Nell’ormai
lontano 1994 Karl Popper scriveva: «Se le nuove generazioni vengono
martellate da una programmazione televisiva irresponsabile, che mostra
loro migliaia di omicidi fin dalla più tenera età, è prevedibile che la
loro propensione alla violenza si innalzi, poiché la considereranno un
fatto normale. E la nostra civiltà, il cui progresso è consistito
soprattutto nella riduzione della violenza e nell’ampliamento della
tolleranza, rischierà un’inversione di marcia tale da metterne in
pericolo l’esistenza». Il filosofo ed epistemologo austriaco indirizzava
i suoi timori sulle fiction della televisione, probabilmente perché non
pensava che il mondo avrebbe sopportate di rivedere a breve il rifiuto
della solidarietà e l’accettazione della violenza come falsi diritti,
prima predicati e poi accolti da tanta gente.
Non aveva, insomma, previsto né
Salvini, né i suoi complici Di Maio e Conte, dei quali il primo, a
parole difensore dei diritti altrui è, in realtà, ben disposto a
svenderli per poter continuare a credersi una persona potente; mentre il
secondo è quasi incredulo di potersi pavoneggiare delle nuove
frequentazioni internazionali senza dover dare nulla in cambio, se si
eccettua la cieca obbedienza agli ordini che arrivano dal vero capo del
capo del governo.
O, più probabilmente, Popper aveva
capito che, proprio con la quotidiana opera moralmente distruttiva della
televisione, si sarebbero smantellate molte di quelle difese che
apparivano come baluardi insuperabili e che, invece, in realtà erano
soltanto paraventi di grande fragilità. Berlusconi lo aveva compreso e
aveva insistito su una tv detta “d’evasione”, ma in realtà distruttiva.
Quello che non aveva previsto è che a goderne i frutti, alla lunga, non
sarebbe stato più lui.
In quest’ottica Salvini appare come
un vero e proprio invasore interno. Questa definizione potrebbe sembrare
un ossimoro, ma non lo è perché le conseguenze dell’invasione dei
nostri territori non sono diverse da quelle causate dall’invasione dei
nostri diritti. La differenza consiste soltanto nella nostra reazione e
non possiamo fare a meno di chiederci perché siamo così sensibili alle
invasioni dei nostri territori, e così poco sensibili alle invasioni dei
nostri diritti. Nel primo caso siamo capaci di organizzare resistenze;
nel secondo, stiamo lì, come inebetiti, a lamentarci un po’ e a lasciar
fare.
E, come davanti a qualunque tipo di
invasione, la prima domanda è: come possiamo fermarla? E, per noi,
ancora più importante: come fermarla democraticamente? Perché per
eliminare il substrato fascista – è ora di tornare a chiamare le cose
con il loro nome – su cui i Salvini e i loro complici si reggono, è
primaria l’esigenza di rispondere secondo le regole della riduzione
della violenza, anche verbale; occorre ribadire che alla democrazia non
intendiamo rinunciare neppure per difenderla da chi la vuole morta. Lo
facessimo, sarebbe come se accettassimo che, come dice Salvini, la
legittima difesa è sempre legittima, anche quando l’eccesso di legittima
difesa costituisce un vero e proprio reato. Che resta tale, anche se
per legge, si espropria il giudice della possibilità di giudicare.
Per fermarla democraticamente
occorrerebbe avere un partito di centrosinistra capace di guardare
nuovamente alla società e non soltanto a se stesso, in grado di mettere
da parte le beghe per piccoli poteri e di sacrificarsi per il bene
dell’intera società. In questo momento pare impossibile e sembra, anzi,
essersi realizzata la profezia del Manifesto di Ventotene, steso nel
1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, con Eugenio Colorni e Ursula
Hirschmann, nel quale i confinati non si limitarono a esplicitare
l’utopia dell’Europa unita, ma vaticinarono anche il calvario della
sinistra.
Vi riporto un brano della quarta
parte del documento: «Nel momento in cui occorre la massima decisione e
audacia, i democratici si sentono smarrirti non avendo dietro uno
spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni;
pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano
come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo
dove arrivare; perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del
nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono
una lunga preparazione e sono adatti ai periodi di relativa
tranquillità; danno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono
per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non
già la volontà di rinnovamento, ma le confuse volontà regnanti in tutte
le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio
allo sviluppo della reazione».
Una condanna senza appello per i
metodi democratici? No, perché questo si scriveva nel 1941 e già
nell’aprile 1944 qualcuno riuscì a dimostrare che, pur essendo ogni
democratico, e non soltanto quello di sinistra, incline a dare la
precedenza alla discussione rispetto all’azione, nei casi più disperati
anche i litigiosi democratici potevano mettere temporaneamente da parte
gli obbiettivi secondari per raggiungere l’obbiettivo primario: cacciare
gli invasori, nazisti e fascisti, di territori, o di diritti che
fossero. E in quel caso le due cose coincidevano. Con la cosiddetta
“Svolta di Salerno”, tutte le forze non fasciste, dai monarchici ai
comunisti, con in mezzo le mille sfumature possibili, decisero di
rinviare le discussioni di secondo livello a dopo il conseguimento
dell’obbiettivo principale: la cacciata dell’invasore. E il Comitato di
Liberazione Nazionale, nato nel settembre del 1943, acquistò una forza
ideale che sarebbe poi risultata decisiva per le sorti dell’Italia.
Anche questa volta, come allora,
occorre difendersi da un invasore che tale è, anche se questa volta,
essendo interno, non ha bisogno di invadere territori e può scatenare
tutto se stesso nell’invasione dei diritti; nel cancellare tutte le
conquiste sociali che sono costate tanti decenni di fatiche e talora di
sangue e che hanno costituito il vero progresso umano; nel distruggere
quella società che abbiamo sempre criticato perché ancora imperfetta, ma
che non ci saremmo mai sognati di non veder ulteriormente migliorare,
ma solamente distruggere.
Rendendoci conto che, con l’aumento
della violenza e la diminuzione della tolleranza, saremmo distrutti
anche noi. Pensiamo alla vera emergenza: le beghe secondarie potremo
risolverle dopo.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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