venerdì 20 dicembre 2019

Ritorno al futuro

Una frattura può impedire di scrivere, ma non di vedere, pensare, parlare. E vedere quello che sta risalendo a galla in Italia impone di pensare e parlare.
 
In questo periodo sono accadute tantissime cose, alcune di una gravità che è riuscita a essere un gradino più in alto rispetto a quella gravità che pensavamo già essere un record. Ma questa volta, almeno per una volta, si deve guardare a quello che è successo di buono e mi riferisco al fenomeno delle cosiddette Sardine, tanto vituperate e tanto temute dalla destra, tanto lodate e tanto temute da certa sinistra.

Era da così tanto tempo che non vedevamo più una realtà che una volta respiravamo quotidianamente in maniera praticamente automatica, che non ci stiamo quasi rendendo conto che stiamo vedendo rinascere quello che è sempre stata la base, il DNA della democrazia rappresentativa: il sentire comune di gruppi di persone; il desiderio di far arrivare il proprio pensiero là dove si può decidere e operare senza necessariamente doverci andare di persona; l’avere una serie di valori irrinunciabili ed essere convinti che quei valori non possono in nessun caso essere messi in ombra, scavalcati, conculcati da un leader, capo politico, capitano, dittatore, comandante, uomo carismatico (altri sinonimi metteteceli pure voi) che sia. E dai suoi interessi, confusioni, o umori del momento.

Accusano le Sardine di essere contro e di non fare proposte politiche. Ma chiediamocelo: l’essere contro qualcosa, il non volerlo, non sarebbe una scelta? Altro che se lo è. Se gli antifascisti avessero urlato quotidianamente e a voce altissima il loro no, il fascismo non sarebbe mai cresciuto. E la stessa cosa, pur se la satrapia portava nomi diversi, è accaduta in moltissimi Paesi del mondo.

Perché il maggiore nemico della democrazia è sempre il silenzio. E il silenzio non va inteso soltanto come assenza di parole: deve essere anche assenza di rumore. E nelle circa cento piazze d’Italia riempite da queste riunioni improvvise e improvvisate, ma coscienti e determinate, il rumore è stato assicurato da impianti di amplificazione inadeguati, da canti che hanno fatto uscire dalla bocca anche migliaia di voci stonate. Il rumore è stato assicurato dalle parole che si è scambiati gli uni con gli altri, dallo stupore e dal piacere di trovarsi vicini a qualcuno che si conosceva già, ma che non si sapeva che la pensasse più o meno come noi.

Accusano le Sardine di essere contro e di non fare proposte politiche. Ma vi sembra davvero politicamente poco trovarsi e stare insieme perché si è tutti contro quello che si è convinti essere il male. E se si è contro quello che si è convinti essere il male, si è inevitabilmente a favore di quello che si è convinti essere il bene. Quel bene che poi, comunque, continuerà ad avere le sue mille sfumature.

In quelle piazze, guardando il vicino ci si rende conto di non sapere per quale partito, o per quale candidato egli voterà, ma si è già certi che esprimerà il suo suffragio in maniera tale da far allontanare il populismo, il sovranismo, il razzismo. E anche il protagonismo di chi, soprattutto a destra, ma anche in altre parti politiche, crede di poter essere l’unico uomo al comando, l’unico capace di pensare, l’unico a possedere la verità. Mentre la democrazia investe tutto il popolo della responsabilità e del potere di portare il proprio mattone per la costruzione del bene comune. E questo vi sembra poco? E questo non dovrebbe già essere una gran cosa?

Le Sardine non possono, né devono diventare un partito, ma sono già la promessa di qualcosa di ancora più importante: sono il concepimento di quella che speriamo sia la rinascita dei cosiddetti “corpi intermedi”, di quelle libere associazioni di cittadini che non avevano come scopo quello di indirizzare i voti degli aderenti verso un unico partito politico ben determinato, ma si impegnavano a indirizzarlo verso aree politiche, quelle sì, socialmente ben determinate.

La nascita delle Sardine mi appare come il primo vagito di un neonato che, a guardarlo bene, assomiglia molto alla reincarnazione della prima democrazia rappresentativa, quella che era davvero rappresentativa e che, soprattutto era davvero politica.

A vedere le piazze così piene, nel freddo, sotto la pioggia, sembra di assistere a un benedetto ritorno al futuro nel quale ci si volge indietro per recuperare tutto quello di buono che abbiamo perduto, o distrutto, per strada e ci si spinge in avanti per riportare a galla quella democrazia solidale che è l’unica che può far schiarire l’orizzonte per far finire questa maledetta notte che è durata davvero troppo.

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giovedì 21 novembre 2019

Da Biella a Udine

La vicenda di Biella segna un punto importante perché dimostra che Salvini ormai si rende conto che la Lega ha praticamente concluso la sua spinta propulsiva e ora si trova in forte imbarazzo. Se continua a scavare a caccia di voti negli abissi della destra estrema, non riuscirà mai ad arrivare al tanto desiderato “potere assoluto” perché una buona parte di quelli che una volta amavano farsi chiamare “di destra moderata” preferiscono lasciarlo e passare con chi alla destra moderata è davvero molto vicino, come Renzi. Se, invece, tenta di fare l’uomo serio per recuperare voti al centro, altro non fa che perdere tutta quella fetta di razzisti e fascisti che preferiscono tornare a casa sotto le insegne della Meloni.

La storia di Biella è presto detta. In consiglio comunale viene portata la proposta di conferire la cittadinanza onoraria a Liliana Segre. Il sindaco Claudio Corradino, leghista, sceglie, come il suo partito al Senato, di non alzarsi in piedi come segno di rispetto per la senatrice a vita e decide, come tanti altri sindaci leghisti, di negare l’onorificenza, ma, preso dalla voglia di strafare, propone e ottiene di dare invece la cittadinanza onoraria a Ezio Greggio, un comico che ha sempre lavorato per la berlusconiana Mediaset. Mal gliene incoglie perché Ezio Greggio rifiuta la cittadinanza dicendo: «Lo faccio per coerenza con i miei valori. Anche mio padre è stato in campo di concentramento nazista». Il sindaco dapprima risponde secondo sua natura: «È una strumentalizzazione, politicamente costruita ad arte e di proposito», dimenticando che tutto era nato da scelte sue. Poche ore dopo, evidentemente consigliato caldamente da chi sente il terreno diventargli scivoloso sotto i piedi, anche perché c’è molta gente che comincia a reagire esplicitamente alle sue quotidiane angherie, in una trasmissione, anch’essa rigorosamente Mediaset, compie un’inversione a U: «Io sono stato un cretino, lo ammetto, e chiedo scusa alla Segre e a Greggio». Un’autodefinizione ineccepibile, se non forse per la scelta del passato come tempo verbale.

La domanda che ne discende appare inevitabile: chissà come si sente Fontanini, sindaco di Udine, dopo aver dapprima concesso e poi negato l’uso di Sala Ajace per un convegno pubblico da organizzare il 7 dicembre, dalle 15.30 alle 19.30, sul tema del fine vita «con – specifica la richiesta – particolari distinguo tra le dichiarazioni anticipate di trattamento (regolate da legge in Italia) e altre forme (non legali in Italia) quali il suicidio assistito e l’eutanasia»? Soprattutto, dopo aver motivato per iscritto il cambio di decisione perché «per alcuni argomenti trattati si ipotizzano forme non legali in Italia» e aver spiegato così la sua decisione: «Chiaramente come sindaco non posso permettere che spazi comunali ospitino eventi di propaganda di cose illegali». Propaganda? Quando esplicitamente di parla di «distinguo» tra pratiche legali e altre non legali? Infatti Beppino Englaro definisce la sua risposta «parole incomprensibili». E, a voler essere precisi, il professor Fontanini (scusate, ma chiamarlo sindaco è ineccepibile, ma farlo più volte nel medesimo scritto mi riesce difficile), pensa forse che mai nessuna legge attuale potrà essere cambiata perché non è possibile discutere su realtà che in quel momento legge non sono?

Ieri sono nate le sardine Friuli Venezia Giulia e in una giornata hanno raccolto circa novemila adesioni. Sono già cominciate – ecco la prova che sono davvero di sinistra – le discussioni su dove fissare la prima manifestazione tra Trieste e Udine con proposte di mediazione tra Gorizia, Monfalcone e Palmanova e su quale spirito dare a questa iniziativa perché – dicono alcuni – non si può manifestare “contro”, ma si deve “farlo a favore”.

A me non interessa la simbologia del posto, mentre mi appare importante il collegamento con la cronaca e l’attualità, per cui, a prescindere da tutto quello che potrà e dovrà accadere prima in qualsiasi parte della regione, Pordenone, Tolmezzo e altre località comprese, propongo che il 7 dicembre, dalle 15.30 alle 19.30, ci si riunisca sotto la loggia del Lionello, o, a voler essere rigorosi, in piazza della Libertà (anche il nome è importante) a Udine per parlare degli argomenti che Fontanini vorrebbe far tacere per evitare, come ha assurdamente detto lui in campagna elettorale, che Udine passi come «la città in cui si viene a morire». Ma, se non per discutere per quattro ore all’aperto nel freddo di dicembre, sicuramente per dimostrare che non sarà né un leghista, né la Lega, né tutta la destra unita, a poter togliere ai cittadini italiani il diritto di pensare, di parlare e di ascoltare.

Per quanto riguarda il secondo dubbio, vorrei ricordare che non si manifesta mai soltanto “contro”, ma sempre si scende in piazza soltanto se si ha un sogno, se si è “a favore” di qualcosa. Perché, per capirci, chi è contro la stupidità è sicuramente a favore del pensiero; chi manifesta contro il fascismo è a favore della libertà, della democrazia, della solidarietà e dell’umanità. E già questo mi appare come un programma a lunga scadenza e tanto luminoso da cancellare le ombre che sono immancabilmente gettate da stupidi distinguo campanilistici, o settari che sono stati sempre una delle migliori armi che sono state regalate alle destre.

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sabato 2 novembre 2019

L’arco anticostituzionale

I meno giovani ricordano sicuramente la definizione “arco costituzionale” che una volta serviva a identificare quel gruppo di partiti che, con il loro nome o con quello che poi avevano modernizzato, avevano partecipato alla stesura del Costituzione; da sinistra a destra: PCI, PSI, PSDI, PRI, DC, PLI. Gli unici esclusi erano, per ovvie ragioni, i post(?)fascisti del MSI e i monarchici del PNM.

Oggi questa definizione ha perduto ogni significato, visto che il più vecchio dei partiti italiani in attività è quella Lega che fino a tutti gli anni Settanta non esisteva neppure nei peggiori incubi della stragrande maggioranza degli italiani.

