venerdì 31 agosto 2018

La democrazia dal volto umano

Contrariamente a quello che non pochi pensano, il primo compito di un leader democratico non è quello di vincere le elezioni successive; consiste, invece, nel difendere la democrazia, creatura preziosissima e sempre molto fragile; difenderla cercando di salvaguardare le sue istituzioni e di far vivere nella maniera migliore possibile i propri cittadini. Tenendo sempre presente che, in questa ricerca del vivere meglio, l’economia è importante, ma che non può essere elevata in posizione tale da mettere in pericolo, o addirittura da cancellare, l’etica e i suoi valori perché altrimenti, alla lunga, sarà proprio la democrazia a essere cancellata.

Dopo molti anni di silenzio su questo argomento primario, finalmente a sinistra si è ricominciato a parlare di futuro, perché quello smisurato presente che tutto sembrava assorbire, facendo dimenticare il passato e non progettare il domani, è diventato talmente brutto e pauroso da costringere a sforzarsi di uscirne al più presto. E anche, finalmente, a capire che bisogna muoversi in fretta perché di giorno in giorno diventa sempre più concreta la minaccia di perdere valori, diritti e democrazia, parole nobilissime che sembrano avere cambiato significato e sostanza nella bocca della destra estrema, violenta, razzista, xenofoba, capace di minacciare, come per Maria Lucis, se nascosta dalla moltitudine del branco, o dall’anonimato dei social network, incarnata da Salvini e dei suoi complici grillini che gli permettono di andare avanti sulla sua strada con un misto di voluttà di servilismo che si lega alla paura di perdere poltrone che hanno trovato di grande comodità, mescolata alla tradizionale presunzione e ignoranza che fa credere loro di sapere sempre più di chi davvero sa, che siano medici, scienziati, economisti; che fa sbertucciare le istituzioni facendo dire al loro capo, da un po’ abbastanza silenzioso per togliere se stesso e la Casaleggio Associati dalla luce dei riflettori, che i posti in Parlamento potrebbero essere addirittura estratti a sorte, negando in un sol colpo sia la democrazia, sia quella meritocrazia di cui Grillo si è sempre riempito la bocca, ma lasciandola evidentemente del tutto vuota.

Molti, per far capire cosa sta accadendo oggi, hanno tirato in campo il ricordo della Repubblica di Weimar che fu il prodromo della salita al potere di Hitler e del nazismo. Credo, però, che per capire come uscire da questa situazione, sia più opportuno dare un’occhiata all’invasione sovietica di Praga, di cui proprio in questo mese si è celebrato il cinquantesimo anniversario, e che è stata decisa per il timore del progetto politico di Dubcek che voleva instaurare quello che è stato definito il “comunismo dal volto umano”. Un progetto che, dal punto di vista di Mosca, era rivoluzionario e terribilmente destabilizzante, ovviamente non per il termine “comunismo”, ma per la specificazione “dal volto umano” che sottolineava come un’ideologia, pur nata per la ricerca della giustizia sociale, avesse bisogno di riacquistare quella umanità dalla quale si era allontanata per i burocratici calcoli di potere messi in campo da chi aveva in mano lo scettro del comando.

Probabilmente oggi, per sperare di uscire dal buio buco in cui siamo caduti, bisognerebbe applicare la specificazione “dal volto umano” al termine “democrazia” che ha visto deturpare il proprio volto, tanto da diventare non appetibile, se non proprio sgradita, dai tanti che ne hanno approfittato per fare i propri interessi in quella che è stata definita la “Prima Repubblica”, poi, più dichiaratamente, nel periodo berlusconiano, in quello renziano e, oggi, in quello del governo giallo-bruno, che è sicuramente il meno umano di tutti.

