Con la consueta
lucidità Umberto Galimberti, nell’ultimo numero della sua rubrica su D
la Repubblica, sotto il titolo “Il terribile è già accaduto”,
agganciandosi agli infiniti massacri siriani, afferma: «Quello che
succede in Siria è terribile, ma ancora più terribile è l’indifferenza
che ci avvolge e ci rende insensibili quando si è già paralizzata la
nostra immaginazione, la nostra percezione e il nostro sentimento». E
poi specifica che noi vediamo immagini di distruzioni, ma non percepiamo
più quello che dietro quelle immagini si agita: fame, sete, dolore; e
così «s’inceppa anche il nostro sentimento» perché «è fuori misura
rispetto al nostro quieto modo di vivere, dove non manca chi agita i
fantasmi di un’insicurezza che in nessun modo è possibile paragonare
alle condizioni di chi vive sotto le bombe». E, ancora: «il nostro
sentimento di reazione si arresta alla soglia di una certa grandezza e,
ridotti a un totale analfabetismo emotivo, continuiamo la nostra vita a
colpi di rimozione», concludendo che «Questa amputazione che ci rende
insensibili alle sorti dei nostri simili, è peggiore persino di quello
che sta accadendo in Siria, o in qualunque altro teatro di guerra».
Ineccepibile; ma credo che, oltre
alla tranquillità data dalla rimozione, a spingerci verso un generale
rifiuto dell’orrore sia anche una specie di autoconsolazione: quando
vediamo i “cattivi” per noi è più facile sentirci “buoni” e, una volta
autocollocatici nella casella che più ci soddisfa, la rimozione diventa
ancora più facile.
Il fatto è che per innestare questi
meccanismi e trovare i “cattivi” non occorre andare in Siria e neppure
ai confini tra Israele e la striscia di Gaza dove un militare israeliano
può sparare da lontano e uccidere un’infermiera palestinese ventunenne
mentre sta soccorrendo un ferito, senza neppure subire un rimprovero:
basta stare qui da noi.
Continua a essere vero che non ci
può essere paragone tra il vivere sotto le bombe e le nostre
insicurezze, ma, proprio per questo, a maggior ragione, sono
ingiustificabili certi atteggiamenti come quello del nuovo ministro
degli Interni, Matteo Salvini che, forse spinto dal fatto che è ancora
in campagna elettorale visto che tra poco ci saranno nuove elezioni
amministrative, distribuisce frasi orrende sul tipo: «Nessun
vicescafista deve attraccare nei porti italiani» che, tradotto,
significa che le navi delle Ong che soccorrono i migranti naufraghi nel
Mediterraneo è meglio che se ne stiano a casa perché quelli che
riusciranno a salvare non saranno accettati più nemmeno in Italia. E,
visto il comportamento delle altre nazioni costiere, ai migranti
resterebbe solo la scelta tra il morire in mare e l’essere restituiti
agli aguzzini libici; soluzione che probabilmente – checché ne dica
Minniti – tanto meglio non è.
Noi oggi possiamo guardare Salvini e
ripetere che è un barbaro, sia perché tratta da “vicescafisti” donne e
uomini che si sacrificano per salvare più vite possibili, sia in quanto,
da uomo politico che ostenta di giurare sul Vangelo e sul rosario,
continua a ignorare che la parola “prossimo” per il cattolicesimo non
significa “vicino”, ma semplicemente “essere umano”. Avremmo ragione, ma
la rimozione e l’autoconsolazione ci impedirebbe di vedere una realtà
più sconvolgente e anche più importante: che barbari siamo anche noi,
intesi come italiani, che abbiamo consentito che si arrivasse a questa
situazione.
Alcuni alzeranno i sopraccigli,
offesi da questa mia affermazione in quanto sono convinti di avere fatto
il possibile perché questo non si verificasse. Ma sono la minoranza e
con loro mi scuso. E non parlo nemmeno di quelli che hanno votato Lega
convinti di far bene e che sia giusto lo slogan “Prima gli italiani”;
con loro è inutile farlo. Mi rivolgo, invece, a quelli che hanno deciso
di votare per il nuovo governo perché non hanno previsto che si potesse
verificare un’alleanza di cui si parlava da almeno un anno, nonostante
le indignate smentite di Grillo, Di Maio Di Battista, Salvini eccetera; a
coloro che hanno votato pensando a promesse che andavano a solleticare
soltanto i propri interessi personali, soprattutto economici, e non
quelli dell’intera comunità, o a evitare i propri fastidi; ai tantissimi
– troppi – che non hanno visto nessuno dotato di adamantina coincidenza
con i loro ideali e si sono sentiti troppo nobili per abbassarsi ad
andare votare per il meno peggio; ai non pochi che hanno svilito e
confuso tanto la politica da farla sentire lontanissima a un numero
enorme di persone. Sono anche questi i barbari che hanno consentito a un
barbaro di provare a trascinare nel fango, oltre che a svariate decine
di anni indietro nel tempo, la nostra civiltà che era cresciuta anche e
soprattutto basandosi sulla solidarietà generale.
E adesso? Adesso pochi si pentono,
mentre la maggior parte degli altri è impegnata nell’individuare gli
errori che ci hanno portati a questo disastro. Errori, ovviamente, che
si trovano sempre negli altri e mai in se stessi.
Un suggerimento? Proviamo a usare di
nuovo le parole con il loro significato, magari dicendo davvero quello
che pensiamo e mandando a quel paese quella falsa e melliflua diplomazia
che non fa mai avvicinare davvero due parti in disaccordo, ma le fa
soltanto convenire sul fatto che è giusto mentire esclusivamente a scopo
di propaganda.
Per
esempio recuperiamo il senso di parole ormai svuotate di significato,
oppure non usiamole più. Pensiamo a "unità", antica chimera della
sinistra: una volta, giustamente, significava mediazione tra le varie
idee fino allo sfinimento; oggi è diventata adeguamento obbligatorio
alle idee non di chi dirige, ma di chi comanda. Dimenticando
clamorosamente che uno dei grandi pregi della democrazia sta nel fatto
che non è detto che chi ha la maggioranza abbia contemporaneamente anche
ragione.
Già questo dovrebbe bastare per
cancellare ogni desiderio di rimozione e di autoconsolazione e per
mettersi a lavorare con l'unico obbiettivo di risalire la china; ma, per
sicurezza, sarebbe anche utile non dimenticare mai una frase cantata da
Fabrizio De Andrè nella “Canzone di maggio” e poi ripetuta in “Nella
mia ora di libertà”: «Per quanto voi vi crediate assolti, siete per
sempre coinvolti».
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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