Ma se la dizione “arco costituzionale” non ha alcun senso, la stessa cosa non si può dire per la una definizione mai finora usata, ma assolutamente complementare: quella di “arco anticostituzionale”. Se, infatti, nessun partito italiano può ancora vantare radici che affondino nel ricchissimo e fertilissimo humus democratico dal quale sono germogliate la nostra Costituzione e la nostra Repubblica, almeno tre ne sono indubbiamente lontanissimi: la Lega e Fratelli d’Italia, impegnati in una vigorosa battaglia per far vedere chi è più a destra, e Forza Italia nel quale non pochi forti malumori interni fanno capire che la posizione berlusconiana è di comodo politico, ma non per questo è meno schifosa.

Questi tre partiti, infatti, si sono astenuti nel voto al Senato sulla proposta di Liliana Segre per l’istituzione di una “Commissione straordinaria per il contrasto ai fenomeni dell’intolleranza, dell’antisemitismo e dell’istigazione all’odio e alla violenza”. E, quando i senatori si sono alzati in piedi per omaggiare con un applauso la senatrice a vita, quelli del centrodestra sono rimasti seduti, senza applaudire. Poi hanno detto: «Non abbiamo mica votato contro: semplicemente non abbiamo appoggiato una mozione che aveva soprattutto lo scopo di criminalizzare la destra».

E, allora, due considerazioni. La prima: se temono di essere criminalizzati per intolleranza, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza, non sarà forse perché sanno di essere bellamente esposti a questo rischio in quanto per una parte non trascurabile negano la realtà, o sono perfino intolleranti, antisemiti e istigano all’odio e alla violenza se non addirittura li praticano?

Seconda considerazione: visto il regolamento del Senato, i seguaci di Salvini, Meloni e Berlusconi non si sono affatto astenuti, ma – come sempre si è ripetuto, ma questa volta si è tralasciato – hanno effettivamente votato contro perché al Senato l’astensione equivale a un voto negativo. Se alla Camera, infatti, gli astenuti riducono il quorum, al Senato, invece, il quorum, anche se alcuni senatori decidono di partecipare al voto con una astensione, resta invariato. Con il risultato che la battaglia alla Camera è un confronto tra i sì e i no; mentre al Senato la maggioranza si raggiunge superando di almeno un voto la metà di coloro che sono presenti in Aula al momento della votazione.

Ancora dubbi sull’effettiva volontà di riabilitare intolleranza, antisemitismo, istigazione all’odio e alla violenza, in una parola, fascismo? Allora, per maggiore chiarezza, tenete presente anche quello che è avvenuto durante la trasmissione di La7 “L’aria che tira”. Il disegnatore Vauro ha chiesto al parlamentare della Lega Alessandro Morelli di alzarsi in onore della senatrice Liliana Segre. L’ex direttore di Radio Padania si è rifiutato affermando che «Il rispetto è doveroso nei confronti di tutti gli italiani e quello che sta avvenendo non lo è». Secondo il verde-bruno Morelli, insomma, meritano rispetto anche i fascisti, proprio coloro che, per la Costituzione, sono del tutto fuori legge.

Forse sarebbe davvero il caso di finirla di fare i gentleman e di non usare il termine “fascista” nel timore di offendere qualcuno, o di farsi vedere poco aperti a tute le altrui idee. Non tutte le idee (proprie o altrui) sono accettabili e comunque i fascisti sono sempre fascisti in qualunque spazio e in qualunque tempo.

E chi li accetta è proprio come loro.
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martedì 29 ottobre 2019

Idee, non nomi

Forse ad abbattere di più lo spirito di chi si sente di sinistra non è tanto il risultato dell’Umbria, quanto l’assommarsi dei commenti degli esponenti della coalizione di governo. Scusate se la chiamo così, ma definirla di centrosinistra mi fa venire quel certo senso di fastidio e nausea che si prova davanti a chi, con evidenza, cerca di imbrogliarti.

Il panorama è dato da Zingaretti che accusa Renzi (e non ha assolutamente torto); da Renzi che accusa Zingaretti calibrando le sue dichiarazioni soltanto sui calcoli che ha fatto (e che di solito sbaglia) per prendere e mantenere il potere; da Di Maio che è terrorizzato soltanto dall’ipotesi di perdere il suo ruolo di “capo politico” (risate a piacere); Leu che ovviamente (esiste soltanto nel governo, non nel Paese) non dice nulla; Conte che esaurisce tutte le sue energie nell’atteggiarsi a statista e mediatore tra non si sa chi e non si sa cosa.

Sappiamo tutti che questo governo è nato quasi esclusivamente per evitare che alla presidenza della Repubblica possa salire tra due anni un aspirante dittatore, o, più facilmente, un servitore di un aspirante dittatore. Ma qualcuno pensa davvero che questo fragile collante possa essere più forte delle baruffe quotidiane tra i soci che si basano soprattutto sugli interessi personali e di gruppo, ma che talvolta, fortunatamente, nascono anche da visioni politiche e sociali diverse?

Pensate davvero che l’attuale sinistra possa continuare a non assottigliarsi se continuerà soltanto a cercare accomodamenti di potere senza mai portare avanti una propria idea? Per esempio: che fine ha fatto l’abolizione dei “decreti sicurezza” del ministro degli Inferni che dovevano essere cancellati come prima, o, al massimo, seconda mossa da un governo che coinvolge il Pd? Dicono che non hanno potuto farlo per l’opposizione di Di Maio e di Renzi? Benissimo, e allora denuncino a chiare lettere che sono quei due figuri a provocare un’irreparabile frattura non tanto tra le componenti di questo governo, ma tra i milioni di gente di centrosinistra e un governo che dice di essere di centrosinistra, ma che tale assolutamente non è.

È possibile che dopo tante batoste, i cervelli pensanti dei partiti che formano il governo non abbiano capito che ai potenziali elettori di centrosinistra non interessa assolutamente alcuna discussione sui nomi, ma vogliono sentir discutere (non parlare, discutere) di nuovo di idee, di valori, di democrazia, di società, di lavoro. Se questo non avverrà, nemmeno il pur comprensibile tentativo di impedire a Salvini di impadronirsi del Quirinale per interposta persona riuscirà a realizzarsi. E nel frattempo la sinistra non si sarà assottigliata, ma sarà semplicemente sparita.

Di tutto questo Angelo Floramo e io dialoghiamo da mesi in “Fatti non foste…”, sottotitolato “Dialogo su cultura, valori e democrazia”. Se ne avete voglia, potete ascoltare questo dialogo, che stiamo portando in giro in regione, nella versione che abbiamo portato al Centro Balducci. Ecco il link: Fatti non foste...

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martedì 15 ottobre 2019

Illusionismo politico

Il taglio dei parlamentari già soltanto a livello matematico mette in crisi la rappresentanza. Se poi lo combiniamo con realtà già esistenti come le liste bloccate e decise dalle segreterie e la cancellazione delle preferenze, e con progetti sciagurati come il vincolo di mandato, allora è proprio il concetto di rappresentanza a non esistere proprio più e, quindi, anche quello di democrazia rappresentativa diventa talmente diafano da far temere che stia proprio scomparendo.
 
Ma se la nuova legge costituzionale (per la quale sembra che nessun partito, né alcuna regione si stia dannando per richiedere il referendum) mette in crisi la rappresentanza anche dal punto di vista geografico, esiste una rappresentanza politica che è già in crisi da tempo e che non c’entra nulla con la riduzione dei parlamentari: mi riferisco al fatto che ormai i cittadini che hanno idee di sinistra, o anche di centrosinistra, di rappresentanti dei propri valori e delle proprie idee non ne vedono praticamente più.

A prima vista può sembrare il contrario visto che Salvini è uscito dalle stanze del governo dove sono entrati, invece, i rappresentanti del Pd e di Leu che teoricamente sarebbero la parte sinistra, mentre il centro spetta all’Italia viva di Renzi e mentre i 5stelle continuano a muoversi come palline di flipper che rimbalzano più per le volontà di Grillo e della Casaleggio Associati che per motivi politici, tenendo sempre in primo piano le necessità della propaganda rispetto ai reali bisogni sociali.

Lasciamo pur perdere i più che legittimi legittimi dubbi che ti assalgono quando vedi un partito che dice di guardare a sinistra e che, nello spazio di poche ore, accoglie sia Laura Boldrini, sia Beatrice Lorenzin, ma vi sembra che in quasi un mese e mezzo un partito anche vagamente di sinistra non avrebbe almeno tentato di radere al suolo i cosiddetti “decreti sicurezza” dell’ex ministro degli Inferni? Che sui punti economici della legge finanziaria si sarebbe fatto irretire dalla serie di veti dei 5stelle, tra cui quello di toccare quella quota 100 che sta creando nuove discriminazioni tra i pensionati? Che avrebbe esplicitamente negato la volontà di insistere sulla necessità di dare spazio allo “ius soli”? Che in Umbria avrebbe dato il suo assenso al concetto di vincolo di mandato? Che a Roma avrebbe smesso di considerare incapace e indegna la sindaca Raggi? Che avrebbe osservato in silenzio un incapace come l’attuale ministro degli Esteri traccheggiare davanti alla vergogna di Erdogan che assale un popolo come i curdi al quale era stato assicurato il diritto a un suo Stato e che merita la nostra riconoscenza perché è stato in prima linea con le sue donne e i suoi uomini per fermare l’Isis? Che accetta che le preoccupazioni maggiori non siano riservate a un nuovo genocidio di conquista, ma alla minaccia di Erdogan di mandare in Europa altri milioni di profughi di guerra?

Il fatto è che Pd, Leu e Italia viva, sostenendo i 5stelle che, per paura di ammettere un errore, non vogliono cambiare le malefatte politiche di cui sono stati complici consapevoli della Lega, diventano essi stessi complici dei 5stelle e, per induzione diretta, dei provvedimenti voluti da Salvini e che non vengono più cambiati.

Allora, la domanda è: perché mai la prossima volta uno di sinistra dovrebbe votare per il PD, o per Leu (ammesso che esista ancora al di fuori del Parlamento)? Per Italia viva e i M5S la domanda neppure si pone.

E il forte sospetto è che questa situazione sia addirittura peggiore della precedente perché non soltanto non cambia quanto di umanamente orrendo è stato fatto da Salvini (ci sono navi con naufraghi a bordo che ancora oggi aspettano giorni, da questuanti, prima di avere il permesso di entrare in un porto e ci sono ancora e sempre più frequenti episodi di razzismo esibiti quasi con spavalderia), ma che addirittura stia impedendo un cambiamento creando una specie di sonno delle coscienze indotto con la paura di un ritorno di Salvini al governo e di ulteriori peggioramenti.

Ma, forse, è proprio questo sonno indotto a fare più male di tutto. Quando il ministro degli Inferni se ne usciva con le sue esplicite bestemmie civili, a sinistra c’era almeno un istintivo moto di indignazione, di rabbia, di ribellione. Ora il sonno indotto ha assopito in troppi anche questi benedetti moti dell’animo.

