Nelle nostra
costante smania di semplificazione parliamo sempre, in maniera
indifferenziata, di “democrazia”, mentre, invece, pur senza entrare
troppo nei dettagli, dovremmo riferirci ad almeno quattro democrazie:
quella in ingresso, quella in elaborazione, quella in uscita e quella in
verifica. E basta che una sola delle quattro non funzioni perché
l’intero sistema democratico vada in crisi, o, almeno, in difficoltà. Ma
se ad avere problemi sono tutte e quattro queste fasi, allora si può
ben dire che la malattia del sistema è davvero grave e può condurre a
una vera e propria metastasi che minaccia seriamente di morte quella
democrazia che Winston Churchill ha definito «la peggior forma di
governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono
sperimentate finora» e, per conquistare la quale tanti hanno sacrificato
la propria vita.
Passiamo in rassegna queste quattro fasi.
Democrazia in entrata. È quella che
riguarda il modo con cui i cittadini scelgono coloro che li
rappresentano, o che dovrebbero rappresentarli. Si lega ovviamente ai
sistemi elettorali e deve districarsi nella ricerca di un punto di
equilibrio tra la rappresentanza e la cosiddetta governabilità.
Difficilmente riesce ad accontentare tutti, ma in qualche raro caso e
con la presenza di una mente particolarmente devota al caos, come quella
di Rosato con i cui effetti stiamo penosamente convivendo, può riuscire
a negare sia rappresentanza, sia governabilità. Inoltre la crisi può
essere aggravata dall’eliminazione delle preferenze e, quindi della
possibilità di scegliere davvero i propri rappresentanti, perché i capi
dei partiti preferiscono non correre rischi e mandare in Parlamento
donne e uomini di sicura fedeltà, più che di certa capacità. Dicono che
le preferenze sono state tolte per evitare voti di scambio tra i
candidati. A parte il fatto che con la preferenza unica questo già non
poteva succedere, ma sarebbe stato come se una volta avessero tolto
tutti bancomat perché talvolta li facevano saltare. È stato logico,
invece, difendersi meglio dai delinquenti.
Democrazia in elaborazione. Di
questa, purtroppo, ormai dovrei parlare soltanto al passato perché
attiene all'attività del Parlamento come costruttore di leggi, e in
questo campo quasi tutti i disastri sono già stati combinati: ha
cominciato Berlusconi, ma la demolizione della funzione parlamentare è
stata eseguita con ben più grande efficacia da Renzi che ha abusato di
decreti d'urgenza e di voti di fiducia. Inutile cercare paragoni
esplicativi perché l'operato di Renzi ha sfiorato la perfezione
distruttiva sia con il comportamento del suo governo, sia con il
tentativo fortunatamente fallito, di stravolgere la nostra Costituzione.
Democrazia in uscita. Potrebbe
essere definita come l'aderenza tra le leggi approvate e le reali
necessità dei cittadini e non serve trovare paragoni di fantasia visto
che la realtà ci ha fornito esempi in abbondanza: dal Jobs Act che ha
risolto alcuni problemi imprenditoriali creandone molti di più ai
lavoratori che hanno l'unica apparente soddisfazione di uscire
dall'elenco dei disoccupati se lavorano per un paio di giorni al mese,
alla Buona scuola che, tagliando, tagliando, riesce a scontentare
docenti e discenti; dagli interventi per le banche, che salvano gli
istituti di credito truffatori, ma non i risparmiatori truffati, al
mondo della sanità nel quale tutti gli interventi sembrano spingere gli
ammalati dalle strutture pubbliche a quelle private; e l'elenco potrebbe
proseguire.
Democrazia di controllo. È quella
teorica possibilità di giudizio da parte degli elettori sul
comportamento degli eletti che, se non si sono comportati bene
dovrebbero non essere rieletti. Ma, visto che la scelta delle liste non
appartiene all'elettorato, ma soltanto ai piaceri delle segreterie dei
partiti, anche la possibilità di controllo non esce dal novero delle
possibilità che non riescono a diventare realtà. E questa desolante
constatazione si attaglia anche a chi non vuole chiamarsi partito, ma
movimento, perché intanto la scelta viene affidata a sondaggi telematici
che sono nelle mani di un'azienda privata, la Casaleggio Associati, che
dei 5stelle è non soltanto parte importantissima, però addirittura
ideatrice e fondatrice, ma poi si è visto, anche qui in regione, che se
il risultato via internet non è di gradimento del cosiddetto "capo
politico", questo può tranquillamente cambiarlo decidendo a suo
piacimento.
Va sottolineato anche che
l'importanza di queste quattro fasi è chiaramente discendente: se il
primo livello, insomma, non funziona, ne discende in maniera
praticamente automatica che difficilmente reggerebbe il secondo e poi
questo accade anche per il terzo e per il quarto. E ne consegue anche
che, per far funzionare bene il primo livello, occorre non soltanto
operare sui sistemi elettorali, ma anche e soprattutto è necessario che
siano gli elettori a essere convinti dei propri doveri, oltre che dei
diritti, partecipando al voto e prendendo la scheda in mano informati di
cosa sta succedendo e ben coscienti della propria responsabilità.
Per fare un esempio secco e
immediato, tutti coloro che al ballottaggio per il Comune di Udine
andranno al seggio con l'intenzione di scegliere Fontanini e non
Martines, non possono non sapere che Fontanini si è ufficialmente
apparentato con Stefano Salmé, segretario nazionale di RSI Fiamma
nazionale. E, quindi, devono rendersi conto di chi, votando Fontanini,
vorrebbero portare nel centro decisionale del capoluogo del Friuli,
città medaglia d'oro della Resistenza. Poi, in democrazia, ognuno può
scegliere la strada che preferisce, ma deve anche assumersi la
responsabilità delle proprie scelte. E non è che non andando a votare ci
si può lavare le mani perché si passerebbe soltanto da esecutori
materiali a complici.
Ancora una cosa: perché il sistema
democratico funzioni occorre che prima funzionino in maniera democratica
alcune realtà come i partiti e altri corpi intermedi che sono stati
previsti dalla Costituzione come cinghie di trasmissione capaci di
portare le necessità dei cittadini dai posti in cui vivono tutti ai
luoghi in cui pochi decidono e devono decidere con conoscenza e
coscienza di causa. Ed è evidente che se la democrazia non tornerà nei
partiti e nei corpi intermedi, ben difficilmente riuscirà a tornare a
vivere nelle quattro fasi della democrazia nostra e altrui.
In definitiva, la conclusione è
lapalissiana, però non per questo va sottaciuta, ma anzi va ripetuta
insistentemente e ad alta voce: la democrazia senza il demos, senza il
popolo, non è altro che una finzione nella quale prosperano proprio
coloro che non la amano; non pochi, ma soprattutto i fascisti e i loro
fiancheggiatori.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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