martedì 31 luglio 2018

Se questo è un uomo

La quasi totalità della critica, nell’analizzare il libro d’esordio e più conosciuto di Primo Levi, “Se questo è un uomo”, sottolinea che l’autore l’ha scritto non per muovere accuse ai colpevoli, ma come testimonianza di un avvenimento storico e tragico; e lo stesso Levi disse che l’idea era nata «fin dai giorni del lager per il bisogno irrinunciabile di raccontare agli altri, di fare gli altri partecipi»; senza chiedere compassione, ma consapevolezza e vigilanza morale. In tutto il testo il tono dell’autore si mantiene inflessibilmente mite, senza giudicare e senza odiare, ma anche senza essere disposto a perdonare gli aguzzini. E questa mancanza di livore esplicito, di morbosità ribollente moltiplica l’efficacia con cui viene descritta una realtà indescrivibile: «Per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo».
 
A fare eccezione in questa specie di implacabile bisogno di testimonianza, più che di giudizio – perché c’è la consapevolezza che il giudizio non potrà non uscire, inequivocabile, dai fatti – c’è la poesia che apre il libro e che gli dà il titolo. Tutti concordano sul fatto che il “Se questo è un uomo” vada riferito a colui al quale viene sottratta l’umanità nei Lager come quello di Monowitz, campo satellite del complesso di Auschwitz, in cui Levi è stato imprigionato. Nel corpo centrale, infatti, Levi pone i versi: «Considerate se questo è un uomo / Che lavora nel fango / Che non conosce pace / Che lotta per un pezzo di pane / Che muore per un sì o per un no. / Considerate se questa è una donna, / Senza capelli e senza nome / Senza più forza di ricordare / Vuoti gli occhi e freddo il grembo / Come una rana d’inverno».

A me, invece, è rimasta sempre la certezza che, visto anche che la struttura della poesia è modellata come una preghiera della religione ebraica e che rappresenta un vero e proprio scoppio d’ira biblica con tanto di terribile maledizione finale, il vero dubbio sulla reale umanità riguardi non i vessati, ma alcuni di coloro che sono elencati nei primi versi («Voi che vivete sicuri / Nelle vostre tiepide case, / voi che trovate tornando a sera / Il cibo caldo e visi amici:») e maledetti negli ultimi («Meditate che questo è stato: / Vi comando queste parole. / Scolpitele nel vostro cuore / Stando in casa andando per via, / Coricandovi alzandovi; / Ripetetele ai vostri figli. / O vi si sfaccia la casa, / La malattia vi impedisca, / I vostri nati torcano il viso da voi»). E quel “voi” iniziale non lascia dubbi che a essere chiamati in causa non siano soltanto gli aguzzini, bensì tutti gli esseri umani e la loro coscienza.

Alla luce di questo è ben difficile considerare umani tutti coloro che ancora oggi nutrono sentimenti di razzismo, di xenofobia, di aliofobia. E ancora più difficile è considerare umano chi queste immonde scorie di pensiero depravato esalta, accusando ingiustamente i deboli, incitando inqualificabilmente i violenti, vellicando viscidamente i già predisposti alla prevaricazione, lasciando intendere a fascisti, nazisti, razzisti in genere che forse non hanno diritto per legge di ammazzare e di usare violenza, ma che il modo di guardare a loro non è più così severo com’era una volta.

Il riferimento al ministro degli Interni (piacerebbe poter dire “sedicente”, ma purtroppo è proprio così) Matteo Salvini è esplicito e non potrebbe essere altrimenti, visto che continua nella sua immonda attività contro chi non può difendersi, ottenendo anche che una nave, invece di accettare che le richieste d’asilo che 108 naufraghi recuperati possano essere presentate, obbedisce ai suoi ordini e li riporta in uno dei porti libici che esplicitamente pochi giorni fa l’Unione Europea ha dichiarato «non sicuri». E di scarsa soddisfazione può essere il fatto che quasi sicuramente l’Italia, Salvini e il capitano di quella nave finiranno sotto giudizio in una corte internazionale. Che poi Trump lodi Conte per le politiche antimigratorie dell’Italia, non può che ribadire la ghignante indecenza di Trump e la sorridente pochezza di Conte.

Vorrei fare un’altra citazione di Levi: «A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che “ogni straniero è nemico”. Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager».

Pensateci. E pensate anche che la democrazia rappresentativa vive di deleghe da parte degli elettori agli eletti, ma che tra queste deleghe non compare quella di conferire ad altri la nostra coscienza e la nostra dignità. Non per nulla i tedeschi, che della soppressione dell’umanità altrui portano incancellabili marchi a fuoco nella coscienza collettiva, hanno voluto inserire nella Grundgesetz, la Legge Fondamentale della Germania il “diritto di resistenza” esplicitato nell’articolo 20 che recita: «Tutti i tedeschi hanno diritto di resistenza contro chiunque si appresti a sopprimere l’ordinamento vigente, se non sia possibile alcun altro rimedio». E appare evidente che chiunque comprenda l’enorme valore del “diritto di resistenza”, finisce inevitabilmente per farne tesoro tanto da elaborarlo in “dovere di resistenza” in ogni giornata della propria vita.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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