So bene che molti si adonteranno del fatto che abbia inserito Renzi (ma certamente non l’unico, a sinistra) tra i colpevoli di questo sfascio, ma credo sia necessario ricordarlo, visto che l’ex presidente del Consiglio continua a dire di interessarsi d’altro, ma a riempire giornali e televisioni di dichiarazioni che confermano il suo inalterato protagonismo. Su di lui, una considerazione e una domanda. La considerazione è che con il suo affannoso rincorrere la destra nella speranza di recuperare voti, Renzi ha distrutto il simbolo della sinistra e, come insegna l’etimologia che affonda le sue radici nella saggezza dell’antica Grecia, chi distrugge un simbolo (che deriva da syn-bállein, mettere insieme, unire) finisce inevitabilmente per evocare e materializzare il suo opposto, il diavolo (che deriva da dià-bállein, separare, dividere), quel demonio che sembra non aver ancora finito di distruggere quel popolo che aveva saputo trasformare alcuni sogni in realtà e che voleva materializzare ancora altre utopie. La domanda, invece, chiede di riflettere a cosa succederebbe oggi, se la riforma costituzionale e la nuova legge elettorale volute da Renzi fossero andate in porto e potessero essere usate oggi da Salvini per dilatare ulteriormente la sua prepotenza. Molti non vogliono, né possono dimenticarsene, e una presenza di Renzi e di altri che già hanno fallito diventerebbe una zavorra troppo pesante per lasciar decollare la rinascita di qualsiasi formazione di sinistra. Occorrono, invece, volti nuovi che sappiano adattare alla realtà idee vecchie, ma non desuete; che sappiano coniugare in progetti credibili la nuova società e tutti quei valori etici ai quali non è accettabile rinunciare. Forse sarebbe anche il caso di trovare anche un nome diverso da quello che è legato ormai a troppe sconfitte, ma l’importante, pur nell’epoca della apparenza, continua a essere il contenuto e non il contenitore. Ma bisogna riuscir a far capire anche questo e lo si può fare soltanto con un “volto umano”.

Ne parlo perché questo auspicato decollo è decisamente urgente e può essere possibile soltanto se, al di là degli uomini, ci sarà un recupero di quella umanità che si nutre di convinzioni, di valori e di ideologie. E, a proposito di questo, ormai appare evidente che nessuno è più integralista degli integralisti laici che dicono che tutte le ideologie devono essere annullate, combattute, distrutte. Sono come gli ateisti che non soltanto non credono in Dio, ma per negarne l’esistenza al di là di ogni dubbio, creano una propria religione che, tra l’altro, li rende liberi di cambiare atteggiamento ogni volta che lo desiderano.

E deve essere un recupero urgente perché non può bastare confidare nel tempo e nel fatto che ogni satrapia, nella vana convinzione della propria superiorità finisce per perdere i contatti con la realtà e per condannare se stessa. Pensate a quanto tempo e denaro viene oggi assorbito dalla crudele e inutile lotta contro l’accoglienza a detrimento di mille altri problemi reali, spinosi e più importanti e provate a ricordare come, sempre per motivi razzistici, i nazisti finirono per indebolire il proprio esercito privilegiando, nell’uso dei treni, i trasporti degli ebrei verso i campi di sterminioe togliendoli al rifornimento di materiali, munizioni e sussistenze ai soldati al fronte. Vien da dire che i razzisti vengono accecati da se stessi.

Non si può aspettare perché i disastri aumentano ogni giorno in progressione geometrica, ma anche perché la prima cosa da fare è quella di ridare un volto umano e finalmente davvero partecipato alla democrazia. E questo lo si può fare benissimo fin da subito perché, se non siamo riusciti a evitare che rovinassero l’Italia, dobbiamo impegnarci al massimo perché dai nazionalismi e dai razzismi, dall’odio e dalla paura non venga travolta anche la già fragile Europa per la quale si voterà in primavera. Rischierebbe di essere una strada senza ritorno.


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sabato 18 agosto 2018

La scelta impossibile

Come quasi tutte le tragedie, anche quella di Genova ha finito per scavare solchi profondi nella consapevolezza delle nostre coscienze. Il terribile dolore per l’inconcepibile numero delle vittime e per le sofferenze dei loro cari; l’assoluta incredulità per quello che è successo; l’indignato sgomento per coloro che hanno dovuto vivere per decenni sotto l’incombere di un’enormità di cemento, ferro e traffico e che ora sono senza casa e con pochissimo della loro vita; il profondo disprezzo per chi ha tenuto tanto d’occhio l’importanza dei dividendi da distribuire tra gli azionisti da relegare in secondo piano le necessità della sicurezza; l’irrefrenabile schifo per gli sciacalli che, prima ancora che lo sgomento potesse cominciare a sedimentarsi, hanno tentato di approfittare politicamente del dramma; la rancorosa incredulità che ci sia ancora qualcuno che possa pensare di decantare i pregi delle privatizzazioni.

