domenica 31 dicembre 2017

Ideali e strategie

A colpire l’attenzione non è tanto un titolo di Repubblica – “Anno 2018, l’Italia senza un leader” – quanto il fatto che questo titolo sembra nascondere un rammarico che poi è confermato dal cappello dell’articolo che riferisce di un sondaggio Demos e che dice: «Secondo gli italiani, il 2018 sarà un anno senza luce. E senza luci. Perché l'orizzonte appare grigio e non si scorgono figure in grado di illuminarlo. Al contrario. Perché gli unici soggetti significativi emergono sugli altri per la loro capacità di oscurare».
 
Ebbene, per quanto mi riguarda, proprio questo titolo mi induce, sia pur molto timidamente, a intravvedere qualche barlume di speranza e a far venire a galla quello che posso considerare il mio massimo desiderio politico per il 2018, cioè quello che finalmente si inverta la tendenza generale e che si finisca di parlare di leader per tornare a parlare di partiti e di ideali, se non proprio di ideologie. Perché, se davvero si vuole sperare in un futuro migliore per tutti, quella di cercare a tutti i costi un leader e di concedergli di una fiducia totale, è l’unica strada che certamente non si deve seguire. Lo ha dimostrato ad abundantiam la storia e continua a dimostrarlo ampiamente anche la cronaca. E se una volta il leaderismo solitamente portava a una dittatura, oggi la stessa disgrazia induce, senza eccezioni, a un impoverimento politico e, conseguentemente, sociale.

Potrebbe già bastare una semplice considerazione di base a dimostrare il fallimento già segnato di una realtà in cui tutto il potere è nelle mani di un uomo solo: se nessuno è in grado di controbattere ciò che dice il capo, o se il capo comunque non ascolta, allora ogni errore diventa inevitabile e inemendabile. Perché nessun uomo è infallibile. E la somma di tanti errori costituisce invariabilmente un disastro.

Ma altre considerazioni possono essere aggiunte: la crescente e inarrestabile autostima di chi si sente il capo di tutto; il crescente disinteresse di chi sa che comunque non potrà mai incidere neppure nelle decisioni che lo riguardano; l’impoverimento di quella che dovrebbe essere la futura classe politica e che, invece, si riduce a poco più che una corte di questuanti e reverenti; la ricerca continua, da parte del capo, di rimuovere ogni tipo di ostacolo che potrebbe fargli perdere tempo nel percorrere la strada che ha deciso di percorrere.

Non è difficile ritrovare tutto ciò in Italia e nei tempi che stiamo vivendo: leader, come Renzi, che si sentono talmente forti da impostare una campagna referendaria tramutandola in un plebiscito – perdente – sulla propria persona; altri, come Grillo, che cambiano le regole interne se i risultati delle consultazioni interne non sono quelli a lui graditi; altri, come Berlusconi, che continuano a ritenere scemi i propri elettori promettendo loro ancora una volta le stesse cose che è già stato dimostrato inequivocabilmente essere impossibili; altri, come, Salvini, che promettono di risprofondare in un passato cupo, incivile e nel quale possono stare bene soltanto coloro che già stanno bene e che sono capaci di non sentire i morsi della propria coscienza; altri, come Di Maio, che danno continuamente prova della propria ignoranza, spicciola e generale, e che continuano a pretendere che gli altri pensino che l’ignoranza sia una variabile inessenziale nel valutare la capacità di risolvere problemi complessi; altri ancora che agognano a diventare leader di qualcosa e che non hanno avuto ancora la possibilità di contribuire con i loro atteggiamenti a screditare il leaderismo. 

E, nel frattempo, sempre meno cittadini vanno a votare perché si sentono sempre più esclusi dal processo democratico e sempre più spesso le leggi sono pasticciate, illeggibili, addirittura dannose più che inutili.

In definitiva l’auspicio è che l’anno nuovo porti i primi germi della rinascita di quelli che una volta erano i partiti che nascevano come organizzatori del consenso su tracce ideali, sociali e politiche ben definite e che scompaiano quelle organizzazioni che continuano a essere definiti partiti (anche se nel caso del M5S rifiutano tale appellativo), ma che, in realtà, sono soltanto macchine elettorali che rendono gli ideali asserviti alle rilevazioni dei sondaggi e che, quindi, diventano ondivaghi, anche su questioni di importanza etica primaria, perché a fare premio su tutto è la possibilità di lucrare qualche voto il più alle elezioni successive.

E, a proposito di elezioni, parlando della parte politica nella quale mi riconosco e cioè la sinistra, visto che nessuno parte rassegnato, ma che è certamente difficile ipotizzare un successo pieno a pochi mesi dalla propria nascita, credo che questa occasione vada sfruttata soprattutto come base di partenza per una vera rinascita del modo giusto di fare politica, nel quale è importante far capire che c’è ancora qualcuno che vuole portare avanti le proprie idee sociali più che battagliare per avere un posto di rilievo; un’occasione nella quale almeno qualche leader finalmente torni a parlare soprattutto di ideali sociali e molto meno di strategie elettorali.

Buon 2018 a tutti. Ricordando sempre che quello che ci riserberà dipenderà in gran parte proprio da noi.


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