domenica 2 dicembre 2018

L’invasore interno

Nell’ormai lontano 1994 Karl Popper scriveva: «Se le nuove generazioni vengono martellate da una programmazione televisiva irresponsabile, che mostra loro migliaia di omicidi fin dalla più tenera età, è prevedibile che la loro propensione alla violenza si innalzi, poiché la considereranno un fatto normale. E la nostra civiltà, il cui progresso è consistito soprattutto nella riduzione della violenza e nell’ampliamento della tolleranza, rischierà un’inversione di marcia tale da metterne in pericolo l’esistenza». Il filosofo ed epistemologo austriaco indirizzava i suoi timori sulle fiction della televisione, probabilmente perché non pensava che il mondo avrebbe sopportate di rivedere a breve il rifiuto della solidarietà e l’accettazione della violenza come falsi diritti, prima predicati e poi accolti da tanta gente.
Non aveva, insomma, previsto né Salvini, né i suoi complici Di Maio e Conte, dei quali il primo, a parole difensore dei diritti altrui è, in realtà, ben disposto a svenderli per poter continuare a credersi una persona potente; mentre il secondo è quasi incredulo di potersi pavoneggiare delle nuove frequentazioni internazionali senza dover dare nulla in cambio, se si eccettua la cieca obbedienza agli ordini che arrivano dal vero capo del capo del governo.

O, più probabilmente, Popper aveva capito che, proprio con la quotidiana opera moralmente distruttiva della televisione, si sarebbero smantellate molte di quelle difese che apparivano come baluardi insuperabili e che, invece, in realtà erano soltanto paraventi di grande fragilità. Berlusconi lo aveva compreso e aveva insistito su una tv detta “d’evasione”, ma in realtà distruttiva. Quello che non aveva previsto è che a goderne i frutti, alla lunga, non sarebbe stato più lui.

In quest’ottica Salvini appare come un vero e proprio invasore interno. Questa definizione potrebbe sembrare un ossimoro, ma non lo è perché le conseguenze dell’invasione dei nostri territori non sono diverse da quelle causate dall’invasione dei nostri diritti. La differenza consiste soltanto nella nostra reazione e non possiamo fare a meno di chiederci perché siamo così sensibili alle invasioni dei nostri territori, e così poco sensibili alle invasioni dei nostri diritti. Nel primo caso siamo capaci di organizzare resistenze; nel secondo, stiamo lì, come inebetiti, a lamentarci un po’ e a lasciar fare.

E, come davanti a qualunque tipo di invasione, la prima domanda è: come possiamo fermarla? E, per noi, ancora più importante: come fermarla democraticamente? Perché per eliminare il substrato fascista – è ora di tornare a chiamare le cose con il loro nome – su cui i Salvini e i loro complici si reggono, è primaria l’esigenza di rispondere secondo le regole della riduzione della violenza, anche verbale; occorre ribadire che alla democrazia non intendiamo rinunciare neppure per difenderla da chi la vuole morta. Lo facessimo, sarebbe come se accettassimo che, come dice Salvini, la legittima difesa è sempre legittima, anche quando l’eccesso di legittima difesa costituisce un vero e proprio reato. Che resta tale, anche se per legge, si espropria il giudice della possibilità di giudicare.

Per fermarla democraticamente occorrerebbe avere un partito di centrosinistra capace di guardare nuovamente alla società e non soltanto a se stesso, in grado di mettere da parte le beghe per piccoli poteri e di sacrificarsi per il bene dell’intera società. In questo momento pare impossibile e sembra, anzi, essersi realizzata la profezia del Manifesto di Ventotene, steso nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann, nel quale i confinati non si limitarono a esplicitare l’utopia dell’Europa unita, ma vaticinarono anche il calvario della sinistra.

Vi riporto un brano della quarta parte del documento: «Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni; pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare; perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione».

Una condanna senza appello per i metodi democratici? No, perché questo si scriveva nel 1941 e già nell’aprile 1944 qualcuno riuscì a dimostrare che, pur essendo ogni democratico, e non soltanto quello di sinistra, incline a dare la precedenza alla discussione rispetto all’azione, nei casi più disperati anche i litigiosi democratici potevano mettere temporaneamente da parte gli obbiettivi secondari per raggiungere l’obbiettivo primario: cacciare gli invasori, nazisti e fascisti, di territori, o di diritti che fossero. E in quel caso le due cose coincidevano. Con la cosiddetta “Svolta di Salerno”, tutte le forze non fasciste, dai monarchici ai comunisti, con in mezzo le mille sfumature possibili, decisero di rinviare le discussioni di secondo livello a dopo il conseguimento dell’obbiettivo principale: la cacciata dell’invasore. E il Comitato di Liberazione Nazionale, nato nel settembre del 1943, acquistò una forza ideale che sarebbe poi risultata decisiva per le sorti dell’Italia.

Anche questa volta, come allora, occorre difendersi da un invasore che tale è, anche se questa volta, essendo interno, non ha bisogno di invadere territori e può scatenare tutto se stesso nell’invasione dei diritti; nel cancellare tutte le conquiste sociali che sono costate tanti decenni di fatiche e talora di sangue e che hanno costituito il vero progresso umano; nel distruggere quella società che abbiamo sempre criticato perché ancora imperfetta, ma che non ci saremmo mai sognati di non veder ulteriormente migliorare, ma solamente distruggere.

Rendendoci conto che, con l’aumento della violenza e la diminuzione della tolleranza, saremmo distrutti anche noi. Pensiamo alla vera emergenza: le beghe secondarie potremo risolverle dopo.

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