martedì 18 settembre 2018

Cancellare o nascondere

Da quando sono scomparse le monarchie assolute, l’impegno di quasi tutti governi del mondo è stato quello di nascondere le cose di cui non ci si poteva vantare. Lo hanno fatto anche le dittature più terribile, consce dell’effetto che trovarsi faccia a faccia con la realtà avrebbe prodotto sia sulle altre nazioni, sia anche sulla propria popolazione nella quale, per quanto asservita e servile, può sempre celarsi quella scintilla di dignità, in partenza apparentemente gracile, ma poi capace di trasformarsi in qualcosa di tanto potente da riuscire a sgretolare e abbattere anche i muri antidemocratici più muniti e più feroci. È sempre successo e sempre succederà.
 
L’unica alternativa al nascondere un’azione inaccettabile è quella di cancellarla; però si tratta di un’impresa legata non soltanto all’ammissione della colpa e al riscatto, ma anche alla vigilanza costante che i semi della pianta velenosa non possano trovare terreno fertile per rifiorire. E, quindi, troppo difficile e faticosa, quasi tutti la evitano sperando che tutto vada bene lo stesso. Ma anche in questo caso è sempre successo e sempre succederà che la mala pianta prima o poi riesca a mettere nuovamente radici.

Oggi, 18 settembre, ricorre l’ottantesimo anniversario dell’annuncio, da parte di Benito Mussolini a Trieste, in una piazza dell’Unità gremita da 150 mila persone, della promulgazione delle leggi razziste che discriminavano gli ebrei, ne limitavano la libertà e che sarebbero poi state determinanti nel causare la morte di migliaia di cittadini italiani follemente, ancora prima che ingiustamente, separati dagli altri esseri umani. Parlo di leggi “razziste” e non “razziali”, perché sono convinto che il loro vero nome non vada ammorbidito, in quanto nell’aggettivo “razziale”, quasi sempre usato, c’è soltanto una fredda constatazione del loro contenuto e non una loro esplicita e contestuale condanna.

Ebbene, oggi, a ottant’anni di distanza, si può constatare che anche in questo caso la scelta di nascondere invece che cancellare, il cullarsi in una falsa sicurezza che ha nascosto pigrizia e timore di assumere un colore politico distinto che avrebbe potuto alienare qualche simpatia elettorale, ha permesso che la malapianta rinascesse. Questa volta non si parla ancora di ebrei – e spero che quell’“ancora” sia soltanto un segno di un mio ingiustificato pessimismo – ma si parla in abbondanza, e in forma evidentemente negativa, di neri, zingari, arabi, extracomunitari in genere, allargandosi poi ai diversi di ogni tipo, anche per credenze religiose, preferenze sessuali e – perché no? – per foggia dei vestiti o per gusti alimentari.

Poi, per sicurezza, ancora ci si dà da fare per nascondere gli orrori del passato. A Trieste per esempio, i ragazzi del liceo classico Francesco Petrarca – con personale orgoglio, il mio liceo di tantissimi anni fa – ha organizzato la mostra “Razzismo in cattedra” per ricordare l’abominio di ottant’anni fa cui Trieste ancora, pur se incolpevole, si vergogna. Ebbene, il comune, saldamente in mano alla destra, approfittando che la sede della mostra è di proprietà comunale, ha di fatto finora impedito l’apertura dell’iniziativa chiedendo modifiche al manifesto e alla mostra stessa dicendo che – ha affermato il sindaco Di Piazza - «bisogna ammorbidire i toni». Ammorbidire i toni di cosa? Della ghettizzazione di centinaia di migliaia di italiani? Della loro deportazione nei Lager? Dello sterminio di migliaia di loro? Del silenzio con cui troppo spesso si è voluto velare il ricordo?

O forse, molto più direttamente, ammorbidire il tono nei confronti della giunta comunale che è quella stessa che, con esplicito ricatto economico, ha avversato il manifesto della prossima Barcolana sul quale Marina Abramovic aveva tracciato lo slogan «Siamo tutti sulla stessa barca» che evidentemente alla giunta era scomodo in quanto poteva pericolosamente ricordare non solo che anche i migranti sono esseri umani, ma che anche noi siamo stato migranti e che su quella barca che si chiama mondo c’è una sola razza, quella umana.

Con questo non voglio assolutamente dividere il mondo ponendo tutti i buoni da una parte e tutti i cattivi dall’altra, ma, se forse non esiste nella realtà una pur piccola quota di totalmente buoni, indubbiamente i cattivi ci sono e continuano a voler nascondere. Sia perché non sanno e non vogliono cancellare, sia perché, a lasciar parlare e a lasciar raccontare la storia, è concreto il rischio che in tanti si accorgono della rassomiglianza dell’oggi con ottant’anni fa e che agiscano, umanamente, di conseguenza.

Forse la becera determinazione della giunta comunale di Trieste, delle persone di destra in genere, dei seguaci di Salvini e dei suoi complici governativi che gli permettono di fare quello che più gli aggrada, può essere utile a far tornare in primo piano due parole. La prima è un vocabolo che dovrebbe scomparire: l’“indifferenza” con la quale silenziosamente abbiamo lasciato che il mondo precipitasse fin dove è oggi, alimentando addirittura il timore che la discesa non sia ancora finita. La seconda, invece, è la parola “urgenza” che dovrebbe diventare primaria non soltanto in questo momento, ma per un lungo e continuativo periodo nel quale si deve essere consci che ognuno deve fare il proprio possibile per cominciare a risalire: senza interruzioni e testimoniando senza esitazioni con i pensieri, le parole e le opere e cancellando del tutto le omissioni. Come hanno fatto i ragazzi, i professori e la dirigente scolastica del Petrarca che hanno scelto di ridare dignità alla parola “scuola” ritrasformandola in un luogo dove l’importante non è tanto ottenere il lasciapassare per la classe successiva, ma cominciare a conoscere davvero il mondo, imparare a imparare e a far tesoro di ciò che si apprende per rendere possibile un ragionamento non parziale e non servo di chi ha digerito più cose, o, più semplicemente, sa costruire slogan vuoti, ma efficaci.

A loro tutti i nostri più sentiti ringraziamenti perché ancora una volta hanno dimostrato che, se non riusciremo a cancellare le vergogne di questo nostro mondo, non riusciremo certo a nasconderle perché, anche se non ci piace ammetterlo, ne saremo corresponsabili.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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