E la
divaricazione, se possibile, si amplia ulteriormente. Si allarga tanto
che si potrebbe essere tentati di pensare che, se davvero tutti quelli
che reclamano di essere cattolici lo fossero davvero, allora il
cattolicesimo, più che un monoteismo con forti dialettiche interne,
potrebbe essere una sorta di politeismo nel quale si pretenderebbe di
far coesistere due essenze di Dio molto diverse tra loro; praticamente
antitetiche.
Questa volta il vallo si è ancor di
più approfondito con la decisione di Papa Francesco di cambiare il
Catechismo della Chiesa cattolica per dichiarare sempre «inammissibile»
la pena di morte e per sottolineare che la Chiesa cattolica «si impegna
con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo». Non è cosa
da poco, sia perché non stiamo parlando di quel catechismo che viene
insegnato ai bambini, bensì di un volume di oltre 900 pagine nel quale è
contenuta, in una grande sintesi, l’esposizione ufficiale di tutta la
dottrina della Chiesa, sia in quanto questa scelta cambia profondamente
un importante parametro etico e spirituale, riportandolo alle origini e
ripulendolo da secolari incrostazioni utili ai vari poteri temporali
succedutisi nei secoli.
Nel testo del nuovo paragrafo 2267,
un rescritto del cardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione
per la dottrina della fede, si legge che «per molto tempo il ricorso
alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo
regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni
delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene
comune». Oggi, però «è sempre più viva la consapevolezza che la dignità
della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini
gravissimi». Inoltre, «si è diffusa una nuova comprensione del senso
delle sanzioni penali da parte dello Stato» e «sono stati messi a punto
sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa
dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo
definitivo la possibilità di redimersi». «Pertanto – stabilisce quindi
la nuova versione del Catechismo, citando un discorso di papa Francesco
dello scorso anno – la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la
pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità
della persona”, e si impegna con determinazione per la sua abolizione
in tutto il mondo».
Cioè, mentre la Chiesa stabilisce
che in nessun modo può essere accettabile la soppressione di una vita da
parte di uno Stato, Matteo Salvini, ministro alla Paura, ribadisce che
la pena di morte deve poter essere comminata, senza un giudizio
preventivo da parte di una corte di giustizia, da chi trova un ladro in
casa e può sparare senza poi dover giustificare il suo gesto ed
evitando, così, anche un giudizio successivo sulle sue azioni. È una
tesi che Salvini difende a spada tratta anche per rispettare un “patto
d’onore” (è incredibile come talvolta la parola “onore” possa puzzare di
putrido marciume) stretto da lui con i fabbricanti di armi.
Eppure Salvini è quello stesso
personaggio che in campagna elettorale giura sul Vangelo e sul rosario,
senza aver, come sottolinea la Conferenza episcopale italiana, mai letto
attentamente il primo, e forse chiedendosi anche a cosa mai potrebbe
servire quella cinquantina abbondante di grani tenuti insieme da una
cordicella. Ma sapendo bene che sono simboli molto amati e rispettati in
quella che in Italia, dai tempi della DC in poi, è sempre stata una
potente riserva di voti.
Sul tema dei migranti Famiglia
Cristiana e L’Avvenire hanno già abbondantemente sottolineato le
profonde differenze esistenti tra il Dio di Papa Francesco, amorevole e
accogliente, e quello di Salvini, trucido e respingente. Ma le
differenze tra la Chiesa di Papa Francesco e quella che era la Chiesa
del Dio Po non si fermano qui e, anzi, sono destinate ad aumentare di
numero e importanza. Non perché il Vaticano abbia interesse a mutare una
dottrina che trova tutti i suoi fondamenti in quattro libri – i Vangeli
– scritti poco meno di due millenni or sono, ma in quanto, invece,
Salvini e compagnia hanno tutto l’interesse, come spesso è accaduto
nella storia, di tenere in piedi lo schermo della spiritualità per
lavorare su quello che più loro preme, e cioè la politica, o, meglio, il
potere.
Viktor Orbán, premier ungherese,
preso a esempio e modello da Salvini, ha già tracciato la sua strada,
che riecheggia di spaventevoli echi del passato, vagheggiando una sua
nuova Europa, ovviamente da lui diretta, che dovrà reggersi su alcuni
pilastri dei quali il primo è «il diritto di proteggere la cultura
cristiana rigettando il multiculturalismo», con un esplicito attacco a
quell’ecumenismo che la Chiesa cattolica ricerca, come bene assoluto, da
molto tempo: almeno - anche se più d’uno fa finta di dimenticarsene -
dagli anni di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II.
Per anni abbiamo sentito
contrapporre la “Chiesa profetica” alla “Chiesa burocratica”,
l’aspirazione al bene comune a quello di qualche comunità soltanto, la
sostanza all’apparenza, ma oggi si sta concretizzando un’escalation
negativa alla quale è necessario opporsi. E i primi a farlo sono proprio
i cattolici socialmente più sensibili, come quelli della Comunità di
San’Egidio, che fanno riferimento più a Papa Francesco che a Matteo
Salvini: è loro il progetto, che dovrebbe decollare a settembre, di
creare Democrazia Solidale, un’iniziativa politica che non fa questione
di fede, né, tantomeno, di religione. Ma che punta al riconoscimento di
quei principi etici che sono, sì, nei Vangeli, ma che,
contemporaneamente, sono anche patrimonio dei laici più incalliti, se
convinti di voler portare avanti quei valori morali ed etici che finora
hanno permesso il miglioramento del mondo.
Ed è proprio in quest’ottica di
miglioramento sociale che il pensiero del politeismo mal si adatta al
concetto di un cattolicesimo nel quale un Dio diverso da quello
amorevole - come disse Jean-Jacques Rousseau, uno certamente non
accusabile di fideismo - non potrebbe esistere perché «di tutti gli
attributi di una divinità onnipotente, la bontà è quello senza il quale
non la si potrebbe neppure concepire». Ben si attaglia, invece, al credo
di Salvini - al quale oggi si adattano Grillo e, quindi Di Maio - in
cui al dio del potere e del denaro si affiancano, almeno, quelli
dell’odio, della paura, della discriminazione, dell’insensibilità
ostentata, dell’incapacità di com-patimento nel senso etimologico del
termine.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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