A guardare coloro che oggi si fanno chiamare politici di centrosinistra, la sensazione è quella di trovarsi davanti a degli illusionisti che riescono a convincere il pubblico che la realtà sia quella che loro fanno apparire grazie a qualche trucco, e non quella che realmente esiste. Poi, si sa, ogni trucco, anche il più sofisticato, prima o poi viene svelato, ma se questo può essere di soddisfazione per un pubblico che ama i prestigiatori, non può certamente esserlo per dei cittadini che amano la democrazia. E non soltanto perché non hanno più nessuno per cui votare, se non con entusiasmo, almeno con la coscienza a posto, ma perché intanto i danni inferti alla società diventano irreparabili.


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martedì 8 ottobre 2019

La forza del ricatto

L’assurda, istintiva tentazione sarebbe quella di dire: «Fate quello che volete senza rompere troppo le scatole. Per quanto mi riguarda, mi curo un angolino nel quale vivere, o sopravvivere, nel modo migliore possibile». Ma sarebbe concedere un altro regalo a coloro che vogliono proseguire sulla strada della distruzione della nostra democrazia – i 5stelle – e che lo fanno deliberatamente sfruttando l’arma del ricatto al quale il PD e anche LEU si sono inchinati.

Il taglio dei deputati (da 630 a 400) e dei senatori (da 315 a 200) e degli eletti all’estero (da 12 a 8 e da 6 a 4) è stato approvato alla Camera, in quarta e ultima lettura, con 553 sì, 14 no e 2 astenuti. In pratica hanno approvato il mutamento costituzionale sia le forze di maggioranza (M5S, PD, Italia Viva, LEU), sia quelle di opposizione (Forza Italia, Lega, Fratelli d'Italia). Soltanto +Europa ha votato contro e ha protestato in piazza Montecitorio.

Si potrebbe cavarsela ricordando che la grande forza della democrazia consiste nel fatto che non sempre chi ha la maggioranza è anche nel giusto e che i meccanismi democratici permettono le correzioni, ma questa volta il tradimento dello spirito costituzionale è talmente evidente che ogni rapporto, anche di velata simpatia, o di teorica non lontananza con qualunque di questi partiti non può non esserne uscito compromesso in maniera terribile.

Se si voleva risparmiare, bastava calare di un terzo stipendi e benefit di deputati e senatori; se si voleva rendere il Parlamento più efficiente sarebbe stato necessario valutare seriamente la qualità culturale e intellettiva degli eletti e non la loro quantità. Se si voleva far sembrare gli eletti più vicini al popolo sicuramente non si doveva massacrare il concetto di rappresentanza, sia perché i piccoli partiti ben difficilmente riusciranno a entrare negli emicicli, sia in quanto, se oggi un deputato rappresenta 96.006 abitanti, dalla prossima elezione ne rappresenterà 151.210; e così per ogni senatori che oggi è il nucleo della democrazia rappresentativa per 188.424 abitanti, mentre domani lo sarà per 302.420.

E i pericoli non si fermano qui perché la destra, che ha votato sì soprattutto per mettere in difficoltà il PD, già parla di presidenzialismo, mentre i 5stelle, che già vagheggiano una democrazia diretta gestita in proprio, continuano a battere sul vincolo di mandato, argomento che vede il PD, almeno in Umbria, non particolarmente granitico nell’opporsi. Eppure, se esistesse il vincolo di mandato, la stessa esistenza del Parlamento avrebbe poco senso: basterebbe una riunione dei capigruppo per decidere qualunque cosa.

Ora che il partito di Zingaretti tema terribilmente di riconsegnare il Paese a Salvini, se il governo cadesse e si dovesse andare a nuove elezioni, è del tutto comprensibile, ma che perché questo non succeda si rischi di affossare definitivamente quella democrazia per la quale tanti sono morti è del tutto inaccettabile.

Il PD e LEU potranno anche aver deciso di votare sì in buona fede per evitare un male immediato, ma comunque restano complici di un furto di democrazia e della distruzione di molte minoranze. È inutile attribuirsi valori di sinistra se il primo dei valori di sinistra – la democrazia, appunto – viene svenduta perché non si ha coraggio di parlare con chiarezza alla gente che poi – e i fatti di questi ultimi anni lo hanno dimostrato abbondantemente – non riesce più a fidarsi nel momento del voto.

Un’altra cosa: questa volta a una maggioranza bulgara in Parlamento sembra corrispondere una consistente visione di segno contrario, tra la gente. Da oggi in poi bisogna lavorare per cancellare questa legge, esattamente come si deve fare – anzi, come si sarebbe già dovuto fare – con i decreti dell’odio di Salvini.

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sabato 5 ottobre 2019

Populismi morbidi ma perniciosi

Di grossi problemi reali ce ne sono in abbondanza: la crisi economica, quella occupazionale, il crollo etico di una nazione in cui sono troppi quelli che preferiscono veder morire annegati uomini, donne e bambini piuttosto che rischiare di poter essere in qualche modo disturbati nelle loro abitudini, una giustizia che attende da decenni una riforma che renda meno importante la capacità di spesa nella scelta dell’avvocato o del collegio di difesa, una sanità che torna a essere sempre più differenziata tra ricchi e poveri. E potrei andare avanti ancora a lungo.

Eppure sono altre due le questioni che sembrano essere diventate vitali tanto da avere la precedenza sulle altre: ridurre i parlamentari e dare il voto ai sedicenni. Sono davvero importanti? Assolutamente no, ma si inquadrano benissimo nella scia di quel populismo che ormai da anni sta dominando la politica italiana e che, grazie a Salvini e Di Maio, ha raggiunto vertici drammatici. Questa volta il populismo assume aspetti più morbidi, ma ugualmente perniciosi; anzi, forse ancora di più perché rischiano di incidere sulla carta fondamentale che regola la nostra democrazia, la Costituzione, e di disequilibrarla con effetti dirompenti per il futuro.

Il taglio dei parlamentari è l’ultimo cavallo di battaglia di Di Maio che mira a realizzarlo confidando nel fatto che nessun altro partit avrebbe il coraggio di andare esplicitamente contro una proposta demagogica buona per ogni stagione in cui si punta a far emergere il risentimento dei cittadini contro la cosiddetta “casta”. Ma questa volta è la stessa “casta” ad attaccare la “casta” e non certamente per una sete di giustizia che potrebbe essere placata in molti altri modi.

Di Maio, infatti, dice che, cancellando 345 tra deputati e senatori, si risparmierebbero 100 milioni l’anno: anche fosse vera questa cifra (e l’Osservatorio di Carlo Cottarelli la riduce a 60 milioni) resterebbe comunque una frazione infinitesimale in un bilancio dello Stato. Un risultato molto vicino lo si otterrebbe riducendo di un terzo l’ammontare di stipendi e benefit che ai parlamentari toccano. Ma chi di coloro che oggi sono chiamati al voto accetterebbe di vedersi ridurre drasticamente lo stipendio dal prossimo mese?

Parlare dei “costi della politica” è da anni la via più facile per ottenere consenso, apparire dalla parte del popolo, e cavarsela facilmente senza toccare i veri mali che prosciugano le casse dello Stato. Ma non è economico lo stimolo che muove la Casaleggio Associati e altri personaggi ancora in cerca di visibilità: è soltanto politico.

Se il taglio divenisse effettivo, avremmo un deputato ogni 150 mila abitanti e un senatore ogni 300 mila e una riforma di questo tipo distruggerebbe anche quel che resta del principio di rappresentatività territoriale, trasformando ancor di più il parlamentare in una diretta emanazione del leader centrale in un mondo che sembra sempre più dipendente dal carisma e dalla forza di chi è al comando e che, in questo modo diventerebbe ancora più potente e determinante per chi vuole fare politica. Combinate questa considerazione con la proposta di istituire il vincolo di mandato e con la piattaforma Rousseau e vedrete realizzato il sogno di Casaleggio che, in realtà, è l’incubo peggiore per chi crede nella democrazia. Il Parlamento, infatti, diventerebbe un inutile simulacro da lasciare lì per scopi di dissimulazione, ma la politica con le sue decisioni diventerebbe sempre di più un affare privato tra i pochi che possono disporre del numero di voti necessari a prendere le decisioni. Niente più discussioni, niente più valutazioni di chi è esperto in qualcosa, ma soltanto propaganda e voto telematico senza neppure un reale controllo della sua corrispondenza con la realtà.

E adesso guardiamo al voto ai sedicenni per concedere il quale non servirebbe cambiare la Costituzione che, all’articolo 48, recita: «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età». Quindi basterebbe cambiare ancora una volta, con legge ordinaria, il limite, che una volta era di 21 anni, portandolo, in questo caso, da 18 a 16.

Tutto risolto? No, perché intanto diventerebbe evidentemente incongruo l’articolo 58 che dice che i senatori sono scelti «dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età». Ma, soprattutto, cambierebbero molte altre cose nella vita di tutti i giorni. La maggiore età a 16 anni, infatti, cancellerebbe molte delle tutele genitoriali due anni prima e, con esse, cambierebbero non poche responsabilità penali. Inoltre cadrebbero anche alcuni divieti, come quello di vendere alcolici ai minori di 18 anni. E l’alcolismo tra i giovanissimi è già oggi una fonte di disperazione.

Tutto questo perché gli attuali segretari, o cosiddetti capi politici dei partiti, sperano di guadagnare qualche voto il più, magari cavalcando l’ondata ambientalista che vede i più giovani tra i maggiori protagonisti, oppure confidando in una loro maggiore influenzabilità per ancora carenti conoscenze. E il dubbio non è peregrino se si considera che la spinta di dare il voto ai sedicenni arriva subito dopo che è stata almeno temporaneamente depotenziato l’insegnamento della storia, dopo aver praticamente cancellato quello della geografia.

Ci si potrebbe rassegnare a veder andare in briciole i principi su cui si fondano le democrazie e tutto questo tra gli applausi di un Paese che vede nella politica il male assoluto, senza capire che cancellando la politica si cancella anche la democrazia. Ma già una volta, tre anni fa, gli italiani hanno dimostrato di essere più maturi dei partiti al potere ed è proprio in loro che va riposta la speranza. Sarà difficile e faticoso, ma prepariamoci a lavorare per un altro referendum costituzionale da vincere a ogni costo per assicurare la democrazia, pur con tutti i suoi difetti, anche ai nostri figli e ai nostri nipoti.

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martedì 1 ottobre 2019

Disagio mentale e sociale

Il sospetto è che siamo tanto distratti dal tentare di capire quello che sta accadendo nel mondo politico a livello nazionale, che lasciamo passare senza grandi reazioni collettive quello che avviene nella nostra Regione.

Guardiamo, per esempio, a quello che sta succedendo nel campo sanitario e segnatamente nel settore delle cure del disagio, o disturbo, mentale. In questi giorni – lo segnala Il Piccolo – le associazioni dei familiari di sofferenti psichici di Trieste e dell’Isontino denunciano «fatti concreti» che sembrano preludere «allo smantellamento di un modello» che riceve apprezzamenti nazionali e internazionali ma, «paradossalmente», è guardato con freddezza dal governo del Friuli Venezia Giulia.

