lunedì 7 maggio 2018

Le tante democrazie

Nelle nostra costante smania di semplificazione parliamo sempre, in maniera indifferenziata, di “democrazia”, mentre, invece, pur senza entrare troppo nei dettagli, dovremmo riferirci ad almeno quattro democrazie: quella in ingresso, quella in elaborazione, quella in uscita e quella in verifica. E basta che una sola delle quattro non funzioni perché l’intero sistema democratico vada in crisi, o, almeno, in difficoltà. Ma se ad avere problemi sono tutte e quattro queste fasi, allora si può ben dire che la malattia del sistema è davvero grave e può condurre a una vera e propria metastasi che minaccia seriamente di morte quella democrazia che Winston Churchill ha definito «la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora» e, per conquistare la quale tanti hanno sacrificato la propria vita.
 
Passiamo in rassegna queste quattro fasi.

Democrazia in entrata. È quella che riguarda il modo con cui i cittadini scelgono coloro che li rappresentano, o che dovrebbero rappresentarli. Si lega ovviamente ai sistemi elettorali e deve districarsi nella ricerca di un punto di equilibrio tra la rappresentanza e la cosiddetta governabilità. Difficilmente riesce ad accontentare tutti, ma in qualche raro caso e con la presenza di una mente particolarmente devota al caos, come quella di Rosato con i cui effetti stiamo penosamente convivendo, può riuscire a negare sia rappresentanza, sia governabilità. Inoltre la crisi può essere aggravata dall’eliminazione delle preferenze e, quindi della possibilità di scegliere davvero i propri rappresentanti, perché i capi dei partiti preferiscono non correre rischi e mandare in Parlamento donne e uomini di sicura fedeltà, più che di certa capacità. Dicono che le preferenze sono state tolte per evitare voti di scambio tra i candidati. A parte il fatto che con la preferenza unica questo già non poteva succedere, ma sarebbe stato come se una volta avessero tolto tutti bancomat perché talvolta li facevano saltare. È stato logico, invece, difendersi meglio dai delinquenti.

Democrazia in elaborazione. Di questa, purtroppo, ormai dovrei parlare soltanto al passato perché attiene all'attività del Parlamento come costruttore di leggi, e in questo campo quasi tutti i disastri sono già stati combinati: ha cominciato Berlusconi, ma la demolizione della funzione parlamentare è stata eseguita con ben più grande efficacia da Renzi che ha abusato di decreti d'urgenza e di voti di fiducia. Inutile cercare paragoni esplicativi perché l'operato di Renzi ha sfiorato la perfezione distruttiva sia con il comportamento del suo governo, sia con il tentativo fortunatamente fallito, di stravolgere la nostra Costituzione.

Democrazia in uscita. Potrebbe essere definita come l'aderenza tra le leggi approvate e le reali necessità dei cittadini e non serve trovare paragoni di fantasia visto che la realtà ci ha fornito esempi in abbondanza: dal Jobs Act che ha risolto alcuni problemi imprenditoriali creandone molti di più ai lavoratori che hanno l'unica apparente soddisfazione di uscire dall'elenco dei disoccupati se lavorano per un paio di giorni al mese, alla Buona scuola che, tagliando, tagliando, riesce a scontentare docenti e discenti; dagli interventi per le banche, che salvano gli istituti di credito truffatori, ma non i risparmiatori truffati, al mondo della sanità nel quale tutti gli interventi sembrano spingere gli ammalati dalle strutture pubbliche a quelle private; e l'elenco potrebbe proseguire.

Democrazia di controllo. È quella teorica possibilità di giudizio da parte degli elettori sul comportamento degli eletti che, se non si sono comportati bene dovrebbero non essere rieletti. Ma, visto che la scelta delle liste non appartiene all'elettorato, ma soltanto ai piaceri delle segreterie dei partiti, anche la possibilità di controllo non esce dal novero delle possibilità che non riescono a diventare realtà. E questa desolante constatazione si attaglia anche a chi non vuole chiamarsi partito, ma movimento, perché intanto la scelta viene affidata a sondaggi telematici che sono nelle mani di un'azienda privata, la Casaleggio Associati, che dei 5stelle è non soltanto parte importantissima, però addirittura ideatrice e fondatrice, ma poi si è visto, anche qui in regione, che se il risultato via internet non è di gradimento del cosiddetto "capo politico", questo può tranquillamente cambiarlo decidendo a suo piacimento.

Va sottolineato anche che l'importanza di queste quattro fasi è chiaramente discendente: se il primo livello, insomma, non funziona, ne discende in maniera praticamente automatica che difficilmente reggerebbe il secondo e poi questo accade anche per il terzo e per il quarto. E ne consegue anche che, per far funzionare bene il primo livello, occorre non soltanto operare sui sistemi elettorali, ma anche e soprattutto è necessario che siano gli elettori a essere convinti dei propri doveri, oltre che dei diritti, partecipando al voto e prendendo la scheda in mano informati di cosa sta succedendo e ben coscienti della propria responsabilità.

Per fare un esempio secco e immediato, tutti coloro che al ballottaggio per il Comune di Udine andranno al seggio con l'intenzione di scegliere Fontanini e non Martines, non possono non sapere che Fontanini si è ufficialmente apparentato con Stefano Salmé, segretario nazionale di RSI Fiamma nazionale. E, quindi, devono rendersi conto di chi, votando Fontanini, vorrebbero portare nel centro decisionale del capoluogo del Friuli, città medaglia d'oro della Resistenza. Poi, in democrazia, ognuno può scegliere la strada che preferisce, ma deve anche assumersi la responsabilità delle proprie scelte. E non è che non andando a votare ci si può lavare le mani perché si passerebbe soltanto da esecutori materiali a complici.

Ancora una cosa: perché il sistema democratico funzioni occorre che prima funzionino in maniera democratica alcune realtà come i partiti e altri corpi intermedi che sono stati previsti dalla Costituzione come cinghie di trasmissione capaci di portare le necessità dei cittadini dai posti in cui vivono tutti ai luoghi in cui pochi decidono e devono decidere con conoscenza e coscienza di causa. Ed è evidente che se la democrazia non tornerà nei partiti e nei corpi intermedi, ben difficilmente riuscirà a tornare a vivere nelle quattro fasi della democrazia nostra e altrui.

In definitiva, la conclusione è lapalissiana, però non per questo va sottaciuta, ma anzi va ripetuta insistentemente e ad alta voce: la democrazia senza il demos, senza il popolo, non è altro che una finzione nella quale prosperano proprio coloro che non la amano; non pochi, ma soprattutto i fascisti e i loro fiancheggiatori.

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