ennesimo tentativo di criminalizzare le operazioni Search and rescue delle organizzazioni civili».
La missiva rivela, poi, anche un’altra notizia di estrema importanza: che l’Alto Commissariato per i Diritti Umani tramite l’ambasciatore italiano all’Onu Gian Lorenzo Cornado aveva già fatto giungere lo scorso anno al ministro italiano degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, due richiami del tutto snobbati dal governo italiano che, dunque appare responsabile in solido di queste decisioni che, pur se volute soprattutto da uno, sono state avallate da tutti in una manifestazione di complicità che non può essere in alcun modo sottaciuta.
Interessante è vedere come i tre giornali che maggiormente supportano le azioni di questo governo, o almeno di una sua parte politica, hanno affrontato la notizia. Ebbene, due non ne hanno fatto neppure ceno, salvo poi dare ampio spazio a Salvini che replica a non si sa cosa. Il terzo pubblica un sunto della lettera, ma sotto un titolo nettamente fuorviante: «L’ONU a gamba tesa su Salvini», dando l’idea che a commettere fallo sia stato l’ONU e non lo stesso Salvini.
Il ministro della paura risponde nella mattinata successiva definendo il suo decreto “Sicurezza bis” «necessario, urgente e tecnicamente ineccepibile», confermando che non permetterà alla Sea Watch di far scendere a terra i 47 migranti e invitando l’ONU a occuparsi del Venezuela piuttosto che delle sue decisioni. E in questo mi ricorda da vicino il sindaco di Udine, Pietro Fontanini, che ogni volta che sente parlare di Auschwitz, pur non essendone minimamente responsabile, risponde quasi automaticamente: «E le foibe, allora?». Come se due orrori si elidessero invece di assommarsi nella condanna.
Salvini poi se la prende con l’ONU perché l’Alto commissariato «non ha inviato la lettera prima al Viminale e poi, eventualmente, ai media e non viceversa». Azzardo una risposta: forse perché delle due prime lettere Salvini ha fatto in modo che non ne sapesse nulla nessuno.
La lettera dell’ONU e la risposta di Salvini conferma una volta di più il fatto che la reazione a quello che sta succedendo in Italia non è più una cosa che riguardi soltanto la sinistra e il centrosinistra, ma tocca tutti coloro che sono contro questi invasori e distruttori di diritti: è necessario costituire un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale nel quale non si discuta di altre cose al di là della Liberazione per via costituzionale fino a quando non si tornerà a una democrazia sostanziale nella quale tutti possano davvero dire la loro parola e nella quale nessun ministro possa sentirsi investito dal dono dell’infallibilità e della non contraddicibilità e che a tutti sia ben chiaro che la complicità non è meno condannabile della titolarità di atteggiamenti inumani.
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sabato 11 maggio 2019

Dimmi con chi vai…

Matteo Salvini ha fatto uscire dal Viminale un nuovo provvedimento in 12 articoli denominato “Decreto sicurezza bis”. Tra le tante cose di assolutamente dubbia costituzionalità ne ha infilata una che è anche di indubbia inumanità e altrettanto certa illegalità internazionale: ha stabilito, infatti, che per ogni migrante salvato dall’annegamento, il salvatore dovrà pagare multe fino a 5 mila euro.
 
Al di là del fatto che Salvini (continuo a scusarmi per usare questa parola) fa finta che non esistano i codici della navigazione, quello penale e quello di procedura penale, oltre al testo unico di pubblica sicurezza, la cosa che colpisce di più è che, lungi dall’ottemperare all’obbligo di salvare vite umane in pericolo, quel signore, che vuol farsi passare per ministro degli Interni, mentre in realtà copre soltanto il dicastero dell’odio, della paura e della propaganda pro domo sua, crea elementi di dissuasione alla solidarietà più elementare, naturale e obbligatoria: quella di salvare il proprio prossimo.

