mercoledì 30 maggio 2018

Vicini e lontani

Mentre a livello nazionale tutto ribolle, sul piano regionale e comunale tutto è già chiaro e cristallizzato per cinque anni. A Roma ci sono pochissime certezze che riguardano Quirinale, 5stelle, Lega e PD.

Il presidente della Repubblica, per esempio, ha ben presente che un suo cedimento nella vicenda dei ministri non avrebbe avuto soltanto un significato politico opposto a quello che gli è stato dato, ma che sarebbe stato un ulteriore smottamento istituzionale che avrebbe potuto essere determinante per condurre a quella frana costituzionale desiderata da più d’uno e segnatamente da coloro che ragionano soltanto in termini di comodo a seconda delle contingenze del momento, senza neppure pensare che i contrappesi costituzionali potrebbero essere utili, o meglio necessari, anche a loro in situazioni contingenti diverse, se non diametralmente opposte.


I grillini, ma soprattutto Di Maio, non possono nemmeno pensare di non andare al governo questa volta in quanto sanno – e i sondaggi glielo stanno ricordando impietosamente – che la fase calante è già cominciata. Quindi, per arrivare a palazzo Chigi, sia pur in coabitazione, sono disposti a qualsiasi giravolta, come passare in poche ore, con splendida faccia di bronzo, dallo strillare all’impeachment, all’offrire collaborazione a Mattarella, pur di non veder sfumare il sogno.

La Lega si tiene in splendido quasi assoluto silenzio, non per sopraffina abilità politica, ma per placida sicurezza che se il governo arriva in porto, sbarca a palazzo Chigi; altrimenti i sondaggi la danno straripante in elezioni a tempi brevissimi.

Il PD, invece, continua ad andare verso la dissoluzione. Messa la sordina a divisioni interne che continuano a ribollire sotterranee, anche se poi fanno capolino ogniqualvolta Renzi parla ricordando che è «un semplice senatore», o «un mediano», ma che comunque si deve fare quello che dice lui, l’incertezza interna si manifesta anche con scelte francamente incomprensibili. Sollecitare per primi nuove elezioni in tempi brevissimi, per esempio, sembra dimostrare che quei dirigenti non hanno minimamente capito che se il partito non cambia – e non sta cambiando – la china che ha portato alla perdita di oltre cinque milioni di voti, rischia di assumere una pendenza ancora più vertiginosa. Oppure dichiarare di astenersi nel voto di fiducia a un possibile governo Cottarelli significa ancora una volta non saper scegliere, oppure privilegiare i bizantini equilibri di potere interni rispetto a una chiarezza di indirizzo che tanti vorrebbero: l’attuale PD non è né con Mattarella, né con chi l’accusa, come, del resto, dall’arrivo di Renzi alla segreteria, non è più né di destra, né di sinistra. E anche su una posizione di centro ci sarebbe qualcosa da ridire.

Lascio perdere, per carità di patria, la sinistra che continua a dividersi – e la vicenda Mattarella è il più recente, clamoroso esempio – tra inflessibile purezza e ragionata contaminazione, tra desiderio di unirsi e voglia di dividersi, con l’unica costante di una clamorosa assenza dalla scena. Sembra un sistema gravitazionale in cui la coesistenza di forze centripete e centrifughe non permettano alcun, seppur temporaneo, o addirittura momentaneo, equilibrio.

E veniamo alle nostre certezze. Per cinque anni, salvo inipotizzabili sorprese, Fedriga dominerà la Regione e Fontanini farà lo stesso a Udine. Balza subito in primo piano, insomma, la necessità di capire come fare opposizione. Può bastare il «Non faremo sconti» in consiglio? Credo di no, perché non ricordo alcuna opposizione che sia stata tenera a parole con la maggioranza; eppure i risultati delle elezioni successive non sono praticamente mai dipesi dalla lettura delle cronache consiliari. Molto più determinante, invece, può essere l’esplicitazione pubblica dei proprio dissenso, o, ancor meglio, l’impegno pratico a far sì che i progetti della maggioranza non si concretizzino.

Prendiamo l’esempio di Udine dove, per il momento, il massimo impegno del nuovo sindaco sembra essere quello di riservare parcheggi per sé e per i consiglieri vicino al municipio. Sicuramente utile è stata la manifestazione pubblica contro la scelta di Fontanini di inserire in giunta un elemento dichiaratamente nostalgico del fascismo; e che quel posto non sia andato direttamente a Salmé, ma alla sua compagna di vita ha messo in mostra soltanto un’ottima dose di ipocrisia.

Molto più importante, invece, mi appare una battaglia da cominciare subito in difesa di vicino/lontano evento culturale giunto al 14.mo anno di vita e che Fontanini ha detto che «va ripensato» come «Friuli doc». Già l’avvicinare questi due avvenimenti, lontanissimi tra loro, la dice lunga sulla sensibilità del nuovo sindaco. Ma bisognerebbe che la minoranza – ma anche la popolazione – ricordasse un po’ di cose al sindaco. Intanto per “ripensare”, bisogna aver prima aver “pensato” e questo non si attaglia proprio a vicino/lontano che in realtà è stato ideato da persone che con Fontanini non avevano contatti neppure casuali. Poi, visto che l’idea non appartiene né al sindaco, né al Comune di Udine, affermare di volerlo “ripensare” significa soltanto che a questa frase sottende una minaccia neanche tanto velata: “O accettate di cambiare, oppure il Comune non vi concederà più gli ormai tradizionali spazi, né vi darà più alcun aiuto”.

La cosa non dovrebbe stupire visto che il centrodestra ha sempre agito così nei confronti della cultura. Nella Destra Tagliamento, visto che Pordenonelegge era ormai lanciatissimo e praticamente autonomo, per ipotizzare un contenitore culturale di destra è stato creato Pordenonepensa, che si trascina da qualche anno trovando momenti di vivacità soltanto nei dibattiti tra posizioni sociali e politiche contrapposte. Per impadronirsi del Mittelfest, invece, a suo tempo non è stato rinnovato il contratto di direzione a Moni Ovadia, sperando di trovare un buon palcoscenico di propaganda. Ne è uscita la mortificante gestione Devetag, dapprima come presidente e poi come direttore artistico (?), che ha avvilito il Mittelfest fino a fargli rischiare la sparizione.

Ora la storia sembra potersi ripetere perché ancora non si è capito che la politica, se non c’è, può essere camuffata da propaganda, mentre la cultura, se non c’è, non c’è e basta.

Ecco: a me sembra obbligatorio rendersi conto che in una quinquennale serie di battaglie pubbliche e popolari di opposizione, quella per vicino/lontano mi sembra davvero la prima, e non solo temporalmente, perché è emblematica, ma è anche fondamentale per far capire che ci si può muovere assieme per salvare le cose che meritano di essere salvate in attesa di poterne costruire altre nuove. Difendere la cultura, insomma, anche per essere vicini alla politica e lontani dalla propaganda.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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