Quando Di Maio,
mentre dal balcone di palazzo Chigi i maggiorenti grillini salutavano
con i segni di vittoria i loro deputati che li inneggiavano, ha
cominciato a snocciolare con aria trionfante i numeri che avrebbero
dovuto dimostrare la mirabolante “abolizione della povertà”, la prima
reazione è stata quella di dire: «Ma chi vuoi prendere – diciamo così –
in giro?». Poi, visto che sono convinto che non si possa mai dire «Non
accetto lezioni da nessuno», ho preferito attendere che cifre e
intendimenti fossero confermati anche da altri e poi mettere su carta
alcune semplici operazioni fatte già subito a mente in pochi istanti.
Adesso, però, a più di ventiquattr’ore di distanza, la mia domanda resta
la stessa ed è, eventualmente affiancata da un altro quesito: «Ma
davvero non c’è limite alla creduloneria anche se l’evidenza del
contrario è così immediata?».
Ricapitoliamo in breve le frasi
dette dall’immaginifico Di Maio che ha cominciato con: «Ci sono 10
miliardi per il reddito di cittadinanza» , una misura con la quale
«restituiamo un futuro a 6,5 milioni di persone». E poi ha aggiunto che
«Nessuno in Italia potrà guadagnare meno, o avere una pensione minima
sotto i 780 euro».
La prima cosa che viene
immediatamente da fare è dividere i 10 miliardi per i 6 milioni e mezzo
di persone per capire quanto toccherebbe mediamente a testa a ognuno dei
beneficiati e il risultato parla di un po’ più di 1.500 euro l’anno a
persona che, divisi in dodici mensilità, sono 128 euro e qualche
centesimo al mese. È ovvio che queste cifre per molti sarebbero a
integrazione di pensioni minime, o di emolumenti e stipendi
vergognosamente bassi che adesso riescono a mettere insieme, ma la cifra
mi sembra comunque inadeguata, tenuto conto che in Italia, secondo gli
ultimi dati Istat, ci sono circa 5 milioni di persone che versano nella
povertà assoluta e sono oltre un milione le famiglie totalmente senza
reddito. Inoltre bisognerebbe sapere se questi 128 euro saranno netti, o
saranno soggetti a una pur piccola tassazione, e se il passaggio a un
reddito di 780 euro mensili non porterà alla cancellazione di
agevolazioni ed esenzioni già esistenti per i redditi più bassi o
inesistenti.
Ma è comunque innegabile che aiutare
chi non ha nulla non è assolutamente una cosa riprovevole; anzi. E –
aspetto assolutamente non secondario – che tutti i beneficiati
proveranno una qualche gratitudine che, almeno in parte, si tradurrà in
voti elettorali. Quello che colpisce, invece, è l’improntitudine di Di
Maio quando afferma che «Dobbiamo far ripartire i consumi aiutando quei
10 milioni di italiani che oggi vivono sotto la soglia di povertà: se
diamo un reddito di cittadinanza a queste persone, loro faranno
ripartire i consumi e aiuteranno il mercato e la domanda interna»
aggiungendo che, anche con l’aumento dei consumi, questa «manovra del
popolo», come l’ha ribattezzata, sarà «il più grande piano di
investimenti della storia italiana».
Ma davvero Di Maio non sa che la
maggior parte di quei 128 euro medi non si trasferiranno nelle tasche di
commercianti e produttori facendo aumentare la domanda interna, ma
andranno inevitabilmente a tappare, per prima cosa i buchi di debito che
si creano con gli affitti e con le bollette di acqua, luce e gas? In
realtà soltanto una piccola parte sarà destinata al vitto, al vestiario e
a qualche altra necessità primaria, come il curarsi, e, quindi, più che
favorire i consumi e creare, conseguentemente, produzione e crescita di
posti di lavoro, questi redditi e pensioni di cittadinanza, finiranno
soprattutto per ridurre i crediti di persone ed enti che affittano case e
di Enel, Eni e altre aziende distributrici di energia.
Viene il dubbio che Di Maio,
illudendosi di assestare un colpo mortale alla povertà, abbia
semplicemente inferto un altro fendente al consumismo. Poi si potrà dire
– e con molte ragioni – che anche il consumismo andrebbe abolito visto
che ha portato con sé nuove e più profonde disuguaglianze, sovvertimento
sociale della scala di valori che troppo spesso sono stati confusi con i
prezzi, distruzione progressiva dell’ambiente che, appunto, viene
“consumato”. Ma anche il consumismo, come la povertà, purtroppo non può
essere abolita con decreto.
Forse qualcuno dovrebbe dirlo non
tanto a Di Maio, al quale addirittura Salvini ha già risposto dicendo
che «Mi piacerebbe anche abolire il cattivo tempo e i pareggi del Milan,
ma purtroppo con decreto non ci riesco», bensì ai tanti che stanno
festeggiando qualcosa che può essere efficace propaganda, però non
soltanto è lontana dalla soluzione dei nostri problemi, ma, anzi,
rischia addirittura di aggravarli.
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