lunedì 4 giugno 2018

Per sempre coinvolti

Con la consueta lucidità Umberto Galimberti, nell’ultimo numero della sua rubrica su D la Repubblica, sotto il titolo “Il terribile è già accaduto”, agganciandosi agli infiniti massacri siriani, afferma: «Quello che succede in Siria è terribile, ma ancora più terribile è l’indifferenza che ci avvolge e ci rende insensibili quando si è già paralizzata la nostra immaginazione, la nostra percezione e il nostro sentimento». E poi specifica che noi vediamo immagini di distruzioni, ma non percepiamo più quello che dietro quelle immagini si agita: fame, sete, dolore; e così «s’inceppa anche il nostro sentimento» perché «è fuori misura rispetto al nostro quieto modo di vivere, dove non manca chi agita i fantasmi di un’insicurezza che in nessun modo è possibile paragonare alle condizioni di chi vive sotto le bombe». E, ancora: «il nostro sentimento di reazione si arresta alla soglia di una certa grandezza e, ridotti a un totale analfabetismo emotivo, continuiamo la nostra vita a colpi di rimozione», concludendo che «Questa amputazione che ci rende insensibili alle sorti dei nostri simili, è peggiore persino di quello che sta accadendo in Siria, o in qualunque altro teatro di guerra».
Ineccepibile; ma credo che, oltre alla tranquillità data dalla rimozione, a spingerci verso un generale rifiuto dell’orrore sia anche una specie di autoconsolazione: quando vediamo i “cattivi” per noi è più facile sentirci “buoni” e, una volta autocollocatici nella casella che più ci soddisfa, la rimozione diventa ancora più facile.

Il fatto è che per innestare questi meccanismi e trovare i “cattivi” non occorre andare in Siria e neppure ai confini tra Israele e la striscia di Gaza dove un militare israeliano può sparare da lontano e uccidere un’infermiera palestinese ventunenne mentre sta soccorrendo un ferito, senza neppure subire un rimprovero: basta stare qui da noi.

Continua a essere vero che non ci può essere paragone tra il vivere sotto le bombe e le nostre insicurezze, ma, proprio per questo, a maggior ragione, sono ingiustificabili certi atteggiamenti come quello del nuovo ministro degli Interni, Matteo Salvini che, forse spinto dal fatto che è ancora in campagna elettorale visto che tra poco ci saranno nuove elezioni amministrative, distribuisce frasi orrende sul tipo: «Nessun vicescafista deve attraccare nei porti italiani» che, tradotto, significa che le navi delle Ong che soccorrono i migranti naufraghi nel Mediterraneo è meglio che se ne stiano a casa perché quelli che riusciranno a salvare non saranno accettati più nemmeno in Italia. E, visto il comportamento delle altre nazioni costiere, ai migranti resterebbe solo la scelta tra il morire in mare e l’essere restituiti agli aguzzini libici; soluzione che probabilmente – checché ne dica Minniti – tanto meglio non è.

Noi oggi possiamo guardare Salvini e ripetere che è un barbaro, sia perché tratta da “vicescafisti” donne e uomini che si sacrificano per salvare più vite possibili, sia in quanto, da uomo politico che ostenta di giurare sul Vangelo e sul rosario, continua a ignorare che la parola “prossimo” per il cattolicesimo non significa “vicino”, ma semplicemente “essere umano”. Avremmo ragione, ma la rimozione e l’autoconsolazione ci impedirebbe di vedere una realtà più sconvolgente e anche più importante: che barbari siamo anche noi, intesi come italiani, che abbiamo consentito che si arrivasse a questa situazione.

Alcuni alzeranno i sopraccigli, offesi da questa mia affermazione in quanto sono convinti di avere fatto il possibile perché questo non si verificasse. Ma sono la minoranza e con loro mi scuso. E non parlo nemmeno di quelli che hanno votato Lega convinti di far bene e che sia giusto lo slogan “Prima gli italiani”; con loro è inutile farlo. Mi rivolgo, invece, a quelli che hanno deciso di votare per il nuovo governo perché non hanno previsto che si potesse verificare un’alleanza di cui si parlava da almeno un anno, nonostante le indignate smentite di Grillo, Di Maio Di Battista, Salvini eccetera; a coloro che hanno votato pensando a promesse che andavano a solleticare soltanto i propri interessi personali, soprattutto economici, e non quelli dell’intera comunità, o a evitare i propri fastidi; ai tantissimi – troppi – che non hanno visto nessuno dotato di adamantina coincidenza con i loro ideali e si sono sentiti troppo nobili per abbassarsi ad andare votare per il meno peggio; ai non pochi che hanno svilito e confuso tanto la politica da farla sentire lontanissima a un numero enorme di persone. Sono anche questi i barbari che hanno consentito a un barbaro di provare a trascinare nel fango, oltre che a svariate decine di anni indietro nel tempo, la nostra civiltà che era cresciuta anche e soprattutto basandosi sulla solidarietà generale.

E adesso? Adesso pochi si pentono, mentre la maggior parte degli altri è impegnata nell’individuare gli errori che ci hanno portati a questo disastro. Errori, ovviamente, che si trovano sempre negli altri e mai in se stessi.

Un suggerimento? Proviamo a usare di nuovo le parole con il loro significato, magari dicendo davvero quello che pensiamo e mandando a quel paese quella falsa e melliflua diplomazia che non fa mai avvicinare davvero due parti in disaccordo, ma le fa soltanto convenire sul fatto che è giusto mentire esclusivamente a scopo di propaganda.

Per esempio recuperiamo il senso di parole ormai svuotate di significato, oppure non usiamole più. Pensiamo a "unità", antica chimera della sinistra: una volta, giustamente, significava mediazione tra le varie idee fino allo sfinimento; oggi è diventata adeguamento obbligatorio alle idee non di chi dirige, ma di chi comanda. Dimenticando clamorosamente che uno dei grandi pregi della democrazia sta nel fatto che non è detto che chi ha la maggioranza abbia contemporaneamente anche ragione.

Già questo dovrebbe bastare per cancellare ogni desiderio di rimozione e di autoconsolazione e per mettersi a lavorare con l'unico obbiettivo di risalire la china; ma, per sicurezza, sarebbe anche utile non dimenticare mai una frase cantata da Fabrizio De Andrè nella “Canzone di maggio” e poi ripetuta in “Nella mia ora di libertà”: «Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti».

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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