domenica 23 dicembre 2018

Non politica, ma civiltà

Chi oggi pensasse di essere testimone di una battaglia politica, sbaglierebbe due volte. La prima perché non di una battaglia politica si tratta, bensì di una guerra di civiltà. La seconda in quanto nessuno di noi deve illudersi di poter ritagliare per se stesso un comodo ruolo di testimone esterno perché, come ripeterebbe De Andrè, «per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti».

Se poi qualcuno pensasse di rassegnarsi, non soltanto sbaglierebbe, ma sarebbe colpevole, perché essere sconfitti in una battaglia non porta necessariamente a perdere la guerra e, visto che si sta parlando di impegnarsi a combattere per difendere la civiltà, ogni tentazione di alzare bandiera bianca non può non essere bandita.

Pensate che stia esagerando? Non credo proprio, perché qui non si tratta più soltanto di lotte per conquistare, o mantenere, il potere esecutivo e legislativo; non si tratta più semplicemente di un confronto tra destra e sinistra, categorie del pensiero che, nonostante la propaganda delle destre, esistono ancora; ma di veri e propri attentati alla democrazia e ai suoi caposaldi sociali, etici, politici, culturali, addirittura scientifici. Dice benissimo Emma Bonino rivolgendosi ai leghisti e ai 5stelle, ormai inestricabilmente complici: «Voi che non capite il senso delle istituzioni, non avete idea di quanto sia grave quello che state facendo. Ci passate sopra come rulli compressori». E poi mentre la maggioranza rumoreggia e il vicepresidente di turno del Senato, un leghista, minaccia di toglierle la parola, conclude: «Ho finito il mio tempo, ma non ho finito il mio impegno a difesa della democrazia». E infatti in questo terribile tempo civiltà e democrazia sembrano davvero coincidere e il cedere dell’una porta inevitabilmente anche a una perdita dell’altra.

Intanto il confronto tra destra e sinistra continua ancora sui temi di sempre, come la solidarietà umana e sociale, opposta alla chiusura egoistica; la redistribuzione della ricchezza, contro l’accumulo da parte di chi è già ricco e l’ulteriore depauperamento di chi vive già con difficoltà; la convinzione che un consorzio umano possa progredire soltanto se tutte le sue parti collaborano per migliorare, in opposizione all’idea che ci debba essere un solo capo e tantissimi obbedienti; l’idea che i confini sono divisioni assurde e destinate a sparire, contro l’innalzamento di nuovi muri ideologici e materiali.

Ma è su altri piani che il dibattito si è ammutolito, non soltanto acuendo certe disparità di pensiero tra sinistra e destra, ma addirittura creando altre categorie che, combinate con la continua falsificazione del significato di molte parole, sono usate con la determinazione di mischiare ulteriormente le carte confondendo quanta più gente sia possibile e nascondendo accuratamente dietro apparenti emergenze alcuni aspetti che dovrebbero essere determinanti nel decidere di non poter votare per un certo simbolo e che invece restano sepolti, appunto, sotto un cumulo di ciarpame propagandistico.

Un esempio emblematico di quello che è successo e continua a succedere è il voto in Senato sul maxiemendamento alla manovra economica, proprio quello su cui è intervenuta accoratamente la Bonino. Alle 20.30 si è cominciato a “discutere” il testo che era arrivato in aula un paio di ore prima. Alle 2.30, dopo soltanto quattro ore, sul testo è stato posto il voto di fiducia. E questi sono quelli che accusavano Renzi di far ricorso troppo spesso alla fiducia e di svilire il Parlamento. Dicevano il giusto, ma loro sono infinitamente peggio perché oltre a essere antidemocratici, sono anche ipocriti.

Già anni fa, negli “Eppure…”, parlavo della “governabilità”, orrenda e pericolosissima parola, come dell’anticamera alla dittatura, o, quantomeno, alla cancellazione della democrazia intesa come sostanza e non come apparenza. Oggi quella parola non la cita più nessuno, ma Salvini e Di Maio agiscono tenendo sempre ben presente che l’unica cosa che loro importa è arrivare dove vogliono arrivare con il loro contratto, grazie alla violenza di un governo che rifiuta qualsiasi confronto e qualsiasi dialogo, a meno che non vi sia costretto con le maniere forti, come ha fatto con loro l’Europa. Accade come per le parole “fascismo” e “razzismo” che nessuno vuol neppure sentir nominare, ma che Salvini e il suo acquiescente complice Di Maio praticano sempre più spesso e sempre più palesemente.

Non siamo più davanti a una battaglia politica, ma a una guerra non cruenta in cui sono in palio civiltà e democrazia; in cui ci si deve opporre a che sta trascinano nel fango lavoro, istruzione, cultura, sanità, dignità, solidarietà. E in un confronto di questo tipo le sfumature devono, almeno temporaneamente, cedere il campo alle posizioni nette, le mille differenze devono confluire – com’è già successo settantacinque anni fa, in un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale per liberarci, questa volta non da uomini invasori, ma da idee sociali – in realtà sono anch’esse ideologie, altra parola che nessuno vuole più usare – che in realtà sono miasmi venefici che stanno rovinando tutte le conquiste democratiche e i diritti individuali e sociali raggiunti con tante lotte, tanti lutti, tanti sacrifici. La posta in palio è davvero altissima e gli egoismi personali, o di gruppo, non sono un difetto: sono una colpa.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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