Anzi, con multe di quel tipo ci si rende responsabile di induzione alla complicità nella morte di esseri umani. Perché se puoi salvare qualcuno e non lo fai, non puoi far finta di non averne la responsabilità.

Tra i vecchi proverbi ce n’era uno che diceva: «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei». Io d’ora in poi domanderò spesso: «Per chi voti?». E, senza pretese di sapere con certezza chi davvero è chi mi risponde, se la risposta sarà «Salvini», mi limiterò a decidere esplicitamente non soltanto di non stringergli la mano, e di non rivolgergli più la parola, ma tenterò anche di non trovarmi a respirare la sua stessa aria.

Ai razzisti e a chi ritiene di appoggiare chi razzola nelle più basse sozzerie umane pur di guadagnare qualche voto non si può non dire che sono razzisti e umanamente inaccettabili. E non soltanto per isolarli e farglielo sentire, ma anche per rispetto verso noi stessi e la nostra dignità.

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giovedì 9 maggio 2019

Le vere differenze

Quando si sbaglia, si deve ammetterlo. Ho sempre stigmatizzato il comportamento di Di Maio al governo accusandolo di essere complice di Salvini nelle sue azioni più disumane per paura di dover rinunciare a una poltrona comoda e prestigiosa come quella di vicepresidente del Consiglio. Mi sbagliavo: Di Maio è complice di Salvini semplicemente perché è simile a lui.
 
Non ci credete? A Roma la sindaca Raggi è andata a Castel Bruciato, dove andava in scena la solita violenza di CasaPound e complici contro una famiglia Rom che voleva entrare in una casa popolare assegnatale secondo le graduatorie di legge e ha detto che «Questa famiglia risulta legittima assegnataria di un alloggio. Ha diritto di entrare e la legge si rispetta. Siamo andati a conoscerli e sono terrorizzati. Abbiamo avuto modo di far conoscere questa famiglia ad alcuni condomini. Chi insulta i bambini e minaccia di stuprare le donne forse dovrebbe farsi un esame di coscienza. Non è questa una società in cui si può continuare a vivere».

L’iniziativa della sindaca, accompagnata da alcuni vicini di casa e dal direttore della Caritas diocesana di Roma, è stata accolta da una raffica di insulti e offese sessiste da parte dei fascisti e di parte dei residenti, ma anche con esplicita irritazione da Di Maio che, in piena sintonia con Salvini, ha affermato che prima si aiutano i romani, poi gli italiani, poi tutti gli altri. Il capo politico dei 5stelle si è indispettito anche per la tempistica con cui la sindaca ha scelto di prendere questa sua iniziativa facendo così distrarre una parte dell’attenzione di coloro che tra poco andranno a votare dal licenziamento del sottosegretario leghista Siri dal governo.

D’altro canto, vista a posteriori, la presa di posizione di Di Maio non avrebbe dovuto stupire perché obbiettivamente, se non si fosse della stessa idea, o almeno se non la si accettasse, sarebbe difficile tollerare di restare nella medesima stanza dove si deve respirare la stessa aria di chi, per cinica propaganda e per inumana ferocia, si spinge a considerare le migliaia di morti annegati nel Mediterraneo un buon esempio, un deterrente per altri migranti pronti a partire per fuggire da guerre, torture, dittature, fame, malattie endemiche; insomma per chi coscientemente rischia la morte per sperare di vivere. Di chi considera la morte di un essere umano, anche se ladro, una pena esemplare per dissuadere altri dal seguire la stessa strada. Di chi vuole riportarci indietro di secoli quando la giustizia non dipendeva dalle leggi, ma soltanto dalla forza e dalle armi del più forte.

Noi siamo abituati da sempre a scrutare coloro che ci arrivano davanti e a cercar di individuare in cosa sono diversi da noi. E, invece, dovremmo rovesciare la prospettiva di questi contatti. Le differenze non vanno cercate tra coloro che vengono da noi per cercare accoglienza e aiuto: loro sono tutti resi uguali dalla sofferenza e dal bisogno. Le vere differenze sono tra noi: tra quelli che accolgono e quelli che respingono; tra coloro che credono che tutti siano uguali e i razzisti che credono che un italiano Rom, o di pelle un po’ più scura, abbia meno diritti di un italiano non Rom, o di pelle chiara.