A denunciare questa situazione, che ovviamente riguarda anche i territori delle ex provincie di Udine e di Pordenone, non sono soltanto firme sconosciute, ma anche personaggi come Peppe Dell’Acqua, braccio destro di Franco Basaglia, il riformatore della disciplina in Italia, che afferma: «Sembra quasi che gli amministratori in carica la vogliano finire con lui». O come Roberto Mezzina, pure lui nel gruppo di lavoro basagliano, fino a ieri, prima di andare in pensione, direttore del Dipartimento di salute mentale e primario del Csm di Barcola, che, citando il piano regionale approvato nel febbraio 2018, lo definisce «il più brillante che io abbia mai visto in Italia nei miei quarant’anni di carriera », per poi affermare: «Questo piano si è sostanzialmente fermato e non ci sono certezze su ciò che verrà».

Insomma, le ipotesi di indebolimento dei Dipartimenti di salute mentale, che nella regione si occupano di circa 20 mila utenti con disturbi severi, fanno temere la crisi dei servizi tesi a sostituire l’ospedale psichiatrico e costruiti con grande fatica nel corso degli anni.

A tutto questo l’assessore regionale alla Sanità, Riccardo Riccardi, risponde negando che ci sia una bozza di riforma anche se poi, però, afferma che sarà resa nota entro questa settimana. Ma poi continua: «Ho grande rispetto per le conquiste che il sistema della salute mentale è riuscito a ottenere in questi anni, ma non posso non rilevare come ci sia una sorta di azione diretta e indiretta che avanza. Ma il mondo va avanti e gli psichiatri non possono pensare anche di governare. Perché, a decidere, è il Consiglio regionale. Sia chiaro che non funziona più così. Non funziona come quando Rotelli dettava la linea».

Cioè, detto in soldoni, non sono gli esperti a dire quello che è più giusto fare, anche in campi così delicati e specialistici come la psichiatria, ma sono soltanto i politici, o gli amministratori, a decidere quello che a loro sembra meglio. Un ottimo sistema per dilatare il disagio mentale fino a farlo diventare disagio sociale.

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venerdì 27 settembre 2019

Dimmi con chi vai…

Tempi duri anche per i proverbi. Provate a pensare al classico «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei» che non è, come si è inizialmente portati a pensare, un grano di saggezza che arriva da qualche vecchio sentenziante, ma porta addirittura la firma di Johann Wolfgang von Goethe. Pensateci e vedrete che nemmeno il grande letterato tedesco potrebbe più sostenere la stessa cosa guardando la politica italiana.
 
Ovviamente è chiaro che, se vai con Salvini e i suoi, sei identificabile con grande chiarezza, mentre se vai con Di Maio e compagnia, farai restare sempre tutti in dubbio non perché la mimetizzazione sia efficace e totale, ma perché neppure i capofila grillini sanno bene chi e cosa sono.

Ma provate a pensare di entrare nel PD: chi potrebbe collocarvi con sicurezza in una qualche casella politica identificativa?

Cerco di spiegarmi. Durante il periodo Renzi il partito ha perduto tanto le sue caratteristiche di sinistra da veder sparire una consistente parte del suo elettorato che non si sentiva più rappresentato da quel partito, mentre altri hanno continuato a essere iscritti, o almeno a votarlo, nella speranza di fargli nuovamente cambiare rotta.

Poi, quest’estate un nuovo grande tourbillon: i dem, su spinta di Renzi – a sentir lui, semplice senatore toscano – decidono di fare il governo assieme ai 5stelle dai quali fino a tre giorni prima sono stati sanguinosamente offesi e che, sempre fino a tre giorni prima, avevano ricambiato con la medesima moneta. E i malesseri di un essere umano di sinistra aumentano notevolmente, anche se la mossa è decisamente comprensibile e accettabile visto che il suo principale scopo è quello di allontanare al più presto possibile Salvini dai posti dove può fare più male a tutto il Paese.

Poi Renzi se ne va a fondare Italia viva e a quel punto scattano subito alcune migliaia di iscrizioni e reiscrizioni al PD da parte di persone che credono che il partito stia riorientandosi a sinistra. E questa sensazione diventa ancor più netta quando anche Laura Boldrini lascia LEU per entrare per la prima volta nel PD.

Finalmente un’identità politica che torna a essere chiara? No, perché a entrare nel PD è anche Beatrice Lorenzin, prima berlusconiana, poi alfaniana e anche ministro della Salute di impronta conservatrice.
 

Intendiamoci: è perfettamente lecito, anzi auspicabile , che tanti si pentano dei loro trascorsi di destra e vogliano impegnarsi a sinistra. Quello che mi appare meno lecito è che per l’ingresso della Lorenzin si faccia più rumore e più festa che per il rientro di tanti delusi e che, contemporaneamente, alcuni del PD storcano già il naso davanti alla prospettiva, non scontata, che a riprendere la tessera siano anche persone come Bersani e Prodi.

Altro che recupero di identità! Lo stesso Goethe ammetterebbe che per il PD il suo proverbio è inapplicabile e che molto più aderente alla realtà potrebbe essere quello coniato da Marcello Marchesi, sceneggiatore e umorista scomparso negli anni Settanta, che diceva: «Dimmi con chi vai e ti dirò se vengo anch’io».


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sabato 7 settembre 2019

Per gioire c’è tempo

Ci sono stati momenti di entusiasmo immotivato al termine del primo giorno del nuovo governo Conte, quando, in rapida successione, sono arrivate tre notizie.
 
La prima è stata che il governo Conte bis, nella sua riunione inaugurale, ha impugnato la legge del Friuli Venezia Giulia ritenuta discriminatoria nei confronti dei migranti, ma anche degli stessi italiani che non risiedono in questa regione da almeno cinque anni.

La seconda ha visto, da parte del tribunale di Locri, la revoca del divieto di dimora a Riace, il suo paese, per Mimmo Lucano, l’ex sindaco che lo aveva trasformato in un esempio di integrazione ammirato e studiato nel mondo.

La terza è stata costituita dal fatto che Salvini ora è indagato dopo la denuncia per diffamazione avanzata nei suoi confronti da Carola Rackete, la capitana di Sea Watch 3, che l’ex ministro degli Inferni aveva definito, tra l’altro, «fuorilegge» e «delinquente».

A prima vista potrebbe sembrare che l’era Salvini abbia cominciato a essere cancellata dalla realtà, dalla ragione e dalla giustizia; ma subito ci si rende conto che l’impugnazione della legge voluta dall’ipersalviniano Fedriga è arrivata dopo un’istruttoria condotta dal governo precedente, dall’avvocatura dello Stato e da altri organi competenti; che l’udienza nella quale è stato revocato il divieto di dimora a Mimmo Lucano era già fissata da tempo; e che anche la stessa Rackete aveva annunciato da tempo la denuncia per diffamazione.

Quindi l’esultanza è sicuramente immotivata e la speranza che questo nuovo governo abbia la capacità di impedire che la locomotiva sociale Italia riesca a evitare il deragliamento deve ancora assumere contorni di concretezza. Per ora, insomma, è la ragione ad aver vinto, non la politica. Se poi ci siamo stupiti dal fatto che la normalità della ragione riesca a farsi strada, questo dipende dal fatto che la politica ci ha abituato a essere troppo spesso incomprensibile perché era la ragione stessa a essere calpestata.

Potremo dire che qualcosa sta cambiando soltanto quando sarà tolto il divieto di accesso nelle acque italiane alla nave Alan Kurdi che non può realizzare “l’invasione” di ben 13 naufraghi e quando il Parlamento darà l’autorizzazione a procedere contro Salvini.

Per ora possiamo soltanto essere certi di due altre cose. Una è che la magistratura continua a essere indipendente. L’altra riguarda l’impugnazione della legge di Fedriga e dimostra che né Di Maio, né Salvini (il vero «traditore», per usare le parole dello stesso Fedriga) sapevano quello che stava accadendo dentro il loro governo. Il primo probabilmente perché incapace di capire quello che nel suo ministero gli dicevano, quasi si trattasse di una di quelle lingue straniere che ora – purtroppo per noi – dovrà ascoltare quasi ogni giorno, sempre con difficoltà a capire anche la traduzione; il secondo probabilmente impossibilitato a sapere cosa stava accadendo perché praticamente mai presente nel suo ministero, o a palazzo Chigi perché troppo occupato a gonfiare in giro per l’Italia i suoi sogni di gloria.

Ma se il secondo è scoppiato e se ne è andato, il primo è ancora là e già nel secondo giorno di governo ha dato prova di quanto tenga a se stesso e quanto poco a un programma per l’Italia. Il neo-ministro delle lingue incomprensibili, Luigi Di Maio ha convocato alla Farnesina, sede del suo ministero, gli altri nove ministri 5stelle. E lo ha fatto sapere alle agenzie di stampa per sottolineare che è convinto di essere ancora il “capo politico” del suo partito e che Conte deve accettare in silenzio perché, anche se in sede di trattativa per i posti è stato negato, è sempre in quota grillina.

Probabilmente non passerà molto tempo prima che i raziocinanti dei 5stelle gli facciano fare la fine di Toninelli, ma prima di allora di motivi per gioire non ce ne saranno molti.

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mercoledì 4 settembre 2019

Il presente e il futuro interiore

È stato sicuramente giusto approfittare del momento di megalomania di Salvini per sfilargli da sotto quel governo che, con la determinante complicità dei 5stelle, gli permetteva di fare strame di umanità, solidarietà, Costituzione e democrazia. E di farlo con azioni che avevano come base fondante una propaganda che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto dare anche a lui quei «pieni poteri» che già nel secolo scorso gli italiani sono stati così vergognosamente scemi o interessati da dare a un personaggio che ha ridotto il nostro Paese in macerie morali e materiali.

È stato anche giusto fare il possibile per disinnescare il pericolo dell’aumento dell’IVA e per non restare isolati dall’Europa nel momento in cui si stavano scegliendo i componenti la Commissione.

Ma le affermazioni si fermano qui. Poi cominciano le domande.

È stato giusto diventare soci di coloro che sono stati complici attivi (con voti, fiducie, firme e dichiarazioni) dell’ex ministro degli Inferni nelle scelte più disumane e fasciste che si siano viste in Italia dal 1945 in poi? È stato giusto legarsi le mani in una situazione politica che continuerà inevitabilmente ad annacquare quei valori e quei principi che già sono stati nascosti dalle contrapposizioni interne di un PD che non ha mai appianato – forse perché davvero inconciliabili, se non momentaneamente e per alleanze – le differenze tra le sue due anime principali? È stato giusto accettare di sostenere uno spot come la riduzione dei parlamentari che indebolirà ulteriormente la rappresentanza? È stato giusto esporsi a rischi di ulteriore ripulsa, da parte di quelli che hanno ancora lo stomaco forte per andare a votare, assumendosi la responsabilità di sottoscrivere una finanziaria di contenuti inevitabilmente drammatici e probabilmente dovendo accettare che le cancellazioni degli orrori salviniani non siano immediate e clamorose perché quegli orrori sono anche grillini?