Ma dalla tragedia esce anche un’altra considerazione tutt’altro che secondaria e che, anzi, è forse il problema maggiore, quello che sta alla base di tutti le altre difficoltà che ci angustiano. Consiste nel fatto che, mentre abbiamo sviluppato enormemente la capacità di accumulare informazioni e di realizzare cose, non abbiamo sviluppato di pari passo quella di ragionare; che, mentre abbiamo progredito a dismisura nella scienza e nella tecnologia, non abbiamo migliorato per nulla, e anzi siamo regrediti, nella capacità di prevedere dove ci porterà il futuro; che crediamo ancora nelle “magnifiche sorti e progressive”, ma siamo diventati talmente miopi da non riuscire a immaginare se davvero sono “magnifiche” e, comunque, dove ci potrebbero condurre; che ascoltiamo, leggiamo, impariamo e pensiamo talmente poco che siamo diventati incapaci di coordinare i vari segnali e indizi che potrebbero far capire su che strada ci si sta incamminando e a quali risultati si finirà per arrivare. Meravigliosi o drammatici che siano. Comunque stravolgenti.

È anche in questo senso che il disastro del ponte Morandi è emblematico, perché il crollo ancora una volta ha travolto e trascinato con sé non la fiducia nella scienza, ma quella nella capacità da parte di chi può decidere di ascoltare quello che la scienza dice. È già successo da poco con la criminale e drammatica vicenda dei vaccini diventata farsesca con la trovata di una signora, evidentemente diventata ministro per caso, che ha voluto prendere in giro tutti gli italiani – ma, senza accorgersene, anche se stessa – coniando l’assurdo concetto di “obbligo flessibile”, o “obbligo volontario”. È stato confermato adesso, quando è apparso evidente che i rischi insiti in quella struttura erano già stati abbondantemente segnalati e che addirittura si era più volte, ma sempre parzialmente, tentato di tamponarli; senza contare che altrettanto spesso era stato anche segnalato che dagli anni Sessanta a oggi il traffico si è moltiplicato a dismisura, sia in termini di passaggi, sia di peso complessivo, sia, quindi, di sollecitazioni che andavano a stressare ulteriormente le strutture portanti del manufatto che già di per sé apparivano minate da alcune carenze di base.

Se questo non seguire la strada logica è accaduto – e accade continuamente – con la scienza e la tecnologia, è evidente che con ancor meno discernimento si affrontano argomenti meno solidi e certi, nei quali, almeno a prima vista, si pensa che tutti possano dire tutto e il contrario di tutto. E così assistiamo a cosiddetti uomini politici, che dovrebbero essere di primo piano, che sproloquiano di azioni da intraprendere, ritenendosi giudici più che governanti, senza aver neppure mai letto i contratti che quelle azioni permettono, negano, o rendono obbligatorie. E lo fanno con l’unico obbiettivo di cercar di lucrare qualche voto in più in un’inesausta ricerca non di governare un Paese, ma di farsi governare da quella parte di Paese che è maggiormente influenzabile dall’apparente assonanza dei discorsi politici con le reazioni più immediate e viscerali davanti a qualsiasi avvenimento.

Da sempre si dice che la qualità di una democrazia dipende dalla qualità delle persone che vanno al voto, ma appare sempre più importante un corollario fondamentale di cui una volta non si parlava nemmeno, tanto appariva scontato: coloro che vanno al voto non devono trovarsi davanti a una scelta impossibile. E oggi la scelta appare quasi impraticabile perché appare limitata tra coloro che del loro pressapochismo, dell’ignoranza e dell’inesperienza fanno un vanto, quelli che si muovono sospinti da razzismi e aliofobie assortiti, da odi e paure e dalla convinzione che vada ripristinata la legge del più forte, e quelli che, se non sono temporaneamente ipnotizzati dall’ego smisurato del capo del momento, preferiscono passare il loro tempo a costruire ipotetiche e complesse partite a scacchi interne, piuttosto che affrontare il mondo reale che li circonda e davanti al quale non vanno oltre un tiepido balbettio nel timore di irritare qualcuno.

Dopo il crollo del ponte Morandi, ci vorrà un po’ di tempo, ma sicuramente si realizzerà una nuova opera che lo sostituirà, almeno nelle funzioni. Speriamo che la stessa cosa accada, che nasca qualcosa di nuovo e valido anche per rimediare al crollo della politica italiana. In queste condizioni, infatti, la scelta del meno peggio non può più bastare a mettere in pace la coscienza di nessuno.

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giovedì 9 agosto 2018

Per quanto voi vi crediate assolti…

Riesce difficile credere che possa davvero esistere un’ignoranza così abissale. Ma se per chi parla si può ipotizzare una falsità premeditata per trarne qualche vantaggio – come, per esempio, far dimenticare promesse non realizzate perché erano e sono irrealizzabili – per chi ascolta e annuisce è difficile trovare altre spiegazioni.

