domenica 11 novembre 2018

Pubblicità regresso

Quando Giacomo Leopardi, ne “La ginestra”, metteva in dubbio, con malinconico sarcasmo, «le magnifiche sorti e progressive», non esprimeva uno sterile e pessimista rimpianto del passato, ma si dichiarava contrario non al progresso in quanto tale, bensì a coloro che lo vedevano come inarrestabile e positiva sostanza del presente, ignorando, però, del tutto le contraddizioni etiche, sociali ed economiche che tale sviluppo porta con sé; e, quindi, non pensando minimamente a correggerle. Affermava, in pratica, che non sempre quello che viene dopo è, per ciò stesso, progresso.

La cosa potrebbe anche essere accettata con una sorta di tranquillo disinteresse se non fosse che l’esperienza insegna che ogni cosa umana, se non progredisce, è inevitabilmente condannata a retrocedere. E oggi, mentre non è ancora finita una lunga e drammatica crisi non soltanto economica, questo regresso appare evidente in maniera addirittura smaccata, anche perché, in una sorta di “pubblicità regresso”, i passi indietro, le rinunce a conquiste costate sudore, lacrime e sangue, vengono presentati come nuove conquiste. E, se non stupisce che gli imbonitori tentino di subornare i possibili “acquirenti”, lascia annichiliti il fatto che in tanti si lascino convincere dalle loro parole, vuote e con scarsissimi addentellati con la realtà.

L’esempio più evidente è rappresentato dal mutare della sensibilità degli italiani nei confronti dei migranti che, pur di tentar di sopravvivere a guerre, fame, tirannie, torture e malattie, decidono di rischiare la vita attraversando il Mediterraneo su barconi totalmente inadatti e mettendosi nelle mani di personaggi privi di qualsiasi scrupolo. Ilvo Diamanti ha sottolineato come tre anni fa il 52 per cento degli italiani, nei confronti dei migranti in mare, aveva sentimenti di accoglienza, mentre erano il 40 per cento quelli che puntavano sul respingimento. Oggi, sotto la martellante propaganda di Salvini, con il suo pubblicitario «Prima gli italiani!», la situazione si è quasi esattamente invertita. E a nulla è servito sottolineare che i migranti via mare sono meno del 10 per cento del totale degli stranieri che arrivano in Italia ogni anno che, per la maggior parte, sono di sesso femminile. Come a nulla serve ribadire che l’Italia, tralasciando i Paesi del Gruppo di Visegrad, è agli ultimi posti in Europa come accoglienza calcolata sulla percentuale di presenza di stranieri rispetto al totale della popolazione.

Ma gli esempi di regresso si stanno moltiplicando ben al di là dell’accoglienza e stanno entrando pesantemente pure nella sfera privata della vita degli italiani. Un esempio clamoroso è offerto dal Ddl Pillon, un disegno di legge presentato, con il numero 735, dal senatore leghista Simone Pillon, fondatore del Family Day, il cui provvedimento, che fissa una serie di modifiche sull’affido condiviso dei figli in caso di separazione e di divorzio, è ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato.

In breve, prevede l’eliminazione dell’assegno forfettario di mantenimento per il figlio disposto dal giudice, che sarebbe sostituito da una cifra calcolata sulle varie spese e perfettamente, ma iniquamente divisa tra i due genitori. I figli sarebbero obbligati a passare non meno di 12 giorni al mese con entrambi i genitori facendo la spola tra le due diverse abitazioni. Imporrebbe il ricorso obbligatorio a un mediatore familiare pagato dai genitori in via di separazione.

La prima considerazione è immediata e riguarda la disumanizzazione di tutti i protagonisti. Innanzitutto le prime vittime sono i figli che da bambini e ragazzi vengono trasformati in una sorta di pacchi, obbligati a vagare da una casa all’altra e magari da una città all’altra, con problemi evidentissimi, solo per citare i primi che balzano agli occhi, dal punto di vista di scuola, amicizie ed educazione. Ma ancora più grave appare il fatto che non avranno più una famiglia di riferimento, ma ne avranno due, magari in contrasto tra loro; quindi, praticamente nessuna. Senza contare il fatto che i 12 giorni a casa di uno dei due genitori potrebbero essere decisamente contrari alla loro volontà.

Disumanizzante è anche il meccanismo che fa cessare l’uguaglianza tra i coniugi e favorisce nettamente il genitore più ricco, statisticamente quasi sempre l’uomo, che potrà più facilmente ottemperare alla sua metà di contribuzione alle spese, ma che anche potrà, senza eccessivi sforzi, accollarsi la propria parte di spesa per la consulenza obbligatoria.

E qui merita sottolineare un particolare perché il senatore Pillon di professione è avvocato specializzato proprio nelle mediazioni familiari. Tanto che per promuovere la sua attività sul sito del proprio studio legale scrive: «È in corso di approvazione una modifica al codice civile che conferirà grande rilievo all’attività di mediazione nel corso dei procedimenti per la separazione dei coniugi». Nel Ddl proposto si prescrive che i coniugi con figli minori per separarsi dovranno essere, per legge, seguiti da un mediatore per una durata massima di sei mesi in un numero di sedute variabile di cui soltanto la prima sarebbe gratuita., mentre le altre sarebbero da pagare al mediatore e a carico delle due persone che si stanno separando con tariffe che evidentemente dipenderanno dai vari mediatori. Il mediatore, inoltre, dopo la prima seduta potrebbe escludere dagli incontri gli avvocati di parte. Sembra un’altra fulgida perla della ricchissima collana italiana di interessi privati in atti d’ufficio e di conflitti di interesse.

Forse il vecchio slogan di Borrelli, «Resistere! Resistere! Resistere!» è ormai inadeguato. Probabilmente è il momento di sostituire la resistenza con la ribellione. Assolutamente pacifica, per carità. Ma fondata su quell’esplosivo potenziale che è racchiuso nella disobbedienza civile, in quel “No” che sempre più appare come la più preziosa parola a nostra disposizione per difendere la democrazia e la società per la quale si è tanto lottato e combattuto. Per salvare, insomma, noi stessi e i nostri cari.


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