Mentre a livello
nazionale tutto ribolle, sul piano regionale e comunale tutto è già
chiaro e cristallizzato per cinque anni. A Roma ci sono pochissime
certezze che riguardano Quirinale, 5stelle, Lega e PD.
Il presidente della Repubblica, per esempio, ha ben presente che un suo
cedimento nella vicenda dei ministri non avrebbe avuto soltanto un
significato politico opposto a quello che gli è stato dato, ma che
sarebbe stato un ulteriore smottamento istituzionale che avrebbe potuto
essere determinante per condurre a quella frana costituzionale
desiderata da più d’uno e segnatamente da coloro che ragionano soltanto
in termini di comodo a seconda delle contingenze del momento, senza
neppure pensare che i contrappesi costituzionali potrebbero essere
utili, o meglio necessari, anche a loro in situazioni contingenti
diverse, se non diametralmente opposte.
I grillini, ma soprattutto Di Maio,
non possono nemmeno pensare di non andare al governo questa volta in
quanto sanno – e i sondaggi glielo stanno ricordando impietosamente –
che la fase calante è già cominciata. Quindi, per arrivare a palazzo
Chigi, sia pur in coabitazione, sono disposti a qualsiasi giravolta,
come passare in poche ore, con splendida faccia di bronzo, dallo
strillare all’impeachment, all’offrire collaborazione a Mattarella, pur
di non veder sfumare il sogno.
La Lega si tiene in splendido quasi
assoluto silenzio, non per sopraffina abilità politica, ma per placida
sicurezza che se il governo arriva in porto, sbarca a palazzo Chigi;
altrimenti i sondaggi la danno straripante in elezioni a tempi
brevissimi.
Il PD, invece, continua ad andare
verso la dissoluzione. Messa la sordina a divisioni interne che
continuano a ribollire sotterranee, anche se poi fanno capolino
ogniqualvolta Renzi parla ricordando che è «un semplice senatore», o «un
mediano», ma che comunque si deve fare quello che dice lui,
l’incertezza interna si manifesta anche con scelte francamente
incomprensibili. Sollecitare per primi nuove elezioni in tempi
brevissimi, per esempio, sembra dimostrare che quei dirigenti non hanno
minimamente capito che se il partito non cambia – e non sta cambiando –
la china che ha portato alla perdita di oltre cinque milioni di voti,
rischia di assumere una pendenza ancora più vertiginosa. Oppure
dichiarare di astenersi nel voto di fiducia a un possibile governo
Cottarelli significa ancora una volta non saper scegliere, oppure
privilegiare i bizantini equilibri di potere interni rispetto a una
chiarezza di indirizzo che tanti vorrebbero: l’attuale PD non è né con
Mattarella, né con chi l’accusa, come, del resto, dall’arrivo di Renzi
alla segreteria, non è più né di destra, né di sinistra. E anche su una
posizione di centro ci sarebbe qualcosa da ridire.
Lascio perdere, per carità di
patria, la sinistra che continua a dividersi – e la vicenda Mattarella è
il più recente, clamoroso esempio – tra inflessibile purezza e
ragionata contaminazione, tra desiderio di unirsi e voglia di dividersi,
con l’unica costante di una clamorosa assenza dalla scena. Sembra un
sistema gravitazionale in cui la coesistenza di forze centripete e
centrifughe non permettano alcun, seppur temporaneo, o addirittura
momentaneo, equilibrio.
E veniamo alle nostre certezze. Per
cinque anni, salvo inipotizzabili sorprese, Fedriga dominerà la Regione e
Fontanini farà lo stesso a Udine. Balza subito in primo piano, insomma,
la necessità di capire come fare opposizione. Può bastare il «Non
faremo sconti» in consiglio? Credo di no, perché non ricordo alcuna
opposizione che sia stata tenera a parole con la maggioranza; eppure i
risultati delle elezioni successive non sono praticamente mai dipesi
dalla lettura delle cronache consiliari. Molto più determinante, invece,
può essere l’esplicitazione pubblica dei proprio dissenso, o, ancor
meglio, l’impegno pratico a far sì che i progetti della maggioranza non
si concretizzino.
Prendiamo l’esempio di Udine dove,
per il momento, il massimo impegno del nuovo sindaco sembra essere
quello di riservare parcheggi per sé e per i consiglieri vicino al
municipio. Sicuramente utile è stata la manifestazione pubblica contro
la scelta di Fontanini di inserire in giunta un elemento dichiaratamente
nostalgico del fascismo; e che quel posto non sia andato direttamente a
Salmé, ma alla sua compagna di vita ha messo in mostra soltanto
un’ottima dose di ipocrisia.
Molto più importante, invece, mi
appare una battaglia da cominciare subito in difesa di vicino/lontano
evento culturale giunto al 14.mo anno di vita e che Fontanini ha detto
che «va ripensato» come «Friuli doc». Già l’avvicinare questi due
avvenimenti, lontanissimi tra loro, la dice lunga sulla sensibilità del
nuovo sindaco. Ma bisognerebbe che la minoranza – ma anche la
popolazione – ricordasse un po’ di cose al sindaco. Intanto per
“ripensare”, bisogna aver prima aver “pensato” e questo non si attaglia
proprio a vicino/lontano che in realtà è stato ideato da persone che con
Fontanini non avevano contatti neppure casuali. Poi, visto che l’idea
non appartiene né al sindaco, né al Comune di Udine, affermare di
volerlo “ripensare” significa soltanto che a questa frase sottende una
minaccia neanche tanto velata: “O accettate di cambiare, oppure il
Comune non vi concederà più gli ormai tradizionali spazi, né vi darà più
alcun aiuto”.
La cosa non dovrebbe stupire visto
che il centrodestra ha sempre agito così nei confronti della cultura.
Nella Destra Tagliamento, visto che Pordenonelegge era ormai
lanciatissimo e praticamente autonomo, per ipotizzare un contenitore
culturale di destra è stato creato Pordenonepensa, che si trascina da
qualche anno trovando momenti di vivacità soltanto nei dibattiti tra
posizioni sociali e politiche contrapposte. Per impadronirsi del
Mittelfest, invece, a suo tempo non è stato rinnovato il contratto di
direzione a Moni Ovadia, sperando di trovare un buon palcoscenico di
propaganda. Ne è uscita la mortificante gestione Devetag, dapprima come
presidente e poi come direttore artistico (?), che ha avvilito il
Mittelfest fino a fargli rischiare la sparizione.
Ora la storia sembra potersi
ripetere perché ancora non si è capito che la politica, se non c’è, può
essere camuffata da propaganda, mentre la cultura, se non c’è, non c’è e
basta.
Ecco: a me sembra obbligatorio
rendersi conto che in una quinquennale serie di battaglie pubbliche e
popolari di opposizione, quella per vicino/lontano mi sembra davvero la
prima, e non solo temporalmente, perché è emblematica, ma è anche
fondamentale per far capire che ci si può muovere assieme per salvare le
cose che meritano di essere salvate in attesa di poterne costruire
altre nuove. Difendere la cultura, insomma, anche per essere vicini alla
politica e lontani dalla propaganda.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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