I capi di un
governo che ha come motto principale “Prima gli italiani” dovrebbero
essere orgogliosi dei personaggi che hanno dato lustro al nostro Paese,
ma spesso viene il sospetto che non ne conoscano nemmeno l’esistenza;
oppure che facciano finta di non sapere cos’hanno detto e fatto perché,
in caso contrario, saprebbero benissimo di essere totalmente lontani dai
loro insegnamenti.
Prendiamo, per esempio, Dante che,
nel XXVI canto dell’Inferno mette in bocca a Ulisse una delle terzine
più famose dell’intera Divina Commedia: «Considerate la vostra semenza: /
fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e
canoscenza». Per secoli si è stati tutti d’accordo che queste sono le
caratteristiche principali che distinguono l’uomo da tutte le altre
specie animali diffuse sulla Terra. Poi si è capito che in almeno due
ambiti queste qualità dovevano essere lasciate temporaneamente da parte:
le pubblicità e le campagne elettorali; che poi sono praticamente la
medesima cosa.
Oggi il problema è che questo
governo “anomalo bicefalo” (rubo il titolo di uno spettacolo di Dario Fo
e Franca Rame) è sempre in campagna elettorale in quanto teme, una
volta raggiunto il potere più per demeriti altrui che per meriti propri,
di dover lasciare quelle poltrone che si sono rivelate molto più comode
di quello che pensavano.
Leghisti e grillini, Salvini e Di
Maio (scusate se non mi soffermo su Conte, il molto teorico presidente
del Consiglio cui è stato tolto anche il diritto di parola, se non
ossequiente), nella disperata ricerca di soldi per realizzare le tante
promesse irrealizzabili, sembrano essersi divisi i compiti nel
trascinare nel fango sia “virtute”, sia “canoscenza”.
Quale “virtute”, per esempio, può
essere trovata nel “capitano” dei leghisti, ministro dell’odio e della
paura, che, una volta resosi conto che la sua promessa di flat tax era
irrealizzabile, non ha trovato di meglio che distrarre il proprio
elettorato andandone a pungolare ulteriormente la parte più razzista,
xenofoba e aliofoba, scagliandosi con fredda e meditata ferocia non
soltanto contro coloro che fuggono da guerre, carestie, torture, ma
anche contro gli italiani che hanno colore di pelle, religione, o
abitudini sociali diverse da quelle che lui considera “giuste”: censire
tutti i rom, per esempio, anche quelli italiani, ha un innegabile puzzo
di discriminazione che ricorda troppo da vicino quello che dalla metà
degli Anni Trenta, per un decennio, ha dominato in Germania. E non si
venga a dire che non c’è pericolo che torni il fascismo in quanto la
storia non si ripete mai in maniera uguale. D’accordo: qualche
differenza di superficie per il momento c’è ancora, ma la sostanza
sembra proprio la stessa.
Tra l’altro il censimento dei rom è
sicuramente anticostituzionale, ma curiosamente Salvini, mentre “se ne
frega” – verbo caro a lui e a un passato regime – della Costituzione,
reclama l’osservanza totale alle leggi che gli fanno comodo, anche se
sono le più contestate, quelle che maggiormente sollevano problemi di
coscienza, come la Bossi-Fini sull’immigrazione. E così, approfittando
della sua posizione istituzionale, ha fatto arrestare, senza neppure
inviare prima un avviso di garanzia, il sindaco di Riace, Mimmo Lucano,
per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” e “abuso d’ufficio”.
Poi, con la paura di dover ammettere
che ci sono realtà che hanno già dimostrato di funzionare benissimo nel
campo dell’accoglienza, Salvini ha deciso che è proprio tutta Riace che
deve chiudere: lo ha messo nero su bianco con una delibera del 9
ottobre del suo dipartimento Immigrazione che ordina la chiusura di
tutti i progetti e il trasferimento di tutti i migranti entro 60 giorni.
Al centro delle contestazioni ci sono quegli strumenti di accoglienza
che hanno fatto di Riace un modello di riferimento nel mondo, ma anche
la solidarietà con quei richiedenti asilo che sono in condizioni di
particolare vulnerabilità e che sono stati ospitati anche oltre il
termine burocraticamente previsto dal progetto Sprar.
Il Viminale avrebbe voluto che
quella gente – donne con figli a carico, anziani, malati – fosse messa
subito alla porta. Ora l’ultima parola spetta al TAR, ma già si vede che
ancora una volta la parola “legalità” non è sinonimo di “giustizia”;
anzi, spesso è ed è stato addirittura il contrario. Consegnare gli ebrei
ai nazisti, per esempio, era perfettamente legale, ma sfido chiunque ad
affermare che fosse giusto.