Le domande potrebbero essere ancora tante, ma mi fermo perché già queste possono bastare in abbondanza per guardare al governo che nascerà oggi con una preoccupazione che non cancella completamente la gioia di non sentire più Salvini che impartisce ordini disumani, ma che non si dissolve se si comincia a pensare a dove questa strada potrà portarci.

Ancora una volta si è deciso si privilegiare la tattica rispetto alla strategia, di impegnarsi sul presente rispetto al divenire complessivo che, in definitiva, è per noi costituito da quelle speranze, da quelle utopie non ancora realizzate che Michela Murgia ha magnificamente descritto in un suo libro con la locuzione “futuro interiore”.

Abbiamo molto bisogno di auguri. Ma soprattutto di ricordare che non siamo spettatori di quello che succede: ne siamo responsabili e che limitarsi a esistere nel momento del voto, o addirittura rifiutare anche quello, è il modo più efficace per lasciar crescere i Salvini, i Di Maio e tutti figuranti che li hanno sostenuti in quest’ultimo anno abbondante. Per indebolire ulteriormente, insomma, la democrazia.


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mercoledì 28 agosto 2019

Poltrone, umanità e Costituzione

Al momento in cui scrivo queste righe non so ancora se il governo cosiddetto “giallo-rosso” vedrà la luce, o meno, ma so per certo che la prospettiva, già non particolarmente esaltante, si avvicina alla sua possibile concretizzazione sotto auspici ancora peggiori del previsto.

Cominciamo dall’argomento di più basso livello: Luigi Di Maio. Dopo aver detto nel gennaio dello scorso anno che «Il PD è un partito di miserabili che vogliono soltanto la poltrone», sta tenendo in bilico una trattativa determinante non perché abbia dei dubbi sulla sostanza di un possibile accordo con il partito dei «miserabili», ma in quanto il problema delle «poltrone» ora è diventato suo. Al secondo mandato, protagonista del dimezzamento dei voti dei 5stelle, sa benissimo che, se non riesce a darsi ulteriore visibilità e teorico potere, rischia davvero di dover tornare allo stadio San Paolo di Napoli; e non certamente in tribuna vip.

Secondo punto, ben più importante, quello che riguarda le più recenti azioni di alcuni ministri grillini. Due giorni fa l’ENAC, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile che è sottoposta al controllo del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ancora occupato da Danilo Toninelli, ha bloccato le missioni degli aerei leggeri che avvistano dall’alto i migranti in difficoltà nel Mediterraneo con l’incredibile motivazione che «le norme nazionali impongono che quei velivoli possano essere usati solo per attività ricreative e non professionali». Come se un volontariato fosse attività professionale e come se uno che fa un giro turistico fosse obbligato a far finta di non vedere un gommone che sta affondando con i suoi occupanti.

A colmare la misura ieri il famigerato, anche se spesso non consapevole, Toninelli e la ministra della Difesa, Elisabetta Trenta, hanno controfirmato la più recente nefandezza di Salvini al Viminale: chiudere ancora una volta i porti italiani alle navi che hanno salvato e accolto coloro che stavano annegando.

Mi piacerebbe che anche i rappresentanti del PD impegnati nelle trattative avessero ben presente che i problemi economici sono importantissimi, ma che perdere la propria anima e la propria umanità è ancora molto peggio.

Terzo e ultimo punto: la pretesa di Di Maio di sottoporre l’eventuale accordo raggiunto tra 5stelle e PD e approvato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella al voto della Piattaforma Rousseau, cioè alla valutazione – tra l’altro non trasparente e non controllabile – di alcune decine di migliaia di persone che dovrebbero avere l’ultima parola su una scelta, per quanto fortemente sofferta e controversa, che riguarda tutta la nazione. 

Ma ancora più grave è il fatto che questi signori agiscono in totale spregio di quella democrazia rappresentativa prevista dalla Costituzione, rendendo ridicola non soltanto la più vera sostanza della democrazia stessa, e cioè il confronto per arrivare a una soluzione accettabile da tutti, ma anche il suo aspetto più appariscente e da loro sempre sbandierato: quella di un voto nazionale che viene sottoposto comunque a all’arbitrio di un gruppo che potrà essere simpatico o antipatico, ma resta pur sempre una minoranza che prevarica la maggioranza che dal Parlamento si fa rappresentare.

Un cenno di ammirazione per la saldezza di stomaco di coloro che stanno trattando con i 5stelle. Un dubbio che non riesce a dissolversi sul fatto che questa trattativa possa portare a salvamento l’Italia e non, invece, farla scivolare ancora di più in un ginepraio di pericoli ben più spaventevoli di quelli economici.

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domenica 25 agosto 2019

Le due strade

È da molti mesi che sostengo che in questa Italia c’è bisogno della rinascita di un Comitato di Liberazione Nazionale, di un CLN che liberi nuovamente questo Paese da pulsioni egemoniche e sovraniste (anche se sarebbe più giusto chiamarle con il loro vero nome, cioè autoritarie e fasciste) e che lo faccia in maniera tale che le ambizioni di usare un aspetto della democrazia (il voto) per distruggerne l’essenza (il confronto ragionato) vengano nuovamente accantonate definitivamente, per quanto la parola “definitivo” possa avere senso nella storia umana.

Non l’ho mai ricordato perché lo ritenevo scontato, e quindi inutile, che nel CLN fondato il 9 settembre 1943 sono entrati rappresentanti di tutti i partiti, dai monarchici ai comunisti, ma certamente e ovviamente non i repubblichini e neppure quelli che il 25 luglio di quell’anno avevano decretato la caduta di Mussolini dopo averne, però, sostenuto l’operato e le nefandezze per due decenni.

Oggi, mentre il mondo politico italiano si trova davanti a un bivio da cui si dipartono due strade molto diverse, mi sembra necessario ricordare anche questa ovvietà perché, pur facendo le debite proporzioni, in una parte dei grillini vedo distintamente coloro che vorrebbero continuare a seguire la strada dell’odio, dell’intolleranza e dello spregio della democrazia seguita da Salvini, mentre in un’altra parte non trascurabile sono facilmente distinguibili coloro che oggi vorrebbero dare tutta la colpa all’ex alleato cercando di far dimenticare a tutti che il ministro degli Inferni senza il volonteroso aiuto dei 5stelle non sarebbe riuscito a fare alcuna delle nefandezze di cui si è reso responsabile.

In più – e non è cosa da poco – il credo di Casaleggio, associati e obbedienti servitori continua a essere quello del populismo da perseguire a ogni costo: non per il bene dell’Italia, ma nella speranza che il popolo italiano continui a lasciarsi abbindolare da parole che nascondono il nulla. Se qualcuno, tanto per dare un esempio, è davvero convinto che la riduzione dei parlamentari sia il primo problema da risolvere per il bene dell’Italia e non uno slogan per abbindolare arrabbiati e invidiosi facendo ancora una volta leva sull’antipolitica, si faccia pure avanti.

Se nel CLN del 1943 fossero entrati anche repubblichini, ex gerarchi e menefreghisti, a questo punto non staremmo parlando della Resistenza che ha dato una mano importante agli eserciti alleati per liberare l’Italia dagli invasori di terre e di diritti. Se nell’opposizione a Salvini oggi entreranno quelli che ancora lo rimpiangono, o gli fanno l’occhiolino, o che pensano che un’alleanza con il centrosinistra possa soprattutto resuscitare alcune delle promesse che sono state fatte durante la scorsa campagna elettorale per la Camera e il Senato, allora il nuovo governo non sarebbe, nemmeno alla lontana, un Comitato di Liberazione Nazionale; e per tutta una serie di motivi.

Intanto perché non ci libererebbe assolutamente di colui che vuole «i pieni poteri», ma, anzi, gli darebbe una comoda rampa di ripartenza basata sul fatto che i sacrifici imposti dalla prossima finanziaria, appesantita ulteriormente e in maniera terribile dalle scelte elettorali e non sociali di Lega e 5stelle, sarebbero facilmente attribuibili a PD, alla sinistra e ai 5 stelle stessi. Poi in quanto la democrazia rappresentativa correrebbe ulteriori terribili rischi con una riduzione dei parlamentari che comporterebbe non tanto la scomparsa di alcuni piccoli partiti, ma soprattutto la scomparsa delle preziose idee che queste piccole realtà portano con sé. Infine – e mi fermo anche se l’elenco sarebbe ancora molto lungo – un’alleanza basata su questi presupposti e sulle divisioni interne che già spiccano nei teorici futuri alleati porterebbero inevitabilmente a una nuova rottura entro pochi mesi.

Perché un CLN abbia ragione di esistere nel 2019 sarebbe assolutamente necessario che, come nel 1943, tutte le parti avessero intenzioni oneste, fossero sicuramente democratiche e antifasciste, mettessero almeno temporaneamente da parte le ambizioni personali, o di gruppo, e sapessero privilegiare le azioni necessarie rispetto a quelle di facciata. 

Sicuramente 76 anni fa effettuare questa scelta, mentre infuriava la guerra e mentre territori e diritti erano invasi dai nazisti e dai fascisti, poteva essere più naturale e facile. Ma ancora oggi è di fondamentale importanza perché se non si capirà velocemente il rischio che la democrazia e la vita di questo Paese stanno correndo, il disastro definitivo sarà inevitabile; o, quantomeno sarà molto più difficile, faticoso e non sicuro riuscire a ritornare a galla.

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giovedì 15 agosto 2019

Finti e veri analfabeti

Molte volte abbiamo definito Matteo Salvini “analfabeta istituzionale”. Abbiamo sbagliato. Il ministro degli Inferni non è un analfabeta istituzionale, ma fa soltanto finta di esserlo per riuscire a truffare gli analfabeti istituzionali veri.

È del tutto inipotizzabile che non sappia, infatti, che, come gli ha fatto notare immediatamente il Quirinale, non è possibile approvare una legge costituzionale che cambia la sostanza del Parlamento e poi andare al voto «il giorno dopo» in quanto si lederebbe il diritto dei cittadini italiani di andare a un referendum per confermare, o cassare questo cambiamento. Al limite potrebbe anche non aver letto quel fastidioso libretto chiamato “Costituzione”, ma il rumore che ha fatto la caduta di Renzi, meno di tre anni fa, proprio in seguito a un referendum di tale tipo non può non averlo sentito.