L’elenco è lungo e potrebbe riempire pagine su pagine, ma per chiarire di cosa stiamo parlando basterebbe ricordare la folle vicenda dei vaccini nella quale ci sono coloro che preferiscono credere a ciarlatani piuttosto che alla scienza che, tra l’altro, a riprova delle sue certezze, porta anche il numero crescente dei contagi e quello, ancor più drammatico, delle morti di bambini indifesi, mentre, soltanto per non rischiare di perdere qualche possibile voto, Lega e 5stelle decidono di rinviare di un anno una decisione di obbligatorietà giusta, doverosa e che dovrebbe essere applicata subito; anche perché, se fosse sbagliata, dovrebbe essere semplicemente cancellata.

E la lista si allunga ogni giorno. Alle celebrazioni del 62.mo anniversario della strage avvenuta nella miniera di carbone di Marcinelle, dove persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, ha detto: «Non dimentichiamo che Marcinelle è una tragedia dell’immigrazione, soprattutto ora che tanti vengono in Europa. Non sottostimiamo la difficoltà di gestire un tale fenomeno, ma non dimentichiamo che i nostri padri e nonni erano migranti». Una frase incontrovertibile che ricorda come il fenomeno dell’emigrazione abbia portato in altri Paesi milioni di italiani interessando tutte le regioni d’Italia. E la risposta della Lega, tramite gli sproloqui dei capigruppo a Camera e Senato, è incredibile: «Moavero manca di rispetto agli italiani. Paragonare gli italiani che sono emigrati nel mondo, a cui nessuno regalava niente, né pagava pranzi e cene in albergo, ai clandestini che arrivano oggi in Italia è poco rispettoso della verità, della storia e del buon senso». È ben vero che, quanto a scarso rispetto della verità, della storia e del buon senso, quelli della Lega sono espertissimi e che sono loro, con le loro bugie, a mancare di rispetto agli italiani, ma consiglierei, a chi li ascolta annuendo, almeno la lettura de “L’orda – Quando gli albanesi eravamo noi”, scritto nel 2002 da Gian Antonio Stella, giornalista del Corriere e sicuramente non sospettabile di “sinistrismo”.

Poi, messa da parte la domanda come possa Moavero restare in quella compagnia governativa che lo attacca falsificando la realtà, vanno anche segnalate la servile assistenza di Fratelli d’Italia che spera ancora di non essere cancellato dal cannibalismo salviniano nei confronti degli altri partiti di destra («Il richiamo di Moavero – detta il capogruppo di FdI alla Camera – o è inutile, o è fuorviante rispetto alla necessaria azione per impedire una invasione di clandestini che con gli emigranti italiani non c’entra nulla. Il ministro degli Esteri eviti paragoni impropri e offensivi»), e la guardinga prudenza del vicepresidente del Consiglio Di Maio che riesce a confezionare una frase che, proprio per non scontentare nessuno, tenta di voler dire contemporaneamente tutto e niente: «Io penso che queste tragedie storiche devono farci riflettere. La tragedia di Marcinelle ci deve ricordare che non bisogna emigrare». Un’ardita elucubrazione mentale dalla quale si arguisce che non si è emigrati, né si emigra, per necessità, ma soltanto per distrazione, o per scarsa capacità di ricordare.

Nessun fantasioso commento da parte del governo, invece, davanti all’accusa di Amnesty International (un’Ong e non l’Internazionale Comunista) che, in un rapporto di 27 pagine, scrive che fra giugno e luglio sono morti in mare 721 esseri umani e che, «nonostante il calo del numero di persone che cerca di attraversare il Mediterraneo negli ultimi mesi, il numero dei morti in mare è salito»; inoltre rileva anche che sono più che raddoppiati (da 4.400 a 10 mila) gli internati nei centri libici di detenzione dove rifugiati e migranti «rischiano torture e orribili abusi» e non possono avanzare domanda di asilo. Poi non si nasconde dietro giri di parole e accusa: «L’Ue è più preoccupata di tenere le persone fuori piuttosto che salvare vite umane», e punta il dito contro l’Italia, Malta e l’Europa accusandole di essere «colluse con i libici» e di usare come «moneta di scambio le vite dei migranti».