E passiamo alla “canoscenza”. Lascio
perdere, per eccessiva facilità di critica, le imprese del ministro
delle Infrastrutture e dei trasporti Toninelli, tra cui l’ultimo, per
ora, è stata quella di inserire, o di lasciar inserire, nel decreto per
Genova l’innalzamento di 20 volte del limite per lo sversamento in
discarica di fanghi di depurazione e di alcune volte quello per la
dispersione di alcuni idrocarburi nei terreni agricoli. Alla faccia
della prima delle 5 stelle che avrebbe dovuto indicare l’ambiente.
Ma sulla mancata “canoscenza”
bastano e avanzano le opere del “capo politico” dei grillini, Di Maio,
sia nella stesura del Def, sia anche nelle sue già annunciate prime
correzioni. Anche per lui la necessità primaria è quella di non far
capire che il reddito di cittadinanza promesso è irrealizzabile e che,
al massimo, potrà essere messo in campo un suo pallido simulacro, più
povero e applicabile a meno persone. E allora si dà da fare ad
annunciare che, per trovare fondi, toglierà e taglierà a tutti, senza
rendersi conto che certe cose proprio non potrà farle e senza capire
nemmeno che, se davvero vuole che l’economia riparta, deve lasciare più
denaro possibile in circolo, esattamente il contrario di quello che
intende fare perché a condannare questa politica economica non sarà
soltanto l’inerpicarsi dello spread, ma anche il fatto che la classe
media, sempre più impoverita dai suoi colpi di genio e dalle
sollecitazioni di Salvini, che ha già chiesto ulteriori sacrifici,
finirà per spendere molto meno del poco che già spende adesso, mentre il
denaro che andrà ai più poveri finirà inevitabilmente, per la gran
parte, ad andare ad appianare, con qualche giro di spesa, i debiti di
affitto e di bollette.
Di Maio sembra un ragazzo che vuole
una trave per costruirsi una capanna dei giochi e che, incapace di
capire quello che sta facendo, decide di prendersi quella che regge il
colmo del tetto della casa in cui vive con tutta la sua famiglia,
condannandola al crollo.
A sentir parlare in giro, ci si
accorge che un numero sempre crescente di cittadini non è più d’accordo
con questo “governo del cambiamento” in cui una parte brilla per
incompetenza, mentre l’altra spicca per cattiveria; e che sempre più
gente si è pentita del voto dato a marzo. E allora, anche se appare
problematico pensare di rivederli insieme, come mai i sondaggi
continuano a offrire percentuali trionfali ai due partiti di governo nel
caso di prossime elezioni?
La risposta è semplice: anche i
sondaggi, come l’attribuzione dei seggi, si basano inevitabilmente sulle
percentuali dei voti espressi a voce, o deposti nelle urne; e non sui
numeri reali. Cioè, se uno non sa ancora per chi votare, oppure ha
deciso addirittura di disertare le urne, esce dal conteggio. Se su cento
intervistati, per esempio, cinquanta non si esprimono, basta che 17
dicano di votare per il partito X perché quel partito ottenga il 34 per
cento dei suffragi espressi. Ed è immediatamente evidente, quindi, che
se aumenta la quota dei votanti, calano, a parità di voti, le
percentuali dei partiti che non trovano consensi ulteriori tra coloro
che decidono di andare alle urne.
Il problema è che per indurre più
gente ad andare a votare occorrerebbe presentare proposte serie,
alternative e credibili. Servirebbe che il centrosinistra e la sinistra
tornassero a mettere in campo “virtute e canoscenza”, doti che di certo
non le mancavano e che si sono smarrite in una continua campagna
elettorale addirittura peggiore di quelle dei leghisti e dei grillini,
perché intesa non a conquistare il governo di uno Stato, ma, in modo più
miserando, quello interno di un partito, o di un’area politica,, in una
serie di faide personali, o di gruppuscoli, che ha svilito i tanti
partiti della sinistra e ha avvilito i tanti elettori che ancora
rispettano e amano i valori della sinistra e che nella sinistra
continuano a sperare.
Accanto alla serietà di una proposta
alternativa, però, serve anche una visibilità non di facciata, ma di
partecipazione e, allora, forse diventa necessario andare a riscoprire
una forma di comunicazione che è stata abbandonata con una buona dose di
puzza sotto il naso: quella dello scendere in piazza. Proviamoci e
magari scopriremo che saremo in molti di più di quanto temiamo e che,
testimoniando esplicitamente le nostre idee, potremmo forse tornare a
influire sulla politica del nostro Paese in maniera più efficace di
quella che si è inaridita negli ultimi decenni quando si affidavano i
nostri sogni a persone che, per la maggior parte, li mettevano subito in
un cassetto e poi se ne dimenticavano perché impegnati in minuscoli
giochi di potere interno.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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