Così, quando chiede al pubblico dei suoi comizi perché mai il TAR del Lazio si occupi delle sue proibizioni di entrare nelle acque territoriali italiane per le navi delle associazioni umanitarie con naufraghi migranti a bordo, e le cancelli, non è ipotizzabile che non sappia che il TAR del Lazio è competente per le controversie relative ad atti provenienti da una amministrazione statale che ha competenza sopraregionale. In realtà lo sanno anche gli ultras delle curve del calcio, visto che quel tribunale si occupa da anni di promozioni, retrocessioni, ripescaggi e altre baruffe del mondo del calcio stesso.
E allora perché lo fa? Semplice: perché ben coscio delle lezioni che hanno portato in tutto il mondo alla fine sostanziale di molte democrazie sostituite da regimi, il primo passo è quello di spargere teorici liquami. Poi, in realtà questi liquami non esistono, ma una buona parte di chi coglie il messaggio diffamante, non si rende conto che sono totalmente e deliberatamente falsi e continua a pensare quello che Salvini vuole; come tanti altri, in altri posti e in altri anni, hanno voluto.
Per rendersene conto basta esplorare alcuni social più vicini alla destra, se non appartenenti alla destra stessa e leggere un po’ di reazioni dei loro frequentatori che, al di là di quelli che sono sicuramente cloni degli stessi organizzatori, se la prendono con Mattarella che, per suoi irriferibili motivi, impedisce a Salvini di ridurre il numero di parlamentari e di mandare «il giorno dopo» il popolo di nuovo a votare, e con il TAR del Lazio che, sempre per gli stessi irriferibili motivi, vuole aprire le porta a un’invasione di ben un centinaio di stranieri.
Sembra impossibile, ma non sono pochi quelli che ci cascano, come non sono pochi neppure quelli che danno numero di conto e password a coloro che, via internet, promettono di regalare qualche decina di migliaia di euro.
A vederla così, può sembrare una partita persa. E, se si continua ad adoperare le stesse armi, una simile prospettiva non è lontana. Ma ci sono altre strade da seguire; e non soltanto seguendo quelle legate al mondo dei social e di internet in generale.
Sarò vecchio, ma continuo a credere nel valore della parole pronunciate e udita, e a quello del contraddittorio nel quale chi ha ragione riesce sempre a smascherare, carte alla mano, il truffatore. Il problema è che molti di coloro che vedono in Salvini un pericolo terribile continuano a mantenere un atteggiamento sussiegoso, a non voler abbassarsi a fare propaganda; al massimo – ma proprio al massimo – si sforzano di discutere quando sentono ripetere da altri le deliberate e premeditate bugie di Salvini e dei suoi.
Adesso è il caso che siano coloro che non vogliono rischiare di veder morire la democrazia a mettersi in testa di dover parlare e comunicare con tutti, anche di propria iniziativa. Per far sì che tutta quella fetta di popolazione che assorbe senza la minima funzione critica le bugie del ministro degli Inferni, possa almeno ascoltare delle voci contrarie e argomentate.
Bloccare qualcosa che avanza è una grande fatica, ma far tornare indietro qualcosa che è già arrivato e si è consolidato sarebbe uno sforzo molto maggiore e protratto per molto più tempo.
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domenica 11 agosto 2019

Certezze e non

Io, come credo tutti, sono un impasto di certezze e di dubbi. In campo sociale e politico, per esempio, sono assolutamente certo del valore della solidarietà, della fratellanza, della giustizia, della progressività della tassazione, dell’importanza del lavoro non soltanto come fonte di sostentamento, ma soprattutto come base della dignità umana. E potrei andare avanti nell’elencazione, ma è molto meglio rimandare a quanto è fissato nella Costituzione e quello che di umano è sollecitato dai Vangeli, due testi che per larga parte si sovrappongono.

Non ho alcuna certezza, invece, quando, a livello politico più che sociale, mi trovo a fare i conti con ipotesi di strategie, o, ancor peggio e molto più frequentemente di tattiche legate alle contingenze a breve termine. Prendiamo, per esempio, la crisi che Salvini vorrebbe proclamare da solo, con una specie di anticipazione di “pieni poteri”, ma la cui realizzazione, in realtà, spetta soltanto al Parlamento e al Presidente della Repubblica.

Ebbene, da una parte c’è Salvini che vuole andare al voto subito per evidenti motivi di sfruttamento di sondaggi che dicono di essergli favorevoli. E, accanto a lui, ci sono la Meloni che si sente molto vicina all’ancora ministro degli Inferni; Berlusconi che si illude di trascinare tuttora i conservatori verso una destra moderata che non c’è più, visto che ha scelto come bandiere il razzismo e il rifiuto di molte delle regole democratiche e della solidarietà; il PD di Zingaretti che vede queste elezioni come un passaggio fondamentale per tentare di far riapparire quel partito come punto gravitazionale capace di attrarre, almeno temporaneamente, tutti coloro che hanno scelto di fare Resistenza alle bramosie da “pieni poteri” di quel Salvini che fa finta di sapere poco o nulla di storia, ma che con le citazioni di Mussolini ha un’estrema familiarità.

Dall’altra parte ci sono Grillo e Renzi. Ebbene, fate pure la tara su quello che sto per scrivere perché è noto a tutti che non provo la minima simpatia per nessuno dei due. E, ovviamente, non nutro alcuna fiducia in loro. Però alcune considerazioni mi sembrano incontrovertibili.

È casuale che entrambi, che fino a pochi giorni fa definivano l’altro come la feccia dell’umanità, tutt’a un tratto possano pensare di allearsi, sia pure a termine? Ed è casuale che entrambi si trovino repentinamente di fronte a grossi problemi di numeri in Parlamento?
Grillo rischia di vedere più che dimezzata la sua pattuglia di deputati e senatori, non tanto per l’(in)flessibile regola del doppio mandato (che però appare, già, come tante altre, cestinata), quanto perché la maggior parte di coloro che hanno riposto la propria fiducia nei 5stelle, oggi se ne sono pentiti amaramente.

Renzi, invece, sa benissimo che, visto che la scelta delle candidature è fatta dalla segreteria politica e che lui segretario non lo è più, sicuramente non continuerebbe ad avere in mano la maggioranza nei gruppi parlamentari del PD, circostanza che oggi gli permette, pur essendo minoranza nel partito, di imporne, o proibirne, molte scelte.

È casuale che a entrambi sfugga il non trascurabile particolare che, se un governo patchwork dovesse uscire da questa crisi per salvare la situazione economica, si assumerebbe l’intera responsabilità di una finanziaria davvero fatta di lacrime e sangue, rendendo facilissima la campagna elettorale di un Salvini che non farebbe la minima fatica a sollecitare le insoddisfazioni e i rancori degli italiani più tartassati, tanto da puntare davvero a ottenere qui i “pieni poteri” che ricordano tanto gli anni Venti?

O, forse, è soltanto la speranza che un po’ di tempo guadagnato potrebbe dare spazio a Di Maio per tentare di non dover andare a cercarsi un lavoro, magari sbandierando ancora quel vessillo della riduzione dei parlamentari che, a mio parere, corrisponde a una riduzione di democrazia. E che a Renzi lascerebbe campo per cambiare gli equilibri interni di un partito che è in una continua ebollizione che scotta soltanto iscritti e simpatizzanti; mai gli avversari.

Del resto, se si dovesse andare alla urne a ottobre, magari finalmente la sinistra sarebbe obbligata a parlare di nuovo da sinistra (la destra già da anni parla da destra) e a fare discorsi chiari, privi di bizantinismi e di frasi aperte a qualsiasi interpretazione. E forse riuscirebbe a far comprendere anche a coloro che non vogliono più andare a votare, che questa maledetta notte è ancora assolutamente oscura e che la situazione è diventata talmente grave per la democrazia, che c’è bisogno di tutti e che per tutti è diventato un dovere tornare a scegliere, a prendere parte, a diventare partigiani, appunto.

Forse riuscirebbe a porre le basi per ricostituire quel Comitato di Liberazione Nazionale che è stato fondamentale dal 1943 alla nascita della Repubblica e che sarebbe altrettanto fondamentale adesso, da oggi a un’auspicabile rinascita della Repubblica.

A ripensarsi, le non certezze esistono, ma non sono mica tante.

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venerdì 9 agosto 2019

I due forni

Diciamocelo francamente: se fosse dipeso dal centrosinistra e dalla sinistra propriamente detta, staremmo ancora ad assistere al teatrino gialloverde con Salvini che comanda e Di Maio ubbidisce, disposto a qualsiasi nefandezza pur di non mollare la poltrona, con l’accordo si mettere in scena ogni giorno un teatrino con baruffe assortite con l’unico scopo di tentare di non deludere il proprio elettorato.

Dall’altra parte, nulla, se non baruffe vere e crudeli tra renziani, ex renziani e mai stati renziani in un panorama che ha visto i primi sconfitti in congresso, ma ancora saldamente in larghissima maggioranza nei gruppi parlamentari formati con elezioni nelle quali le candidature erano state decise dall’uomo forte del tempo: Renzi, appunto.

Poi è successo che Salvini abbia tirato troppo la corda soprattutto su argomenti umani e sociali, che Di Maio abbia accettato troppo spesso la parte del servo deferente più che obbediente e che una buona percentuale di coloro che avevano sperato che i 5stelle fossero davvero quello che promettevano di essere si siano accorti che accanto a una diffusa incompetenza, se non ignoranza, si stagliava anche una gigantesca attitudine ad accettare qualsiasi cosa pur di non veder finire anzitempo la legislatura, con le loro avventure parlamentari e/o governative. E la crisi è diventata inevitabile.

Comunque, adesso che il teatrino sembra aver calato definitivamente il sipario, si potrebbe finalmente distrarre per un attimo lo sguardo dalle grottesche vicende dei grillini e da quelle trucide dei leghisti e della destra, per rivolgerlo alle condizioni di quella parte politica che dovrebbe essere la vera alternativa al razzismo e anche all’insofferenza per la democrazia che si estrinseca – e non per la prima volta, purtroppo – in una lunga serie di decreti, di voti di fiducia e di leggi nelle quali le Camere sono chiamate soltanto a dire sì o no, tanto che si potrebbe cambiare il loro nome cumulativo da Parlamento in Votamento.

In vista delle prossime elezioni a coloro, a tutti coloro che fanno, o facevano parte della sinistra e del centrosinistra si può e si deve chiedere una cosa soltanto: formulare un programma umano (per affermare che i valori repubblicani della nostra Costituzione esistono ancora), credibile (per riattrarre quei tanti che non credono più a nessuno) e non eccessivamente complicato (in quanto deve essere comune) per far finire questa maledetta notte. E devono smetterla, almeno per un po’, di battagliare soltanto per lotte interne e ambizioni personali o di gruppo. L’unico bene di cui oggi si deve tener conto è quello del nostro Paese e di chi vi vive.

E per raggiungere questo scopo sarà anche il caso di capire che i tempi sono cambiati e che molte delle cose alle quali eravamo abituati non esistono più. In primis quei bizantinismi che avevano dato sostanza a formule ormai passate alla storia, come i grandi dubbi tattici se votare contro, astenersi o uscire dall’aula, o come le “convergenze parallele”, la “non opposizione”, la “politica dei due forni”. Per capirci, quest’ultima espressione una volta aveva senso perché alcuni equilibristi della politica erano talmente bravi nelle loro prestidigitazioni da passare da una parte all’altra senza conseguenze. I politici di oggi, tra i due forni riuscirebbero soltanto a incenerirsi.