In questa nostra società i travisamenti della realtà sono sempre tantissimi, ma questo è uno dei più importanti perché dura da secoli e ha causato milioni di immotivabili persecuzioni e di lutti.

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sabato 4 maggio 2019

Disordine e indisciplina

Matteo Salvini (scusate se comincio ancora una volta con queste parole) sta tenendo una serie infinita di comizi nella sua eterna campagna elettorale e questo tra l’altro ci fa sorgere la domanda se è lecito pagare come ministro con i soldi di tutti un personaggio che si dà da fare in maniera quasi esclusiva per un partito che, guarda caso, porta anche il suo nome. Ma se questo potrebbe essere un argomento da Corte dei conti, a noi interessa molto di più la quantità inverosimile di cose che è costretto a dire per non essere troppo ripetitivo e che, alla fine, rivelano di lui molto di più dei suoi pochi, ma sempre pessimi, atti ufficiali.

A San Giuliano Terme, in provincia di Pisa, per esempio, ha affermato: «Abbiamo appena reintrodotto l’educazione civica a scuola e vorrei che tornasse anche il grembiule per evitare che vi sia il bambino con la felpa da 700 euro e quello che ce l’ha di terza mano perché non può permettersela. Ma sento già chi griderà allo scandalo ed evocherà il duce, ma un Paese migliore si costruisce anche con ordine e disciplina».

Per una volta ha proprio ragione, ma con un piccolo distinguo: ci fa avvertire la puzza di fascismo non perché parli del grembiule a scuola, ma in quanto questa uscita non fa che confermare quel miasma che già avvertiamo da tempo e che è confermato anche dalla frase successiva: «In Italia c’è la democrazia, ma questo non deve impedire di avere non solo diritti, ma anche doveri. Ed è soprattutto sui bambini che dobbiamo investire in educazione per non avere ragazzi che a vent’anni sono solo dei casinisti».

Appuntate la vostra attenzione su due particolari. Il primo: Salvini è convinto che la maggior parte dell’Italia – quella che, cioè, non la pensa come lui – non senta i propri doveri, ma reclami soltanto tanti diritti. E forse è per evitare tentazioni che il ministro della paura e della propaganda sta già operando per fare strame di tanti diritti civili e individuali. Il secondo riguarda il terrore di avere ragazzi “casinisti” perché evidentemente per lui la contestazione, se non è la sua, è cosa comunque abominevole e, anzi, se è rivolta contro di lui è da reprimere, come è stato visto fare a Modena con forza dalla polizia che dal ministero degli Interni dipende, quando alcuni “giovani casinisti”, ma anche vecchi seri e composti, hanno avuto l’impudenza di contestarlo cantando la divisivissima “Bella ciao”.

Lascerei perdere alcune ovvie contestazioni, magari sul fatto che, per quanto riguarda la scuola italiana, prima di occuparsi dei grembiuli, sarebbe il caso di preoccuparsi di soffitti che crollano, di edifici in cui le norme antisismiche sono totalmente assenti, come invece di prendere le impronte digitali ai presidi, sarebbe il caso di migliorare le condizioni degli insegnanti.

Ma torniamo alla puzza di fascismo e al significato di «ordine e disciplina» che, ovviamente non si riferiscono ai casi in cui studenti e/o genitori aggrediscono i professori rei di avere dato un’insufficienza, o di aver deciso una sospensione, perché in questi casi non di disordine e di indisciplina di tratta, ma di veri e propri reati.

