domenica 14 ottobre 2018

Fatti non foste…

I capi di un governo che ha come motto principale “Prima gli italiani” dovrebbero essere orgogliosi dei personaggi che hanno dato lustro al nostro Paese, ma spesso viene il sospetto che non ne conoscano nemmeno l’esistenza; oppure che facciano finta di non sapere cos’hanno detto e fatto perché, in caso contrario, saprebbero benissimo di essere totalmente lontani dai loro insegnamenti.

Prendiamo, per esempio, Dante che, nel XXVI canto dell’Inferno mette in bocca a Ulisse una delle terzine più famose dell’intera Divina Commedia: «Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza». Per secoli si è stati tutti d’accordo che queste sono le caratteristiche principali che distinguono l’uomo da tutte le altre specie animali diffuse sulla Terra. Poi si è capito che in almeno due ambiti queste qualità dovevano essere lasciate temporaneamente da parte: le pubblicità e le campagne elettorali; che poi sono praticamente la medesima cosa.

Oggi il problema è che questo governo “anomalo bicefalo” (rubo il titolo di uno spettacolo di Dario Fo e Franca Rame) è sempre in campagna elettorale in quanto teme, una volta raggiunto il potere più per demeriti altrui che per meriti propri, di dover lasciare quelle poltrone che si sono rivelate molto più comode di quello che pensavano.

Leghisti e grillini, Salvini e Di Maio (scusate se non mi soffermo su Conte, il molto teorico presidente del Consiglio cui è stato tolto anche il diritto di parola, se non ossequiente), nella disperata ricerca di soldi per realizzare le tante promesse irrealizzabili, sembrano essersi divisi i compiti nel trascinare nel fango sia “virtute”, sia “canoscenza”.

Quale “virtute”, per esempio, può essere trovata nel “capitano” dei leghisti, ministro dell’odio e della paura, che, una volta resosi conto che la sua promessa di flat tax era irrealizzabile, non ha trovato di meglio che distrarre il proprio elettorato andandone a pungolare ulteriormente la parte più razzista, xenofoba e aliofoba, scagliandosi con fredda e meditata ferocia non soltanto contro coloro che fuggono da guerre, carestie, torture, ma anche contro gli italiani che hanno colore di pelle, religione, o abitudini sociali diverse da quelle che lui considera “giuste”: censire tutti i rom, per esempio, anche quelli italiani, ha un innegabile puzzo di discriminazione che ricorda troppo da vicino quello che dalla metà degli Anni Trenta, per un decennio, ha dominato in Germania. E non si venga a dire che non c’è pericolo che torni il fascismo in quanto la storia non si ripete mai in maniera uguale. D’accordo: qualche differenza di superficie per il momento c’è ancora, ma la sostanza sembra proprio la stessa.

Tra l’altro il censimento dei rom è sicuramente anticostituzionale, ma curiosamente Salvini, mentre “se ne frega” – verbo caro a lui e a un passato regime – della Costituzione, reclama l’osservanza totale alle leggi che gli fanno comodo, anche se sono le più contestate, quelle che maggiormente sollevano problemi di coscienza, come la Bossi-Fini sull’immigrazione. E così, approfittando della sua posizione istituzionale, ha fatto arrestare, senza neppure inviare prima un avviso di garanzia, il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” e “abuso d’ufficio”.

Poi, con la paura di dover ammettere che ci sono realtà che hanno già dimostrato di funzionare benissimo nel campo dell’accoglienza, Salvini ha deciso che è proprio tutta Riace che deve chiudere: lo ha messo nero su bianco con una delibera del 9 ottobre del suo dipartimento Immigrazione che ordina la chiusura di tutti i progetti e il trasferimento di tutti i migranti entro 60 giorni. Al centro delle contestazioni ci sono quegli strumenti di accoglienza che hanno fatto di Riace un modello di riferimento nel mondo, ma anche la solidarietà con quei richiedenti asilo che sono in condizioni di particolare vulnerabilità e che sono stati ospitati anche oltre il termine burocraticamente previsto dal progetto Sprar.

Il Viminale avrebbe voluto che quella gente – donne con figli a carico, anziani, malati – fosse messa subito alla porta. Ora l’ultima parola spetta al TAR, ma già si vede che ancora una volta la parola “legalità” non è sinonimo di “giustizia”; anzi, spesso è ed è stato addirittura il contrario. Consegnare gli ebrei ai nazisti, per esempio, era perfettamente legale, ma sfido chiunque ad affermare che fosse giusto.

