Questo testo è già stato pubblicato sul Messaggero Veneto
di questa mattina, sabato 28 aprile, con il titoletto “L’intervento” e
il titolo “I valori della Resistenza non possono essere né barattati, né
inquinati”. Adesso, nel pomeriggio, quando la stragrande maggioranza
delle edicole è già chiusa, ve lo propongo anche su “Eppure…”.
Le parole hanno sempre un loro peso
e, quindi, devono essere usate con la necessaria attenzione. Quando si
legge, per esempio, che Marco Orioles, sul Messaggero Veneto di
giovedì 26 aprile, scrive che «il 25 aprile è diventata una data
radioattiva», non si può sfuggire all’immagine che sempre si affaccia
alla mente quando si usa un simile aggettivo: un oggetto, o un posto dal
quale è necessario fuggire e stare lontani per non diventare preda di
radiazioni mortali. Meno sbagliato sarebbe stato utilizzare l’aggettivo
“avvelenato” che fa pensare a qualcosa che può essere pericolosa, ma
soltanto se la si usa senza la dovuta attenzione.
Sono due i temi toccati da Orioles
per motivare questa “radioattività”: la festa «che dovrebbe unire gli
italiani a prescindere dalle appartenenze» e il problema dei rapporti
tra ebrei e palestinesi.
Credo che per prima cosa sia da ribadire che la Liberazione, come la Resistenza, non è di tutti.
Giustamente non lo è mai stata di
Almirante, né di chi ha combattuto con la Repubblica Sociale Italiana
alleata con i nazisti; non lo è neppure di coloro che a quelle idee
ancora si rifanno, né di quelli che comunque si riconoscono in ideali
fascisti e razzisti; ma nemmeno di chi sull’opposizione al 25 aprile è
andato a caccia di voti in territori più a destra del proprio; e mi
riferisco esplicitamente a Berlusconi al quale oggi, invece, fa gioco
farsi fotografare a Porzûs davanti al labaro dei partigiani della
Osoppo, cosa che ha fatto indignare Paola Del Din, medaglia d’oro della
Resistenza.
Insomma, nella frase in cui si
auspica la «condivisione dei principi che dovrebbero essere alla base
della nostra Repubblica», cambierei il condizionale “dovrebbero” con
l’indicativo “devono” e, per capirci meglio, specificherei che questa
condivisione non può essere frutto di una mediazione tra posizioni
diverse: i valori sono quelli per i quali sono morti a migliaia e non
possono essere né barattati, né inquinati.
Fin quando ci sarà un sindaco Di
Piazza che rifiuta di invitare alla Risiera di San Sabba, a Trieste, il
presidente degli Istituti per lo studio del Movimento di Liberazione e
fin quando a Pradamano ci sarà un signore che chiede lo scioglimento
della banda comunale perché ha suonato “Bella ciao”, il fatto che il 25
aprile sia una data divisiva resterà non un difetto, bensì un valore a
indicare che la nostra Repubblica vuole continuare a onorare i suoi
principi costitutivi.
Molto più complesso e impossibile da
affrontare in uno spazio ristretto il discorso sulla contrapposizione
tra ebrei e palestinesi, ma alcune cose vanno dette.
Intanto guardar male i palestinesi
di oggi perché il Gran Muftì di Gerusalemme fu alleato di Hitler,
corrisponderebbe a trattar male i tedeschi di oggi perché i loro padri, o
nonni, furono per la quasi totalità nazisti.
Poi, sempre pensando all’uso delle
parole, occorrerebbe non confondere i termini “israeliani” ed “ebrei”.
Sono molti, per esempio, gli ebrei – anche in Israele – che non
concordano con la politica del loro Stato guidato da Netanyahu e che la
considerano, a essere benevoli, un eccesso di legittima difesa.
E mi sembra del tutto fuori luogo,
oltre che offensivo per la quasi totalità degli italiani, sostenere che i
sentimenti ostili al governo di Tel Aviv «poi vengono proiettati sugli
incolpevoli ebrei italiani», ma anche pretendere dall’ANPI una «moral
suasion sui seguaci della Palestina»: intanto non sono seguaci, ma
cittadini, e poi quella per cui stanno lottando è anch’essa una
Resistenza per la Liberazione del proprio popolo. Si può anche non
essere d’accordo sull’obbiettivo, ma è così.
Proprio come per noi dal 1943 al ’45.
Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/
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