Ognuno deve riprendere ad assumere con responsabilità posizioni chiare, nelle quali si possa davvero credere. Tenendo sempre presente che dalla situazione economica attuale non si potrà mai uscire senza accettare dei sacrifici. E che i sacrifici non saranno mai accettabili se non saranno assimilati e condivisi alcuni valori umani e sociali: proprio quelli che sono stati alla base della rinascita democratica, sociale ed economica di quell’Italia povera, battuta e disprezzata che era uscita dalla tragedia del fascismo e della guerra nella quale dal fascismo era stata trascinata.


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mercoledì 7 agosto 2019

Elogio del pessimismo

È quasi come veder crescere un bambino standogli accanto ogni giorno, o quasi: nessuno ne annota quotidianamente la crescita in altezza di una frazione di millimetro, o l’aumento di peso di un paio di grammi. Però, a un certo punto, ci si rende conto che qualcosa è profondamente cambiato e non soltanto nelle dimensioni del piccolo, ma anche nelle sue capacità: comincia a distinguere i numeri e le lettere e a compitare le prime sillabe. E allora ci si accorge che la sommatoria di piccoli mutamenti inevitabilmente porta a cambiamenti profondi.

La stessa cosa sta accadendo con la situazione sociale, politica ed economica in Italia. Solo che se si guarda ai cambiamenti di mese in mese, l’osservazione non porta gioia, bensì sgomento.

Chi, soltanto qualche mese fa, per esempio, avrebbe potuto pensare che la sindaca di Monfalcone, la leghista Anna Maria Cisint, sia pure dopo aver fissato un tetto di presenze di bambini stranieri per classe nella scuola materna e dopo avere eliminato dalla biblioteca comunale i quotidiani “Il Manifesto” e “Avvenire”, potesse arrivare al punto di istituire un «punto di ascolto riservato» – in pratica una buca per delazioni anonime, con tutto quel che ne consegue – per denunciare gli insegnanti di sinistra che «con le loro ideologie, avvelenano i giovani, osteggiando apertamente le scelte democratiche che gli italiani stanno manifestando verso gli amministratori della Lega»?

Chi avrebbe potuto immaginare che una sezione della Lega, in un comunicato, attribuisse la strage di Bologna alle Brigate Rosse, mentre c’è una sentenza definitiva che ne ascrive la responsabilità alla destra eversiva e segnatamente a Mambro e Fioravanti? E che poi, davanti alle proteste per l’ennesima delle fake-news, si limitasse a dire che si può sbagliare, ma guardandosi bene dal ricordare che la responsabilità di tutti quei morti va attribuita, appunto, alla destra e non a quella sinistra terrorista che di morti ne ha tanti altri – ma altri – sulla coscienza.

Chi avrebbe ipotizzato che la parte leghista del governo, con il solito timoroso assenso di Di Maio e dei suoi più privi di autonomia di pensiero, fosse tanto desiderosa di mettere le mani sul mondo dello sport italiano e sui soldi del CONI da ignorare gli avvertimenti del CIO che da sempre pretende l’autonomia dello sport dalla politica e che adesso minaccia esplicitamente l’esclusione dell’Italia dalle Olimpiadi di Tokyo e l’annullamento della scelta di Milano e Cortina come sede per i futuri Giochi invernali?

Chi, soprattutto tra coloro che hanno avuto l’idea di votare 5stelle, avrebbe mai pensato di vedere il proprio partito preferito praticamente comandato da Salvini, quel ministro degli Inferni che travalica largamente gli ambiti istituzionalmente assegnatigli e che ottiene quello che vuole semplicemente ricordando a Di Maio e ai suoi senatori e deputati che quando questo governo cadrà e si tornerà alle urne, saranno in molti, e in primis il cosiddetto “capo politico” della Casaleggio Associati, a restare fuori dalle Camere e a dover cercare un nuovo sistema di sostentamento perché resteranno esclusi per il limite del doppio mandato, ma soprattutto per il crollo verticale del loro gradimento nei tanti che si erano illusi e che ora sono schifati e incattiviti?

Chi avrebbe mai immaginato che il ministro degli Inferni non avesse neppure preso in considerazione quello che è scritto in diversi articoli della nostra Costituzione prima di stilare quello che beffardamente è chiamato “Decreto Sicurezza bis” che è stato approvato chiedendo la fiducia a tanti grillini e darà tanto lavoro alla Consulta?

Chi poteva pensare che a tutt’oggi la teorica sinistra italiana potesse essere ancora più preoccupata delle lotte di potere intestine piuttosto che della necessità di formare nuovamente uno o più partiti che possano ridare fiducia agli elettori, magari preparando programmi seri e non vuoti slogan di velleitaria propaganda?

Potrei andare avanti a lungo con altre domande su questo tono, ma queste mi appaiono già sufficienti per mettere in luce il punto fondamentale: distrarsi, o rassegnarsi, è vietato anche per un solo giorno. È sbagliato starsene in silenzio, o senza scrivere, perché – si pensa – tanto si finisce per dire sempre le stesse cose, o in quanto si ritiene che comunque non si potrà influire sulla possibilità di accelerare almeno un po’ la fine di questa maledetta notte che stiamo attraversando. Saranno vere entrambe le motivazioni, ma il silenzio è comunque sbagliato, sia perché non si pungola gli altri, sia in quanto si perde la propria dignità. Me ne scuso.

Non è accettabile il rassegnarsi al fatto che ormai il bordo del burrone sia talmente vicino che la caduta appare quasi inevitabile, solo perché non si è ritenuto di opporsi ogni giorno, ma solo una volta ogni tanto. E non è neanche più lecito nascondere la realtà dietro le parole. È vero: in Italia non c’è il nazismo, ma, come allora in quel partito, oggi ci sono tantissimi italiani disumani. È vero: in Italia non c’è il fascismo, ma, come allora in quel partito, oggi ci sono tantissimi italiani che sentono la democrazia come un fastidio da limitare, se non da eliminare. È vero: in Italia non c’è nessuno che vada in giro con il cappuccio del Ku Klux Klan, ma oggi ci sono tantissimi italiani che neppure più si sognano di nascondere il loro razzismo.

E a questo punto l’unica possibile ancora di salvezza è il pessimismo, quel sentimento che ci fa temere sempre quel peggio che poi quasi sempre avviene e che ci sprona a fare qualcosa per resistere e per sovvertire quello che non è un destino ineluttabile. Ogni giorno e non solo di tanto in tanto.

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sabato 13 luglio 2019

La prima vittima

La notizia che Massimiliano Fedriga ha disertato l’inaugurazione del Mittelfest merita sicuramente l’apertura della prima pagina del giornale: non certamente perché sia un notizia sorprendente, ma in quanto è estremamente descrittiva del pericolo che sta correndo questo Paese, pericolo che non diminuisce minimamente anche se i sondaggi continuano a premiare i deliri del ministro degli Inferni. Anzi, se possibile, aumenta perché ricorda sempre più da vicino quanto è accaduto negli anni Venti in Italia e nel decennio successivo in Germania. E contemporaneamente sottolinea efficacemente ancora una volta quello che la storia, se si volesse ogni tanto ascoltarla, ha già abbondantemente insegnato e cioè che non sempre la maggioranza ha ragione e che non basta essere in tanti per essere nel giusto.
Non stupisce perché, in definitiva, il comportamento del luogotenente regionale, obbediente al “capitano” nazionale, non si discosta per nulla da quello del sindaco udinese Fontanini che ha dato ordine all’assessore Cigolot di tentare di affossare vicino/lontano. Preoccupa fortemente perché ricalca strade già percorse nelle quali sono evidenti le tracce sporche che sono invariabilmente lasciate da ogni tentativo – riuscito o meno che sia – di impostare una dittatura: operare con una propaganda asfissiante e applicare la censura dove la propaganda non attecchisce.

A ogni livello il pensiero leghista afferma che chi non appoggia il ministro degli Inferni deve tacere, o, meglio, andarsene via. Se non lo fa, la prima reazione sarà quella di tagliargli i finanziamenti pubblici. Poi, se insisterà, si farà ancora qualcos’altro.

Haris Pasovic, direttore artistico del Mittelfest non è italiano, e già questo non credo sia molto gradito a Fedriga, ma, dimenticando di fare il suo mestiere in questa maledetta notte italiana, ha addirittura osato dire che è meglio costruire ponti che muri e che Carola Rackete e assolutamente paragonabile ad Antigone la cui storia sarà il perno del festival cividalese. È evidente che un gruppo che vive di slogan e di propaganda e che teme come il demonio il libero pensiero non può starsene tranquillo ad ascoltare, ma deve reagire. Il problema è che anche per reagire decentemente ci vogliono cultura e idee e che entrambe latitano terribilmente, e non da oggi, nella destra.

Già in partenza ci sono delle difficoltà ineliminabili perché se nella destra il culto dell’obbedienza occupa il primo posto nella scala liturgica, ne consegue direttamente che il libero pensiero non può essere ammesso perché può causare dubbi e addirittura dissensi, realtà che possono far perdere tempo all’operoso vicepremier, che di vice ha davvero poco, o addirittura metterne insopportabilmente in dubbio le sue geniali soluzioni.

Ma perché combattere la cultura soltanto cercando di soffocarla e togliendole ogni finanziamento? Semplice perché l’attuale destra non ha altri mezzi accettabili: riesce a confezionare soltanto slogan di indubbia presa, ma di altrettanto indubitabile vuotezza; deve assumere un intero gruppo di “pensatori” addirittura per riuscire a confezionare un twitter che già era terribilmente esteso con 140 caratteri e che da circa un anno e mezzo qualche pericoloso intellettuale di sinistra è riuscito a far dilatare fino alla complicatissima estensione di 280.

Se è vero che la cultura è qualcosa che non si costruisce in pochi mesi e neppure in pochi anni, ma che richiede applicazione e fatica, allora è evidente che, tranne che per poche eccezioni, la destra non ha munizioni per combattere ad armi pari sul piano dell’etica e del ragionamento e allora l’unico sistema è quello di censurare, di cancellare, di proibire con il soffocamento economico. Ne sanno qualcosa – per ora a livello di minacce, ma non tanto aleatorie – vicino/lontano, il Mittelfest e molte altre iniziative più piccole che si sono viste azzerare i contributi.

Ebbene anche in questo caso l’unica via di salvezza si chiama Resistenza e consiste in un doppio impegno: quello da parte dei protagonisti di ridurre al minimo i costi che li riguardano e quello degli spettatori di essere presenti e, magari, se possono, di contribuire in qualche modo alla sopravvivenza di una specie umana che è tale soltanto se pensa e se ha una dirittura etica.

Verrebbe da estendere l’invito anche ai 5stelle, ma come si fa a chiedere una cosa simile a chi sostiene che la politica non è una cosa seria e che, quindi, a differenza dei mestieri utili e importanti, deve costare poco, deve essere praticata da sempre meno persone e che queste persone devono essere scelte non a seconda della loro competenza, ma soltanto con una ventina di voti da parte delle cerchie di amici più numerose?

