mercoledì 3 ottobre 2018

Sorrisi e sogghigni

Herman Melville scrisse che «Il sorriso è il veicolo d’elezione per ogni ambiguità». La mia prima impressione, quando l’avevo letta, era stata quella di trovarmi davanti a una frase cinica e pessimistica, ma gli avvenimenti più recenti l’hanno avvalorata abbondantemente confermando che non raramente un apparente sorriso, in realtà è un sogghigno che invariabilmente appare come tale quando le labbra si rilassano in quanto il cervello, troppo impegnato su altre faccende, non riesce a mantenere un decente controllo anche sui muscoli facciali.
 
Abbiamo tutti ben presente il sorriso da imbonitore sfoggiato da Matteo Renzi ogniqualvolta voleva convincere gli elettori della bontà delle sue scelte e – cosa ancor più difficile – che quelle scelte erano di sinistra. Ma bastava che qualcuno lo attaccasse sottolineando che Jobs Act, riforma costituzionale, decreto salvabanche e molte altre cose erano decisamente più vicine ai desideri del centrodestra che alle necessità di coloro che nella società sono relegati nelle posizioni più scomode, perché il sorriso scomparisse completamente lasciando spazio a una faccia decisamente arrabbiata, se non addirittura furente. Un soprassalto di sincerità al termine di un momento propagandistico non particolarmente efficace.

C’è poi il sorriso stereotipato, che sembra quasi il frutto di una paralisi facciale: quello di Di Maio, per intenderci. Immutabile, con tutti i denti, regolari e bianchissimi sempre in vista, è usato per far concentrare l’attenzione del telespettatore sul video e non sull’audio, puntando, appunto, a non far percepire immediatamente bene il senso delle parole che spesso nascondono realtà indigeribili, come quella del nuovo Def che sicuramente farà aumentare il debito, e non solo del 2,4 per cento, ma altrettanto sicuramente non farà raggiungere un incremento del Pil del 3 per cento. Poi, comunque, lo steso sorriso può essere utilizzato anche per opere di distrazione di massa. Guardate, per esempio, il sorriso smagliante con cui, per distrarre l’attenzione dal Def, tenta di spostarla sulla nuova proposta di riforma costituzionale che, guarda caso, insiste ancora sulla riduzione dei parlamentari perché – così pensano i grillini – tanto con la piattaforma Rousseau diventano sempre più inutili. Per far raggelare il sorriso di Di Maio e farlo completamente sparire più che trasformarlo in un sogghigno, basta che qualcuno gli ponga una domanda scomoda e ben argomentata: quei secondi – a faccia teoricamente seria – che impiega a cercar di capire se può cavarsela con il solito slogan, se è necessario tentare un’altra via, o se è meglio far finta di non aver sentito, sono più rivelatori di mille discorsi.

Nel caso di Salvini, invece, non è il sogghigno a interrompere il sorriso, ma succede esattamente il contrario. È stato di breve durata, infatti, il sorriso che ha sostituito il cipiglio del ministro dell’odio e della paura, quando, riferendosi all’arresto del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, orribilmente colpevole di solidarietà nei confronti dei poveri cristi che arrivano in Italia da guerre, torture, malattie e fame, ha chiesto: «Chissà cosa diranno adesso Saviano e tutti i buonisti che vorrebbero riempire l’Italia di immigrati?». È durato poco perché probabilmente ha avvertito distintamente che non soltanto Saviano e i buonisti, ma anche molti altri italiani non particolarmente impegnati, gli avrebbero risposto che semplicemente questa è una conferma che almeno uno dei due vicepremier è razzista, xenofobo ed eterofobo. Niente paura, però, la sua faccia è semplicemente tornata alla normalità.

Da ultimo, il sorriso subdolo di chi pensa di fare qualcosa di scorretto senza che nessuno se ne accorga, che si irrigidisce mentre, scoperto, tenta di escogitare velocemente una giustificazione per la scorrettezza, e poi si sgretola quando si rende conto che anche la scusa è talmente assurda da essere incredibile anche per i più distratti. In tal caso il sorriso viene sostituito da un sogghigno, ma talmente posticcio da durare poco anch’esso; non si sa se più per la delusione di non essere riusciti a imbrogliare gli altri, o per la delusione di essersi accorti di quanto incapaci, anche di mentire, si è. È il caso della sindaca di Monfalcone, la leghista Annamaria Cisint che ha tagliato gli abbonamenti per la biblioteca civica comunale ai quotidiani Il Manifesto e Avvenire, guarda caso un feroce avversario politico della Lega e il quotidiano dei vescovi che ha fatto campagne convinte contro la pretesa di Salvini di far passare per cristianesimo l’assenza di umanità e di solidarietà. Il sorriso della Cisint c’era ancora quando ha affermato: «Nessuna censura, ma razionalizzazione delle spese». Il sorriso è scomparso, però, quando, dopo che i frequentatori della biblioteca hanno fatto una colletta per finanziare i due abbonamenti, ha proibito ancora l’ingresso dei due giornali colpevoli di non essere leghisti e li ha dirottati nella casa di riposo. In questo caso anche il sogghigno non è riuscito tanto bene perché nulla come il ridicolo riesce a distruggere la protervia.

È vero che nella vecchia politica si sorrideva poco perché a dominare il quadro era la seriosità ancor più che la serietà e che frequenti erano le arrabbiature esplicite. Ma, tutto sommato, si trattava ancora più di politica che di pubblicità. Esattamente il contrario di quello che accade oggi.

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