Come dicevo, nessuna reazione ufficiale a questo documento. È ovvio che Salvini e coloro che ne sono affascinati non ne tengano conto perché andrebbe a smantellare le loro tesi che si basano su razzismi, fascismi, etnofobie, xenofobie ed eterofobie assortiti. Ed è altrettanto ovvio che questi testo sia trattato con grande delicatezza dai 5stelle che, tranne che per non tantissime virtuose eccezioni, temono di scontentare il loro alleato e, quindi di rischiare di dover abbandonare poltrone che prima descrivevano come strumenti del demonio e che ora trovano davvero comode.
 

Ma sono gli altri, quelli che si rendono conto di quello che sta accadendo, che preoccupano perché, per il momento, la loro reazione più diffusa, ma anche più sbagliata è quella di accusare semplicemente di razzismo i razzisti e di complicità i complici, mentre, invece, per tutti noi sarebbe il caso di ricordare uno dei versi più pregnanti scritti da Fabrizio De André e tanto sentito, da essere da lui cantato in due diverse canzoni: «Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti».

Coinvolti perché noi, più anziani, dopo il Sessantotto, credevamo di avere il mondo in mano e comunque, dopo aver ottenuto alcune cose fondamentali sul piano dei diritti individuali e sociali, ci siamo stufati troppo presto di impegnarci, o ci siamo considerati troppo presto soddisfatti. E se qualcuno contesta la tesi delle nostre responsabilità, mi spieghi come sia stato possibile che, senza incontrare troppa resistenza, alcuni siano riusciti a ridurre il mondo – e non soltanto l’Italia – in questo stato.

Sarà noioso ripetere le stesse cose, ma non è possibile non ricordare che chi si limita ad accusare gli altri dimentica che la democrazia rappresentativa si basa su necessarie deleghe a coloro ai quali viene dato il compito di informarsi, ragionare e decidere – cosa assolutamente impossibile nella cosiddetta, vagheggiata e velocissima “democrazia diretta” – ma che si sono delle deleghe non delegabili, come quelle che riguardano la nostra coscienza e la nostra dignità. Sofocle ne era perfettamente conscio quando, un po’ meno di 2.500 anni fa, scrisse l’“Antigone” in cui la protagonista preferisce morire piuttosto che obbedire a una legge che riteneva ingiusta e che andava contro quei caposaldi etici e morali che riteneva più profondamente divini e, quindi, più profondamente umani.

Nessuno, ovviamente chiede sacrifici così estremi, ma una ribellione limitata a una testimonianza testarda e incessante a parole, almeno per svelare le menzogne più evidenti e schifose, mi appare doverosa e inevitabile.

L’altra strada, che non mi convince perché si basa proprio su quella mancanza di serietà che sta rovinando sempre più irreparabilmente il mondo, sarebbe quella di rubare a Grillo l’idea di un Vaffa day, da dedicare, però, a Grillo stesso, alla Casaleggio Associati e a buona parte dei suoi adepti, nonché a Salvini e ai suoi complici. Ma sarebbe dare ragione a chi sostiene che l’importante è l’apparenza e non la sostanza, il tornaconto e non la giustizia, lo spot e non il ragionamento. Finiamola di copiare gli altri e tentiamo di copiare quello che una volta – ormai tanto tempo fa – eravamo; e che poi non era davvero tanto male.

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venerdì 3 agosto 2018

Cattolicesimo e altri politeismi

E la divaricazione, se possibile, si amplia ulteriormente. Si allarga tanto che si potrebbe essere tentati di pensare che, se davvero tutti quelli che reclamano di essere cattolici lo fossero davvero, allora il cattolicesimo, più che un monoteismo con forti dialettiche interne, potrebbe essere una sorta di politeismo nel quale si pretenderebbe di far coesistere due essenze di Dio molto diverse tra loro; praticamente antitetiche.

Questa volta il vallo si è ancor di più approfondito con la decisione di Papa Francesco di cambiare il Catechismo della Chiesa cattolica per dichiarare sempre «inammissibile» la pena di morte e per sottolineare che la Chiesa cattolica «si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo». Non è cosa da poco, sia perché non stiamo parlando di quel catechismo che viene insegnato ai bambini, bensì di un volume di oltre 900 pagine nel quale è contenuta, in una grande sintesi, l’esposizione ufficiale di tutta la dottrina della Chiesa, sia in quanto questa scelta cambia profondamente un importante parametro etico e spirituale, riportandolo alle origini e ripulendolo da secolari incrostazioni utili ai vari poteri temporali succedutisi nei secoli.