Ricordatelo: la cultura è sempre stata la prima vittima dei dittatori, dei loro servi e di coloro che volevano starsene in disparte credendo di non sporcarsi le mani.

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Italiani brava gente?

Ogni generalizzazione può eventualmente avere qualche utilità soltanto a livello burocratico: italiani, per esempio, dovrebbero essere tutti i nati in Italia, o da almeno un genitore italiano, o tutti coloro che hanno ottenuto la cittadinanza del nostro Paese; ma già a questo livello non c'è unanimità di pensiero.
 
Le generalizzazioni, poi, possono diventare pericolosissime ed essere l'anticamera del razzismo se raggruppano gli esseri umani per caratteristiche religiose, etniche, fisiche e così via: se non ci credete, andate a vedere cos'è successo agli ebrei in Germania, ai neri negli Stati Uniti e in Sudafrica, alle donne con i capelli ricci durante la caccia alle streghe, agli esseri umani che si permettevano di pensare con il proprio cervello durante l'inquisizione e anche in moltissimi altri periodi, neanche molto lontani, della storia.

Le generalizzazioni accompagnate da valutazioni qualitative, infine, sono le peggiori perché, oltre a essere irreali come le altre, hanno in sé un'evidente intenzione truffaldina. Al caso di cui oggi scrivo, tra l'altro, non può essere applicata come attenuante neppure la palese e abissale ignoranza di chi parla perché, vista la posizione che occupa, dovrebbe preoccuparsi almeno di non influenzare falsamente altri ignoranti come lui, istigandoli a radicalizzazioni che portano sempre a conseguenze drammatiche.

Questa volta a fare la figura del truffatore ignorante è l'indegnamente sottosegretario agli Esteri, il deputato grillino Manlio Di Stefano che riporta in primo piano un concetto che potrebbe essere condensato nell'antico, abusato e falso "Italiani bava gente". Intendiamoci: negare la validità di questa frase fatta non vuol dire che gli italiani sono cattivi, ma semplicemente che ce ne sono di buoni e di cattivi; come in tutti i popoli del mondo.

Se l'ineffabile Di Stefano si fosse limitato a questa banalità, nessuno probabilmente ci avrebbe fatto caso, ma, orgoglioso della propria pochezza, ha voluto esporla sotto i riflettori scrivendo che, come italiani, «non abbiamo scheletri nell'armadio, non abbiamo una tradizione coloniale, non abbiamo sganciato bombe e non abbiamo messo il cappio al collo a nessuna economia».

Ebbene, sarebbe il caso di segnalare all'onorevole (quante prese in giro permette la lingua italiana!) Di Stefano che, quanto a bombe, gli italiani sono stati gli inventori del bombardamento aereo nel 1910 in Libia e che nello stesso anno e negli stessi posti hanno inaugurato anche la pratica dell'uso dei gas asfissianti poi ripreso su scala industriale anche in Etiopia dal maresciallo Graziani.

Bisognerebbe ricordargli che l'Italia è stata ferocemente coloniale esprimendosi in tal modo non soltanto in Libia, Eritrea, Somalia ed Etiopia dove non si contano le donne prima violentate e poi uccise assieme a civili maschi di ogni età dai soldati italiani occupanti, ma si è estrinsecata anche in Slovenia dove i generali Robotti e Roatta si lamentavano per iscritto con i loro soldati che «si ammazza troppo poco», come in Albania e nel Dodecanneso dove le smanie imperialiste di Mussolini e del re si sono sfogate senza troppo rispetto per albanesi e greci..

Occorrerebbe segnalargli che, quanto a scheletri nell'armadio, abbiamo avuto addirittura un "armadio della vergogna" che voleva celare le complicità tra italiani e nazisti. Che forse l'Italia non ha stretto il cappio al collo di nessuna economia, ma sicuramente lo ha teso, come possono testimoniare i parenti dei morti di Marcinelle, attorno al collo dei suoi figli inviati con il ricatto della povertà, in miniera per ricevere in cambio carbone.

Curiosamente, se si vogliono trovare degli italiani buoni, è più facile trovarli, pur con le debite eccezioni mafiose, tra i milioni di italiani migranti, o per loro dote personale, o per paragone con altri sovranisti e razzisti.

Come dimenticare, per esempio, gli italiani uccisi dai francesi nel massacro delle saline di Aigues-Mortes, nella regione di Linguadoca? Di questa strage si sa per certo il luogo, la data (16 e 17 agosto 1893), e il motivo che consisteva nella rabbia scatenata dalla falsa accusa che gli italiani fossero delinquenti abituali e da quella vera di lavorare per stipendi da fame, facendo però credere che quei salari fossero richiesti e non imposti per lavori che comunque i francesi non gradivano. Nessuno, invece, ha mai saputo il bilancio delle vittime: l'ufficio turistico di Aigues-Mortes parla di 17 morti e 150 feriti, mentre gli studiosi dell'emigrazione italiana si riferiscono a una ventina di vittime e ad almeno 400 feriti. C'è però un'altra certezza: tutti gli imputati francesi furono assolti e se ne andarono liberi tra gli applausi dei sovranisti transalpini dell'epoca.

Del resto, è spesso il paragone a salvare chi altrimenti vincerebbe la classifica dei peggiori. Pensate a Salvini e a quanto il nostro ministro degli Inferni può godere di un po' di ombra mediatica internazionale grazie a Trump che fa rischiare una guerra nucleare perché senza alcun motivo, se non per propaganda interna, decide di rompere l'accordo con l'Iran inducendo quel Paese a infrangere anch'esso il patto raggiunto con tanta fatica da Obama.

Ma francamente c'è poco di più stupido di una classifica della cattiveria, studiata o voluta che sia: oltre un certo livello meritano tutti un disumano ex aequo. Ma bisogna assolutamente dirglielo.

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giovedì 4 luglio 2019

Democrazia, politica e altri fastidi

Nel pur limitato repertorio verbale di Salvini sono tante le cose che dovrebbero suscitare riprovazione per la protervia, rabbia per i concetti espressi, o sorrisini di compatimento per gli abissi di ignoranza che le sue parole rivelano. Non può non indignare, per esempio, il concetto che «la Libia è un porto sicuro», mai smentito, nemmeno dopo che oltre cento uomini, donne e bambini sono stati cancellati da un bombardamento del generale Haftar su un campo di detenzione di migranti; né può non offendere il grande repertorio di frasi fatte mussoliniane rispolverato dal ministro degli Inferni. Ma quello che più mi colpisce, sia per la truffaldina furbizia di chi esprime questo concetto, sia per la stolida ignoranza di chi l’accetta senza ribattere, è l’idea che se qualcuno vuole fare politica, prima deve farsi eleggere.
 
Lo ha ripetuto anche dopo che la gip di Agrigento, Alessandra Vella, ha liberato, dopo quattro giorni trascorsi agli arresti domicilari, Carola Rackete, capitana della Sea-Watch, perché «Una nave che soccorre migranti – ha scritto la giudice – non può essere giudicata offensiva per la sicurezza nazionale e il comandante di quella nave ha l'obbligo di portare in salvo le persone soccorse».

Inoltre, sempre nella sentenza della gip, «Le unità navali della Guardia di finanza sono da considerarsi navi da guerra solo quando operano al di fuori dalle acque territoriali», mentre «Da quanto emerge dal video deve essere molto ridimensionata nella sua portata offensiva rispetto alla prospettazione accusatoria fondata solo sulle rilevazioni della polizia giudiziaria», la manovra in porto della Sea Watch che non aveva alcuna intenzione di colpire la motovedetta della Finanza.

Ebbene, come sempre quando qualcuno smonta con solide argomentazioni, i suoi decreti, Salvini se ne esce con la frase «Se qualche giudice vuole fare politica si toglie la toga, si candida in Parlamento con la sinistra e cambia le leggi che non gli piacciono». E questo è un concetto di una pericolosità tale che ogni altra uscita del ministro degli Inferni può essere assimilata a semplice battuta.

È pericolosa non tanto perché svela una mentalità da dittatorello che crede che ogni cosa decisa da lui stesso sia perfetta e infallibile e, quindi, accoglie come inaccettabile offesa personale, le parole di chi con lui non è d’accordo. Ma perché, così facendo, mina alla base il concetto stesso di democrazia che, ben prima di essere voto, è pensiero, confronto e discussione con la costante certezza che non è detto che chi raccoglie più voti abbia anche contemporaneamente ragione. E che, proprio grazie a questa incontestabile realtà, la democrazia offre la possibilità di migliorare costantemente, nella sostanza e non soltanto nei particolari.

Ma ancor più grave del fatto di mettere in discussione la democrazia è il fatto che questa frase mina alla base anche il concetto stesso di politica, l’agire per il bene della polis. Non mi riferisco all’agire della gip di Agrigento che, dall’alto del suo sapere giuridico, è incaricata di decidere se un’azione è un reato, oppure no, e che in questo suo agire deve avere un’indipendenza di giudizio garantita da quella Costituzione che Salvini – ammesso che se la sia letta – sente come una specie di camicia di forza. Penso, invece, al fatto che, se fosse vera la tesi che soltanto gli eletti possono fare politica, potremmo già abdicare alla nostra pretesa dignità di esseri umani perché la caratteristica di ogni cittadino è di fare politica in ogni sua azione, sia nel fare, sia nel non fare.

Pur senza essere necessariamente eletti, per esempio, fanno assolutamente politica coloro che evadono, in toto o in parte, le tasse e costringono un’intera società a subire le conseguenze della loro scelta; fanno politica sia coloro che lavorano coscienziosamente, sia quelli che si defilano in quanto concepiscono il lavoro soltanto come un momentaneamente inevitabile fastidio per poter incassare uno stipendio; fanno politica quelli che agiscono sentendosi parte di una comunità, ma anche coloro che si muovono pensando di essere l’unica persona che merita di essere rispettata; e la fanno sia quelli che accettano di discutere con chi non ha le loro stesse idee, sia quelli che, invece, rifiutano sempre il confronto e che, se fossero eletti e arrivassero nei posti di comando, agirebbero il più possibile per decreto, anche per evitare il fastidio che le loro idee possano essere anche soltanto valutate da un Parlamento di cui pur detengono la larga maggioranza: la valutazione altrui, infatti, la considerano una specie di “diminutio” propria. E potrei continuare a lungo.

Per fortuna non sono ancora arrivati a dire che in campagna elettorale, se non si è già eletti, non si può fare politica; ma non mettiamo loro fretta.

Solo un consiglio al ministro degli Inferni che ha avuto da ridire anche sul pensiero di molti preti e vescovi: non dica al Papa che, secondo i parametri Salviniani, può essere accusato di fare quotidianamente politica, che per fare politica, bisogna farsi eleggere: Francesco è stato eletto. E il Papa non insiste neppure sul fatto che per brandire il rosario e il Vangelo durante i comizi, un minimo di conoscenza del Vangelo stesso e di carità cristiana bisognerebbe pur averle. Però, se non ha mai accettato di riceverlo, qualche motivo ci sarà.

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