lunedì 5 marzo 2018

Oggi, ieri, domani

Ci sono poche cose più tristemente ridicole del vedere qualcuno che, dopo una zuffa, si trascina dolorante a quattro zampe e tenta di sorridere dicendo: «Poteva andare peggio. Tutto sommato, non mi fa tanto male». Fortunatamente questa volta almeno il ridicolo ci è stato risparmiato; non certamente il dolore; e neppure la tristezza. Poteva andare peggio? Tutto è possibile, ma francamente mi sentirei di rispondere con un secco «No!», perché in politica peggio dell’irrilevanza ci può essere ben poco.

La sinistra esce da questo confronto elettorale decisamente e dolorosamente disastrata e credo che sia obbligatorio soffermarsi su almeno tre aspetti: il perché di questi numeri, gli ideali, il futuro.
 

Sui numeri c’è poco da dire: si tratta di una batosta senza attenuanti e accompagnata da un senso di desolazione che non può essere nemmeno vagamente attenuato dalla quasi certezza che finalmente Renzi finirà di fare danni a quel centrosinistra al quale dice di appartenere, ma che ha demolito lasciando dietro di sé soltanto una landa di macerie che non coinvolgono soltanto il suo partito, ma, sia pur indirettamente, tutto il centrosinistra; ovviamente, sinistra compresa.

E spinge in direzione diametralmente opposta alla consolazione anche il pensiero che Mattarella dovrà trovare un’alternativa di governo tra il razzismo viscerale di Salvini e la vaghezza opportunistica di Di Maio. Sempre che i due rischi non possano arrivare addirittura a sommarsi.

Unica altra ipotesi – e non facilmente praticabile neppure questa – un governo di scopo per scrivere e far approvare una legge elettorale meno stupida e scandalosa di quella sulla quale ci ha tenuto a far mettere il suo nome l’ineffabile Rosato. Ma su questa strada ci sono due ostacoli: per fare una legge condivisa occorre essere disposti a condividere qualcosa. E poi, comunque, si correrebbe il rischio di ritrovarsi comunque al punto di partenza, oppure, visto che delle pur fruttuose fatiche di un proporzionale vero nessuno vuol sentir parlare, si rischierebbe di voler uscire dallo stallo assecondando ancora una volta la tentazione di drogare i risultati elettorali con premi assurdi e, quindi, tendenzialmente anticostituzionali.

Sul perché di questo disastro su “Eppure…” ho scritto ben prima che la catastrofe si materializzasse. I fuoriusciti dal PD avrebbero dovuto uscire ben prima, perché già da molto tempo il quadro era inequivocabile. Tentare una fusione tra partiti diversi è sempre una cosa difficilissima, ma diventa quasi impossibile se il tentativo avviene nell’imminenza di elezioni in cui ognuno crede che la cosa più importante sia non dare un volto preciso e comune alla nuova creatura, bensì difendersi dai compagni di viaggio che sono visti più come un pericolo che come amici. La compilazione delle liste ha dato più l’idea di seguire le necessità dei maggiorenti dei partiti che quelle del partito che spesso molto meglio sono state espresse da giovani sui quali sarà obbligatorio, oltre che meritatamente logico, scommettere per il domani. La campagna elettorale non è stata sbagliata: semplicemente non c’è mai stata e riesce difficile capire come uno schieramento di sinistra pensi di restare tale senza mai confrontarsi, faccia a faccia, con i cittadini elettori e organizzando, invece, soltanto incontri tra amici.

In base a queste considerazioni, a prima vista la conseguenza apparentemente inevitabile sembrerebbe quella di mollare tutto, rassegnarsi e ritirarsi a vita privata; ma qui interviene il secondo punto, quello dei propri principi e valori. Già molte volte ho scritto che uno dei più importanti insegnamenti della democrazia consiste nel fatto che avere la maggioranza non necessariamente coincide con l’essere nel giusto. E, conseguentemente, che se si viene sconfitti non perdono di valore anche i principi in base ai quali si ragiona, si parla, si opera, si vive.

Personalmente, insomma, sono ben conscio che oggi appartengo alla schiera dei battuti, ma continuo a essere convinto che sia doveroso, oltre che giusto, impegnarsi a lottare contro le disuguaglianze, la disoccupazione e la povertà, contro i razzismi, gli egoismi, le esclusioni, contro le corruttele e gli opportunismi, contro le incompetenze e le approssimazioni. Non continuare a lottare per questi ideali significherebbe tradire noi stessi. E, quindi, non c’è altra possibilità che rispolverare il vecchio, ma sempre validissimo sprone di Francesco Saverio Borrelli: «Resistere! Resistere! Resistere!».

E già con questo entriamo nel terzo punto: quel futuro, prossimo e lontano, sul quale tornerò più diffusamente nei prossimi giorni. Perché, in chiave generale, occorrerà ricostruire una casa che possa accogliere, a livello nazionale, tutti coloro che credono negli alti ideali e nei valori umani di quella sinistra che – è bene non stancarsi di ripeterlo – esiste ancora in tantissime persone e che è tutt’altra cosa della destra.

Ma sarà importante, e anche più urgente vista la fretta indotta dai tempi – riconsiderare strategie, tattiche e nomi per le elezioni regionali e comunali del 29 aprile. Arrendersi senza combattere sarebbe un vero e proprio delitto contro se stessi e contro gli altri.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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