Quando Giacomo Leopardi, ne “La ginestra”,
metteva in dubbio, con malinconico sarcasmo, «le magnifiche sorti e
progressive», non esprimeva uno sterile e pessimista rimpianto del
passato, ma si dichiarava contrario non al progresso in quanto tale,
bensì a coloro che lo vedevano come inarrestabile e positiva sostanza
del presente, ignorando, però, del tutto le contraddizioni etiche,
sociali ed economiche che tale sviluppo porta con sé; e, quindi, non
pensando minimamente a correggerle. Affermava, in pratica, che non
sempre quello che viene dopo è, per ciò stesso, progresso.
La cosa potrebbe anche essere
accettata con una sorta di tranquillo disinteresse se non fosse che
l’esperienza insegna che ogni cosa umana, se non progredisce, è
inevitabilmente condannata a retrocedere. E oggi, mentre non è ancora
finita una lunga e drammatica crisi non soltanto economica, questo
regresso appare evidente in maniera addirittura smaccata, anche perché,
in una sorta di “pubblicità regresso”, i passi indietro, le rinunce a
conquiste costate sudore, lacrime e sangue, vengono presentati come
nuove conquiste. E, se non stupisce che gli imbonitori tentino di
subornare i possibili “acquirenti”, lascia annichiliti il fatto che in
tanti si lascino convincere dalle loro parole, vuote e con scarsissimi
addentellati con la realtà.
L’esempio più evidente è
rappresentato dal mutare della sensibilità degli italiani nei confronti
dei migranti che, pur di tentar di sopravvivere a guerre, fame,
tirannie, torture e malattie, decidono di rischiare la vita
attraversando il Mediterraneo su barconi totalmente inadatti e
mettendosi nelle mani di personaggi privi di qualsiasi scrupolo. Ilvo
Diamanti ha sottolineato come tre anni fa il 52 per cento degli
italiani, nei confronti dei migranti in mare, aveva sentimenti di
accoglienza, mentre erano il 40 per cento quelli che puntavano sul
respingimento. Oggi, sotto la martellante propaganda di Salvini, con il
suo pubblicitario «Prima gli italiani!», la situazione si è quasi
esattamente invertita. E a nulla è servito sottolineare che i migranti
via mare sono meno del 10 per cento del totale degli stranieri che
arrivano in Italia ogni anno che, per la maggior parte, sono di sesso
femminile. Come a nulla serve ribadire che l’Italia, tralasciando i
Paesi del Gruppo di Visegrad, è agli ultimi posti in Europa come
accoglienza calcolata sulla percentuale di presenza di stranieri
rispetto al totale della popolazione.
Ma gli esempi di regresso si stanno
moltiplicando ben al di là dell’accoglienza e stanno entrando
pesantemente pure nella sfera privata della vita degli italiani. Un
esempio clamoroso è offerto dal Ddl Pillon, un disegno di legge
presentato, con il numero 735, dal senatore leghista Simone Pillon,
fondatore del Family Day, il cui provvedimento, che fissa una serie di
modifiche sull’affido condiviso dei figli in caso di separazione e di
divorzio, è ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato.
In breve, prevede l’eliminazione
dell’assegno forfettario di mantenimento per il figlio disposto dal
giudice, che sarebbe sostituito da una cifra calcolata sulle varie spese
e perfettamente, ma iniquamente divisa tra i due genitori. I figli
sarebbero obbligati a passare non meno di 12 giorni al mese con entrambi
i genitori facendo la spola tra le due diverse abitazioni. Imporrebbe
il ricorso obbligatorio a un mediatore familiare pagato dai genitori in
via di separazione.
La prima considerazione è immediata e
riguarda la disumanizzazione di tutti i protagonisti. Innanzitutto le
prime vittime sono i figli che da bambini e ragazzi vengono trasformati
in una sorta di pacchi, obbligati a vagare da una casa all’altra e
magari da una città all’altra, con problemi evidentissimi, solo per
citare i primi che balzano agli occhi, dal punto di vista di scuola,
amicizie ed educazione. Ma ancora più grave appare il fatto che non
avranno più una famiglia di riferimento, ma ne avranno due, magari in
contrasto tra loro; quindi, praticamente nessuna. Senza contare il fatto
che i 12 giorni a casa di uno dei due genitori potrebbero essere
decisamente contrari alla loro volontà.
Disumanizzante è anche il meccanismo
che fa cessare l’uguaglianza tra i coniugi e favorisce nettamente il
genitore più ricco, statisticamente quasi sempre l’uomo, che potrà più
facilmente ottemperare alla sua metà di contribuzione alle spese, ma che
anche potrà, senza eccessivi sforzi, accollarsi la propria parte di
spesa per la consulenza obbligatoria.
E qui merita sottolineare un
particolare perché il senatore Pillon di professione è avvocato
specializzato proprio nelle mediazioni familiari. Tanto che per
promuovere la sua attività sul sito del proprio studio legale scrive: «È
in corso di approvazione una modifica al codice civile che conferirà
grande rilievo all’attività di mediazione nel corso dei procedimenti per
la separazione dei coniugi». Nel Ddl proposto si prescrive che i
coniugi con figli minori per separarsi dovranno essere, per legge,
seguiti da un mediatore per una durata massima di sei mesi in un numero
di sedute variabile di cui soltanto la prima sarebbe gratuita., mentre
le altre sarebbero da pagare al mediatore e a carico delle due persone
che si stanno separando con tariffe che evidentemente dipenderanno dai
vari mediatori. Il mediatore, inoltre, dopo la prima seduta potrebbe
escludere dagli incontri gli avvocati di parte. Sembra un’altra fulgida
perla della ricchissima collana italiana di interessi privati in atti
d’ufficio e di conflitti di interesse.
Forse il vecchio slogan di Borrelli,
«Resistere! Resistere! Resistere!» è ormai inadeguato. Probabilmente è
il momento di sostituire la resistenza con la ribellione. Assolutamente
pacifica, per carità. Ma fondata su quell’esplosivo potenziale che è
racchiuso nella disobbedienza civile, in quel “No” che sempre più appare
come la più preziosa parola a nostra disposizione per difendere la
democrazia e la società per la quale si è tanto lottato e combattuto.
Per salvare, insomma, noi stessi e i nostri cari.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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