E passiamo alla “canoscenza”. Lascio perdere, per eccessiva facilità di critica, le imprese del ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Toninelli, tra cui l’ultimo, per ora, è stata quella di inserire, o di lasciar inserire, nel decreto per Genova l’innalzamento di 20 volte del limite per lo sversamento in discarica di fanghi di depurazione e di alcune volte quello per la dispersione di alcuni idrocarburi nei terreni agricoli. Alla faccia della prima delle 5 stelle che avrebbe dovuto indicare l’ambiente.

Ma sulla mancata “canoscenza” bastano e avanzano le opere del “capo politico” dei grillini, Di Maio, sia nella stesura del Def, sia anche nelle sue già annunciate prime correzioni. Anche per lui la necessità primaria è quella di non far capire che il reddito di cittadinanza promesso è irrealizzabile e che, al massimo, potrà essere messo in campo un suo pallido simulacro, più povero e applicabile a meno persone. E allora si dà da fare ad annunciare che, per trovare fondi, toglierà e taglierà a tutti, senza rendersi conto che certe cose proprio non potrà farle e senza capire nemmeno che, se davvero vuole che l’economia riparta, deve lasciare più denaro possibile in circolo, esattamente il contrario di quello che intende fare perché a condannare questa politica economica non sarà soltanto l’inerpicarsi dello spread, ma anche il fatto che la classe media, sempre più impoverita dai suoi colpi di genio e dalle sollecitazioni di Salvini, che ha già chiesto ulteriori sacrifici, finirà per spendere molto meno del poco che già spende adesso, mentre il denaro che andrà ai più poveri finirà inevitabilmente, per la gran parte, ad andare ad appianare, con qualche giro di spesa, i debiti di affitto e di bollette.

Di Maio sembra un ragazzo che vuole una trave per costruirsi una capanna dei giochi e che, incapace di capire quello che sta facendo, decide di prendersi quella che regge il colmo del tetto della casa in cui vive con tutta la sua famiglia, condannandola al crollo.

A sentir parlare in giro, ci si accorge che un numero sempre crescente di cittadini non è più d’accordo con questo “governo del cambiamento” in cui una parte brilla per incompetenza, mentre l’altra spicca per cattiveria; e che sempre più gente si è pentita del voto dato a marzo. E allora, anche se appare problematico pensare di rivederli insieme, come mai i sondaggi continuano a offrire percentuali trionfali ai due partiti di governo nel caso di prossime elezioni?

La risposta è semplice: anche i sondaggi, come l’attribuzione dei seggi, si basano inevitabilmente sulle percentuali dei voti espressi a voce, o deposti nelle urne; e non sui numeri reali. Cioè, se uno non sa ancora per chi votare, oppure ha deciso addirittura di disertare le urne, esce dal conteggio. Se su cento intervistati, per esempio, cinquanta non si esprimono, basta che 17 dicano di votare per il partito X perché quel partito ottenga il 34 per cento dei suffragi espressi. Ed è immediatamente evidente, quindi, che se aumenta la quota dei votanti, calano, a parità di voti, le percentuali dei partiti che non trovano consensi ulteriori tra coloro che decidono di andare alle urne.

Il problema è che per indurre più gente ad andare a votare occorrerebbe presentare proposte serie, alternative e credibili. Servirebbe che il centrosinistra e la sinistra tornassero a mettere in campo “virtute e canoscenza”, doti che di certo non le mancavano e che si sono smarrite in una continua campagna elettorale addirittura peggiore di quelle dei leghisti e dei grillini, perché intesa non a conquistare il governo di uno Stato, ma, in modo più miserando, quello interno di un partito, o di un’area politica,, in una serie di faide personali, o di gruppuscoli, che ha svilito i tanti partiti della sinistra e ha avvilito i tanti elettori che ancora rispettano e amano i valori della sinistra e che nella sinistra continuano a sperare.

Accanto alla serietà di una proposta alternativa, però, serve anche una visibilità non di facciata, ma di partecipazione e, allora, forse diventa necessario andare a riscoprire una forma di comunicazione che è stata abbandonata con una buona dose di puzza sotto il naso: quella dello scendere in piazza. Proviamoci e magari scopriremo che saremo in molti di più di quanto temiamo e che, testimoniando esplicitamente le nostre idee, potremmo forse tornare a influire sulla politica del nostro Paese in maniera più efficace di quella che si è inaridita negli ultimi decenni quando si affidavano i nostri sogni a persone che, per la maggior parte, li mettevano subito in un cassetto e poi se ne dimenticavano perché impegnati in minuscoli giochi di potere interno.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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