Nel testo del nuovo paragrafo 2267, un rescritto del cardinale Luis Ladaria, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, si legge che «per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune». Oggi, però «è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi». Inoltre, «si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato» e «sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi». «Pertanto – stabilisce quindi la nuova versione del Catechismo, citando un discorso di papa Francesco dello scorso anno – la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che “la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona”, e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo».

Cioè, mentre la Chiesa stabilisce che in nessun modo può essere accettabile la soppressione di una vita da parte di uno Stato, Matteo Salvini, ministro alla Paura, ribadisce che la pena di morte deve poter essere comminata, senza un giudizio preventivo da parte di una corte di giustizia, da chi trova un ladro in casa e può sparare senza poi dover giustificare il suo gesto ed evitando, così, anche un giudizio successivo sulle sue azioni. È una tesi che Salvini difende a spada tratta anche per rispettare un “patto d’onore” (è incredibile come talvolta la parola “onore” possa puzzare di putrido marciume) stretto da lui con i fabbricanti di armi.

Eppure Salvini è quello stesso personaggio che in campagna elettorale giura sul Vangelo e sul rosario, senza aver, come sottolinea la Conferenza episcopale italiana, mai letto attentamente il primo, e forse chiedendosi anche a cosa mai potrebbe servire quella cinquantina abbondante di grani tenuti insieme da una cordicella. Ma sapendo bene che sono simboli molto amati e rispettati in quella che in Italia, dai tempi della DC in poi, è sempre stata una potente riserva di voti.

Sul tema dei migranti Famiglia Cristiana e L’Avvenire hanno già abbondantemente sottolineato le profonde differenze esistenti tra il Dio di Papa Francesco, amorevole e accogliente, e quello di Salvini, trucido e respingente. Ma le differenze tra la Chiesa di Papa Francesco e quella che era la Chiesa del Dio Po non si fermano qui e, anzi, sono destinate ad aumentare di numero e importanza. Non perché il Vaticano abbia interesse a mutare una dottrina che trova tutti i suoi fondamenti in quattro libri – i Vangeli – scritti poco meno di due millenni or sono, ma in quanto, invece, Salvini e compagnia hanno tutto l’interesse, come spesso è accaduto nella storia, di tenere in piedi lo schermo della spiritualità per lavorare su quello che più loro preme, e cioè la politica, o, meglio, il potere.

Viktor Orbán, premier ungherese, preso a esempio e modello da Salvini, ha già tracciato la sua strada, che riecheggia di spaventevoli echi del passato, vagheggiando una sua nuova Europa, ovviamente da lui diretta, che dovrà reggersi su alcuni pilastri dei quali il primo è «il diritto di proteggere la cultura cristiana rigettando il multiculturalismo», con un esplicito attacco a quell’ecumenismo che la Chiesa cattolica ricerca, come bene assoluto, da molto tempo: almeno - anche se più d’uno fa finta di dimenticarsene - dagli anni di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II.

Per anni abbiamo sentito contrapporre la “Chiesa profetica” alla “Chiesa burocratica”, l’aspirazione al bene comune a quello di qualche comunità soltanto, la sostanza all’apparenza, ma oggi si sta concretizzando un’escalation negativa alla quale è necessario opporsi. E i primi a farlo sono proprio i cattolici socialmente più sensibili, come quelli della Comunità di San’Egidio, che fanno riferimento più a Papa Francesco che a Matteo Salvini: è loro il progetto, che dovrebbe decollare a settembre, di creare Democrazia Solidale, un’iniziativa politica che non fa questione di fede, né, tantomeno, di religione. Ma che punta al riconoscimento di quei principi etici che sono, sì, nei Vangeli, ma che, contemporaneamente, sono anche patrimonio dei laici più incalliti, se convinti di voler portare avanti quei valori morali ed etici che finora hanno permesso il miglioramento del mondo.

Ed è proprio in quest’ottica di miglioramento sociale che il pensiero del politeismo mal si adatta al concetto di un cattolicesimo nel quale un Dio diverso da quello amorevole - come disse Jean-Jacques Rousseau, uno certamente non accusabile di fideismo - non potrebbe esistere perché «di tutti gli attributi di una divinità onnipotente, la bontà è quello senza il quale non la si potrebbe neppure concepire». Ben si attaglia, invece, al credo di Salvini - al quale oggi si adattano Grillo e, quindi Di Maio - in cui al dio del potere e del denaro si affiancano, almeno, quelli dell’odio, della paura, della discriminazione, dell’insensibilità ostentata, dell’incapacità di com-patimento nel senso etimologico del termine.

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