È difficile
credere che praticamente nessuno, tranne Salvini, si renda conto che il
2019 potrebbe diventare un momento di forte discontinuità nella storia
dell’Europa, un vero spartiacque tra il progresso e il regresso. Tra
meno di un anno, infatti, saranno celebrate le nuove elezioni europee e
una vittoria dei sovranisti e delle destre xenofobe potrebbe innescare
una serie di tensioni e reazioni tali da distruggere il castello della
stessa Unione Europea, da far ricostituire le frontiere nazionali e da
far cancellare la moneta unica. Sarebbe il pericolo maggiore: più una
catastrofe, insomma, che un regresso.
Vi sembra un eccessivo e
ingiustificato pessimismo? Non è così: pensate soltanto a quanti leader
politici, al di là di Salvini e Orban, stanno vagheggiando la nascita di
una specie di “Internazionale del nazionalismo”, idea che potrebbe
sembrare uno dei tanti ossimori intrinsecamente senza senso, ma che,
invece, possiede una dose di pericolosità di cui temo si sia persa la
coscienza di quanto dovrebbe metterci paura, perché quando i
nazionalismi e le frontiere rinascono, quando le etnie e le religioni
tornano a essere determinanti nelle scelte sociali, ci si avvicina
sempre e inevitabilmente a soprusi e a conflitti che, visto che troppi
pensano di possedere ogni verità, diventa difficilissimo comporre prima
che possano trasformarsi in veri e propri scontri di forza.
E se dal punto di vista politico i
pericoli sono consistenti, da quello economico una dissoluzione della
moneta unica sarebbe una catastrofe per i cittadini delle nazioni
finanziariamente più esposte: il ritorno alle monete nazionali, infatti,
preluderebbe a inevitabili – o, meglio, volute – svalutazioni intese a
far aumentare l’export, ma destinate a mordere pesantemente e almeno
temporaneamente il potere d’acquisto degli stipendi, ma ancor più
pesantemente e definitivamente le pensioni, finendo non per
riequilibrare situazioni di pesantissima diseguaglianza, ma per renderle
ancora più profondamente inique.
Davanti a un Salvini che sta
maramaldeggiando e, con l’aiuto dei suoi luogotenenti sui territori, sta
cercando di capitalizzare paure reali, ma soprattutto indotte, come
dall’assurda scelta di far scortare i medici dagli alpini in congedo,
nessuno sembra pensare che i sondaggi di oggi tra meno di un anno
potrebbero diventare voti e che, visto il sistema puramente
proporzionale, il risultato potrebbe dare alla Lega un buon numero di
seggi da portare in dote al gruppo di populisti e nazionalisti
antieuropei.
I 5stelle sono troppo impegnati a
difendere le loro poltrone per azzardarsi a contraddire il capo degli ex
secessionisti del Nord, tanto che Di Maio, molto affezionato al suo
ruolo di vicepresidente del Consiglio, rimbrotta senza esitazioni il
presidente della Camera, Fico, suo compagno di partito, che condanna
l’idea di chiudere i porti ed esalta l’opera delle Ong che si adoperano
per salvare la vita dei migranti nel Mediterraneo.
Berlusconi è molto preoccupato
soprattutto dal fatto che il suo ex alleato di minoranza, ora che ha
davvero il potere in mano, finisca per danneggiare i suoi affari
televisivi, e, quindi, sta ben attento a non contraddirlo; cosa che fa
anche la Meloni, un po’ perché condivide i trucidi principi salviniani,
un po’ perché capisce che, senza quell’alleanza, il suo partito
rischierebbe di sparire dalle attribuzioni di seggi.
Intanto la sinistra, tra ambizioni
individuali e di gruppetto, continua a non trovare il bandolo di una
matassa che dovrebbe portare almeno a un’unità di intenti, se non a
un’identità di idee. Si ostina a parlare di unità insistendo «sulle
tante cose che ci uniscono» e trascurando completamente di parlare di
«quelle poche che ci dividono», che numericamente saranno anche di meno,
ma che sono quelle che da sempre finiscono per lacerare rapporti già
logori in partenza.
Dal canto suo, il PD non smette di
vivere in un suo mondo che sembra non avere più alcun addentellato con
quello reale. Mentre Salvini avanza con la decisione di un carro armato,
invadendo in continuazione anche campi che non sono suoi, il PD
continua a interrogarsi senza la minima fretta su tra quanti mesi
fissare il congresso, a discutere di possibili futuri candidati al ruolo
di segretario, ma a evitare testardamente di individuare gli errori che
hanno causato il disastro e anche a tracciare programmi futuri, a
tentar di far vedere agli elettori quali sono le sue proposte sociali
per riparare alle tensioni e diseguaglianze che stanno affondando la
nostra società e il nostro Paese.
E la responsabilità del PD è di
molto superiore a quella degli altri perché è l’unico partito
dichiaratamente di centrosinistra che possa sperare di riconquistare in
tempi accettabili una massa gravitazionale capace di attrarre i tanti
satelliti che una volta gli giravano attorno puntando a influire sulle
sue decisioni e che oggi lo hanno abbandonato quasi dappertutto al suo
destino. È ovvio che mi sto riferendo al vero PD, non a quell’entità che
di quel partito ha mantenuto il nome, ma ha stravolto completamente la
sostanza.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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