«Tutti hanno
diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo
scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere
soggetta ad autorizzazioni o censure». È la prima parte dell’articolo 21
della nostra Costituzione e merita riportarne il testo in un momento in
cui una parte della politica italiana, insofferente alle critiche,
aggredisce i giornalisti definendoli, con garbo, «sciacalli» e
«puttane». Il “governo del cambiamento”, insomma, anche in questo non
cambia nulla: i grillini imitano quello che avevano già fatto Berlusconi
e Renzi alzando alti lamenti perché qualcuno si permette di criticare
le loro scelte; ma ci aggiungono offese e turpiloquio. E non illuda il
fatto che Salvini stranamente si dissoci da questo modo di parlare: se
oggi, pur non avendo mai amato i giornalisti, è in disaccordo con Di
Maio lo fa soltanto perché questo rientra perfettamente nella sua
strategia ormai palese di attaccare e logorare l’alleato-servitore di
governo.
Non avrebbe molto senso, quindi,
tornare su questa antica difficoltà di rapporti tra politica e stampa,
tra chi decide e chi pensa di poter valutare le decisioni e, se del
caso, di criticarle. E neppure potrebbe spingere verso ulteriori
approfondimenti l’uso di epiteti che evidentemente gli attuali capi
grillini si sentono in dovere di mutuare dal capostipite Grillo. È
importante, invece, mettere a fuoco che oggi Di Maio, Di Battista,
Grillo, la Casaleggio Associati e molti loro dipendenti vorrebbero che
l’articolo 21 fosse applicato a tutti i cittadini, ma non ai
giornalisti; perché è a loro che viene rimproverato il fatto di sentirsi
in «diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
Una fetta dei 5stelle, infatti,
vorrebbe vedere il giornalista come puro registratore dei fatti, o,
magari, come araldo che non cita tutti i fatti che talvolta si
commentano già da soli. Ma così non è e non può essere anche perché, pur
se il pubblicista Di Maio probabilmente non lo sa, nella nostra
professione la deontologia non solo è importante, ma addirittura
fondamentale perché, nel dare una notizia, il giornalista non può mai
dimenticare che il rapporto tra informatore e informato deve essere
regolato da quelle norme di comportamento che vanno sotto il nome di
deontologia ma che, più semplicemente, rientrano del campo dell’etica.
Professionalità giornalistica, infatti, non significa soltanto saper
trovare e verificare le notizie e poi tradurle in un brano
letterariamente valido e in un titolo accattivante, inseriti in una
pagina graficamente gradevole: potrebbe farlo chiunque, e con non
eccessivo addestramento. Perché un mestiere diventi professione deve
poggiare, invece, su un solido substrato etico. E, per dare contorni più
definiti al tema, dico anche che l’obbligo di una moralità, di una
deontologia, esiste non perché la professione giornalistica nasca per
educare, ma perché, se questa eticità manca, ne consegue, in maniera
praticamente automatica, che finisce per diseducare. Lo si vede
succedere ogni giorno.
Oggi da varie parti, soprattutto da
alcuni dei 5stelle, si sta chiedendo a gran voce l’abolizione del nostro
Ordine professionale. Grillo e soci non lo fanno puntando a un
miglioramento, ma soltanto per cancellare quel residuo di preparazione e
deontologia che sono la base sulla quale un Ordine deve rendersi
garante verso gli esterni della rigorosità professionale dei propri
iscritti. Quando i grillini attaccano un giornale auspicandone la
chiusura, in realtà puntano a rimuovere, almeno temporaneamente, ogni
tipo di controllo nel nome di una libertà comunicativa che, in realtà, è
soltanto arbitrio da parte di chi in quel momento è più forte.
Temporaneamente, perché ogni potere, quando diventa tale, trova poi
comodo controllare quello che è raccontato, perché sia aderente al
cosiddetto “storytelling”, mentre sono diffusissime le “fake-news”,
infestanti e combattute soltanto se provengono da campi avversi.
Ralf Dahrendorf, in “Dopo la
democrazia”, ha sostenuto che i media devono essere estremamente liberi,
oltre che rigorosi, perché nella realtà hanno assunto alcune funzioni
di collegamento tra elettori ed eletti che sono state abbandonate dai
partiti politici, ormai allo sfascio anche come cinghie di trasmissione
tra i cittadini e il potere. Ed è evidente che la delicatezza di questo
compito non può lasciare spazio al dolo, ma nemmeno all’approssimazione.
Perché, se è vero che il giornalista dovrebbe essere una specie di
testimone e traduttore che porta i fatti dal luogo dove succedono agli
occhi e alle orecchie dei fruitori, rendendoli intellegibili, è
altrettanto vero che a un professionista non si può soltanto chiedere di
essere onesto relatore di ciò che vede. Gli si deve domandare anche di
rendere i fatti più comprensibili, eliminando le parti inessenziali,
individuando eventuali collegamenti con altre notizie, rovistando nella
memoria per scovare eventuali precedenti o precursori, ragionando per
prevedere possibili conseguenze e commentandole, ribattendo con fermezza
ad affermazioni mistificanti da parte di protagonisti e intervistati.
Altrimenti - ed è quello che
vorrebbero i grillini, ma non soltanto loro - ci si riduce al colpevole
ruolo di cassa di risonanza, o, alternativamente, a seconda dei comodi
altrui, di sordina.
Ma perché i 5stelle si accaniscono soprattutto contro la carta stampata
proprio mentre la crisi dei giornali si tocca con mano nel calo della
maggior parte delle tirature e nella scomparsa di un numero
impressionante di edicole? La risposta è semplice: perché la lettura di
testi stampati su carta è ancora quella più congeniale ai ritmi del
nostro cervello che può pensare anche mentre, con i suoi tempi, assorbe
le parole e le frasi degli articoli. E l’atto del pensare, per chi
comanda, è sempre visto come molto pericoloso.
Molto mi è piaciuta la frase scritta
su un cartello portato da un giovane in una recente manifestazione:
«Prima vennero a prendere i giornalisti. Chi hanno preso dopo, non lo
sappiamo». E, visto che ormai resistere non è più sufficiente, ma serve
ribellarsi, in maniera assolutamente non violenta, ma con alcuni no, vi
prego: leggete! Come forma di disobbedienza civile.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
Nessun commento:
Posta un commento