venerdì 16 novembre 2018

Registratori, araldi e giornalisti

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». È la prima parte dell’articolo 21 della nostra Costituzione e merita riportarne il testo in un momento in cui una parte della politica italiana, insofferente alle critiche, aggredisce i giornalisti definendoli, con garbo, «sciacalli» e «puttane». Il “governo del cambiamento”, insomma, anche in questo non cambia nulla: i grillini imitano quello che avevano già fatto Berlusconi e Renzi alzando alti lamenti perché qualcuno si permette di criticare le loro scelte; ma ci aggiungono offese e turpiloquio. E non illuda il fatto che Salvini stranamente si dissoci da questo modo di parlare: se oggi, pur non avendo mai amato i giornalisti, è in disaccordo con Di Maio lo fa soltanto perché questo rientra perfettamente nella sua strategia ormai palese di attaccare e logorare l’alleato-servitore di governo.

Non avrebbe molto senso, quindi, tornare su questa antica difficoltà di rapporti tra politica e stampa, tra chi decide e chi pensa di poter valutare le decisioni e, se del caso, di criticarle. E neppure potrebbe spingere verso ulteriori approfondimenti l’uso di epiteti che evidentemente gli attuali capi grillini si sentono in dovere di mutuare dal capostipite Grillo. È importante, invece, mettere a fuoco che oggi Di Maio, Di Battista, Grillo, la Casaleggio Associati e molti loro dipendenti vorrebbero che l’articolo 21 fosse applicato a tutti i cittadini, ma non ai giornalisti; perché è a loro che viene rimproverato il fatto di sentirsi in «diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

Una fetta dei 5stelle, infatti, vorrebbe vedere il giornalista come puro registratore dei fatti, o, magari, come araldo che non cita tutti i fatti che talvolta si commentano già da soli. Ma così non è e non può essere anche perché, pur se il pubblicista Di Maio probabilmente non lo sa, nella nostra professione la deontologia non solo è importante, ma addirittura fondamentale perché, nel dare una notizia, il giornalista non può mai dimenticare che il rapporto tra informatore e informato deve essere regolato da quelle norme di comportamento che vanno sotto il nome di deontologia ma che, più semplicemente, rientrano del campo dell’etica.
 

Professionalità giornalistica, infatti, non significa soltanto saper trovare e verificare le notizie e poi tradurle in un brano letterariamente valido e in un titolo accattivante, inseriti in una pagina graficamente gradevole: potrebbe farlo chiunque, e con non eccessivo addestramento. Perché un mestiere diventi professione deve poggiare, invece, su un solido substrato etico. E, per dare contorni più definiti al tema, dico anche che l’obbligo di una moralità, di una deontologia, esiste non perché la professione giornalistica nasca per educare, ma perché, se questa eticità manca, ne consegue, in maniera praticamente automatica, che finisce per diseducare. Lo si vede succedere ogni giorno.

Oggi da varie parti, soprattutto da alcuni dei 5stelle, si sta chiedendo a gran voce l’abolizione del nostro Ordine professionale. Grillo e soci non lo fanno puntando a un miglioramento, ma soltanto per cancellare quel residuo di preparazione e deontologia che sono la base sulla quale un Ordine deve rendersi garante verso gli esterni della rigorosità professionale dei propri iscritti. Quando i grillini attaccano un giornale auspicandone la chiusura, in realtà puntano a rimuovere, almeno temporaneamente, ogni tipo di controllo nel nome di una libertà comunicativa che, in realtà, è soltanto arbitrio da parte di chi in quel momento è più forte. Temporaneamente, perché ogni potere, quando diventa tale, trova poi comodo controllare quello che è raccontato, perché sia aderente al cosiddetto “storytelling”, mentre sono diffusissime le “fake-news”, infestanti e combattute soltanto se provengono da campi avversi.

Ralf Dahrendorf, in “Dopo la democrazia”, ha sostenuto che i media devono essere estremamente liberi, oltre che rigorosi, perché nella realtà hanno assunto alcune funzioni di collegamento tra elettori ed eletti che sono state abbandonate dai partiti politici, ormai allo sfascio anche come cinghie di trasmissione tra i cittadini e il potere. Ed è evidente che la delicatezza di questo compito non può lasciare spazio al dolo, ma nemmeno all’approssimazione. Perché, se è vero che il giornalista dovrebbe essere una specie di testimone e traduttore che porta i fatti dal luogo dove succedono agli occhi e alle orecchie dei fruitori, rendendoli intellegibili, è altrettanto vero che a un professionista non si può soltanto chiedere di essere onesto relatore di ciò che vede. Gli si deve domandare anche di rendere i fatti più comprensibili, eliminando le parti inessenziali, individuando eventuali collegamenti con altre notizie, rovistando nella memoria per scovare eventuali precedenti o precursori, ragionando per prevedere possibili conseguenze e commentandole, ribattendo con fermezza ad affermazioni mistificanti da parte di protagonisti e intervistati. 

Altrimenti - ed è quello che vorrebbero i grillini, ma non soltanto loro - ci si riduce al colpevole ruolo di cassa di risonanza, o, alternativamente, a seconda dei comodi altrui, di sordina.

Ma perché i 5stelle si accaniscono soprattutto contro la carta stampata proprio mentre la crisi dei giornali si tocca con mano nel calo della maggior parte delle tirature e nella scomparsa di un numero impressionante di edicole? La risposta è semplice: perché la lettura di testi stampati su carta è ancora quella più congeniale ai ritmi del nostro cervello che può pensare anche mentre, con i suoi tempi, assorbe le parole e le frasi degli articoli. E l’atto del pensare, per chi comanda, è sempre visto come molto pericoloso.

Molto mi è piaciuta la frase scritta su un cartello portato da un giovane in una recente manifestazione: «Prima vennero a prendere i giornalisti. Chi hanno preso dopo, non lo sappiamo». E, visto che ormai resistere non è più sufficiente, ma serve ribellarsi, in maniera assolutamente non violenta, ma con alcuni no, vi prego: leggete! Come forma di disobbedienza civile.


Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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