Il calendario
dice che oggi è venerdì 26 aprile. Sarà anche vero, ma deve essere
altrettanto vero che anche oggi è il 25 aprile e che il titolo che
deriva da questo concetto sarà da utilizzare pure domani, dopodomani e
in ogni altro giorno a venire. Perché l’impegno a ricordare che la
nostra Repubblica si fonda sull’antifascismo, e ad agire di conseguenza,
non può e non deve essere circoscritto a un solo giorno l’anno.
A dimostrarlo sono i rigurgiti di
fascismo, vere e proprie flatulenze mentali, che hanno insozzato varie
parti d’Italia: da Marsala dove sono apparsi simboli delle SS, croci
uncinate, croci celtiche e frasi fasciste, a Roma dove è stato esposto
uno striscione con la scritta “Basta con l’antifascismo”, a Bologna dove
è stata danneggiata una lapide commemorativa della Resistenza, a
Grosseto dove sono state imbrattate di vernice la lapide dedicata a
partigiani ammazzati dai nazifascisti, a Milano dove, dopo l’orrendo
striscione “Onore a Mussolini” spiegato a pochi passi da piazzale Loreto
e condito da saluti romani e urla fasciste, è stata incendiata una
corona d’alloro deposta per ricordare un altro partigiano ucciso.
A dimostrarlo c’è l’assordante
silenzio di quello che si ostina a definirsi ministro degli Interni, ma
che non ritiene di sprecare neppure una parola davanti ai reati che ho
appena elencato.
A dimostrarlo sono anche gli
illuminati e preoccupati richiami del presidente della Repubblica
Mattarella che a Vittorio Veneto, pur non citando Salvini al quale però
devono essere fischiate le orecchie, ha ammonito che «La storia insegna
che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse
di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica
e distruttiva» e ha ricordato che «L’Italia pone i suoi fondamenti
nella dignità umana, nel rispetto dei diritti politici e sociali,
nell’eguaglianza tra le persone, nella collaborazione fra i popoli, nel
ripudio del razzismo e delle discriminazioni».
Ieri in piazza per ricordare la
lotta partigiana e la liberazione si era in tanti, a occhio più che
negli anni scorsi e anche con tanti giovani, dimentichi per un giorno
delle baruffe intestine sulle pur importanti sfumature, per ricordarsi
che davanti a un nemico comune bisogna fare fronte comune. E in tanti
hanno ripreso a guardarsi per tentare di riuscire di nuovo a
riconoscersi.
Forse, paradossalmente, dovremmo
ringraziare proprio i fascisti e Salvini se oggi, angosciati da quello
che sta accadendo nel nostro Paese e intristiti dal pessimismo per il
futuro dei nostri giovani, finalmente cominciamo a renderci conto che se
non ci affrettiamo a fare qualcosa, continueremo a vedere sempre più in
pericolo quella strada di progresso che ha portato la nostra civiltà a
ridurre la violenza e ad ampliare i diritti; continuaremo a temere
sempre più concretamente un inversione di tendenza brusca e traumatica
che – come aveva previsto in tempi non sospetti Karl Popper, che
certamente comunista non era – rischia di mettere in pericolo
l’esistenza stessa della nostra civiltà.
Il problema – dobbiamo avere il
coraggio e l’umiltà di dirlo – è che abbiamo buttato via, almeno per una
certa parte, i nostri valori. Lo hanno fatto – e sto usando termini
apparentemente desueti – comunisti, socialisti, cattolici, liberali;
inizialmente lo hanno fatto persino i fascisti; perché anche loro
avevano delle convinzioni, anche se per me sono dei disvalori. Li
abbiamo buttati via illudendoci che senza valori ci saremmo potuti
avvicinare l’uno all’altro in una sorta di fatale attrazione in un posto
paludoso, indistinto e ritenuto vincente che molti, per comodità,
chiamano centro, ma che io non voglio definire così, perché anche il
centro è stato politicamente degno. E abbiamo tentato di avvicinarci
facendo ressa tutti insieme, cercando di farci belli e di attrarre
simpatie, imitando gli altri quando questi stavano vincendo, truccandoci
e travisando il nostro volto e il nostro pensiero, perché era più
importante catturare un voto che compiere un’azione degna. Ma in
definitiva non siamo riusciti ad attrarre nessuno perché il vuoto, dopo
un primo senso di disorientante vertigine, non attrae mai nessuno, ma,
anzi, dà un senso di repulsione.
E il risultato è che c’è stata
sempre meno gente che si è avvicinata al voto, alla politica, alla
partecipazione, al vivere sociale. E contemporaneamente non ci siamo
sentiti più vicini agli avversari di una volta perché siamo rimasti
completamente estranei. E contemporaneamente abbiamo perduto molti amici
perché senza valori di riferimento non li riconoscevamo più, né loro
riconoscevano noi. E contemporaneamente abbiamo perso anche il rispetto
di noi stessi.
E soltanto adesso, quando abbiamo
percepito questo vuoto, quando abbiamo sentito il rodere del rimorso
provocato dal nostro peccato di omissione – il più grave perché l’unico
sicuramente deliberato – abbiamo cominciato a tentare di tornare a pieno
titolo umani, a ritenere nuovamente che la nostra vita privata e
pubblica non possano esistere senza etica, che la politica non possa
esistere senza etica, che il lavoro non possa esistere senza etica, che
l’economia non possa esistere senza etica, che la finanza, raffinata e
spietata usura moderna, così com’è non possa esistere e basta.
Quindi, se il calendario dice che
oggi è il 26 aprile, sarà anche vero, ma lo spirito deve restare quello
del 25 aprile, E, se vogliamo che questa maledetta notte finisca, così
dovrà essere anche domani, dopodomani e ogni giorno a venire.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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