Ma provate a pensare al valore simbolico del 7 in condotta, valutazione che, guarda caso, risale al ventennio fascista e che è stato fissato nel Regio decreto del 24 giugno 1924, il primo della Riforma Gentile, che, all’articolo 82, contiene questa affermazione che poi non sarà toccata: «La promozione è conferita agli alunni che nello scrutinio finale abbiano ottenuto voti non inferiori a 6 decimi in ciascuna materia, o complessivamente in ciascun gruppo di materie affini, e 8 decimi in condotta».

L’8 è generalmente un voto alto rispetto agli altri della pagella, ma nella condotta si pretendeva la perfezione del 10, o quasi: il 9 era accettato ma con malcelato disappunto, l’8 ti faceva guardare come un potenziale piccolo delinquente, il 7 era tanto basso da farti andare a ottobre (quella volta gli esami di riparazione esistevano ancora) in tutte le materie: da condannarti, insomma a tre mesi (quella volta le vacanze duravano più o meno così) da passare sui libri, o addirittura alla perdita di un anno.

E questo perché? Perché forse il saper comportarsi bene fosse più importante del conoscere l’italiano, la matematica, una lingua straniera? Assolutamente no. E, infatti, non si potrebbe capire il perché di una simile severità se si pensasse che la buona condotta è sinonimo di buona educazione. Diventa, invece, platealmente comprensibile se si capisce che buona condotta è sinonimo di disciplina. E la differenza tra disciplina ed educazione è enorme. La disciplina è il rigoroso rispetto delle regole. L’educazione, invece, è il rispetto delle persone e delle regole del vivere socialmente e solidalmente. La differenza è fondamentale perché l’educazione è un modo di porsi davanti agli altri, mentre la disciplina è il rispetto di dettami che non tengono conto del valore delle persone che quelle regole in qualche modo dovrebbero governare. Per capirci: non c’è dubbio che gli eserciti nazisti fossero rispettosi delle regole che si erano dati, ma non c’è nemmeno dubbio che erano disumani.

E durante tutto il ventennio le aule scolastiche furono utilizzate come luogo privilegiato di propaganda fascista: una palestra di obbedienza, disciplina ed efficienza. I bambini dovevano essere pronti in ogni occasione a servire il duce e la patria, senza mettere in discussione l’autorità e il potere. La figura ideale dello scolaro era delineata soprattutto in base alle sue attitudini fisiche e alla disponibilità a eseguire ordini e disposizioni di insegnanti che un po’ alla volta persero la loro autonomia educativa per diventare, in moltissimi casi, acritiche, se non addirittura entusiaste cinghie di trasmissione dei voleri del duce. E infatti al fascismo faceva gioco equivocare sul termine “educazione”, tanto che nel 1929 il ministero dell’Istruzione assunse il nome di ministero dell’Educazione nazionale, in cui il termine educazione voleva indicare l’intero processo formativo che la scuola doveva garantire. Non a caso, nel 1925 Mussolini aveva proclamato: «La disciplina dal basso all’alto non deve essere formale, ma sostanziale, e tipicamente religiosa, cioè assoluta».

Insomma, l’assoluto contrario del ragionamento, dell’obiezione sostanziale, della convinzione che l’uomo non è necessariamente in balia del destino, ma che è il destino a essere creato dall’uomo con la sua dignità, il suo libero arbitrio, la capacità di indignarsi e di dire «No», quel “No” che, in definitiva, è sempre stato il fondamento di ogni progresso sociale, ma anche scientifico, perché è l’insoddisfazione, il disaccordo di ragione o di coscienza e essere il motore più potente per cercare nuove strade che portino in posizioni migliori e più avanzate.


Salvini preferirebbe «ordine e disciplina», una locuzione che, presa nel suo insieme, non ha altro significato che “obbedienza”. Quando, alla fine del 1931, Mussolini impose ai docenti universitari di iscriversi al Partito Nazionale Fascista, pena l’automatica cacciata dai quadri dell’insegnamento, a dire «No» furono soltanto 12 professori su oltre 1.250. Ma sono quei 12, soltanto quei 12, disordinati e indisciplinati, a meritarsi la nostra ammirazione e soprattutto la nostra gratitudine.

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