venerdì 24 novembre 2017

Dov’eravamo rimasti?

Dopo un insolitamente lungo silenzio, dovuto a momenti di attenzione alternati a punte di sconforto, la domanda naturale è: dov’eravamo rimasti? E la risposta non può che essere che siamo rimasti sempre lì e che è ora di riprendere a parlare, non con la pretenziosa idea di poter influire in qualche maniera, ma per esprimere chiaramente il proprio pensiero assumendosene la responsabilità.
 
È ovvio e inevitabile che durante la lunghissima campagna elettorale che ci attende saremo bersagliati continuamente da slogan stucchevoli e promesse e progetti irrealizzabili. Ma cerchiamo di limitare questo inquinamento propagandistico, almeno nelle parti di più improbabile realizzazione. Tra queste un ruolo di primo piano spetta alla campagna che il PD svolge ossessivamente nel nome di una «unità delle sinistre» perché «divisi perdiamo».

Proviamo a mettere a fuoco soltanto alcuni punti che dimostrano che, stando così le cose, l’alleanza tra PD e Articolo Uno – MDP, appartiene al regno dell’irrealtà. E, quindi, che Renzi e i suoi potrebbero risparmiarci geremiadi che servono soltanto a porre le premesse per successive recriminazioni.

Cominciamo con la risposte date a un partito che si è dato il nome di “Articolo Uno” richiamandosi esplicitamente a quello della nostra Costituzione che non recita soltanto «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro», ma continua sottolineando che «La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Ebbene, sul primo punto, la risposta renziana è stata netta perché ha messo in chiaro che di altre cose si potrà parlare, ma sul Jobs Act ogni discussione è inammissibile perché «nessuno ci può chiedere un’abiura» e perché «è una buona legge che ha creato quasi un milione di posti di lavoro». Che la gran parte di questi posti di lavoro sia a tempo determinato e già conclusi, a contratto depotenziato, a chiamata variabile, a salario neppure di sussistenza tutti, lo sanno, ma sono argomenti che non devono scalfire la monumentalità del numero «quasi un milione» che ricorda la parabola berlusconiana almeno quanto la filosofia della legge che è sul lavoro, ma contro i lavoratori.

E anche sulla seconda parte dell’Articolo Uno, sulla sovranità che appartiene al popolo, c’è molto da dire visto che il Parlamento, unica realtà istituzionale eletta direttamente dal popolo, è stato imbavagliato dal PD con una serie senza paragoni di cosiddetti “voti di fiducia” che, in realtà, con la fiducia c’entrano ben poco, e che la nuova legge elettorale, voluta sempre dal PD, continua a limitare in maniera drastica le possibilità di scelta da parte di quel popolo cui la Costituzione fa riferimento.

Poi, se pensiamo a quella prima persona plurale del verbo “perdiamo”, mi sembra evidente che, sotto un unico tetto, nasconda due realtà profondamente diverse: per Renzi questa forma verbale si basa su una specie di plurale maiestatis perché la sconfitta riguarderà lui, o, al massimo, il partito di cui è segretario. Per gli altri a sinistra del PD la sconfitta, invece, in caso di vittoria di un’alleanza con il PD, riguarderebbe tutta una serie di ideali e di valori politici che continuerebbero, come in questi ultimi tre anni abbondanti, a essere molto vicini a quella destra che a parole si vitupera, ma ai cui obbiettivi nei fatti ci si conforma: una vittoria teorica, quindi, ma una sconfitta reale. E destinata anche a pregiudicare negativamente qualunque speranza futura. A Cuperlo, che dice che «Non è pensabile che non si trovi una convergenza sui contenuti», basterebbe ricordare che dei contenuti del Jobs Act è vietato parlare e che, mentre Fassino cerca di fare mediazioni con la sinistra, Guerini sta trattando con una parte della destra, che sarà anche moderata, ma sempre destra rimane.

Quando Bersani dice che, a meno di cambiamenti seri, di svolte radicali, si ricomincerà a parlarsi dopo il voto, Renzi risponde che le alleanze non si trattano dopo il voto. E allora? Prevede già di tornare subito alle urne? Oppure la trattativa è vietata soltanto con la sinistra, mentre dopo il voto quella eventuale con Berlusconi diventerebbe lecita per una questione di numeri capaci di formare una maggioranza?

Un ultimo argomento: la supposta antipatia personale. È vero: Renzi sta molto antipatico a tutti coloro che si sentono di sinistra. Ma non è una questione personale, come non era personale l’antipatia che si provava – e si prova – per Berlusconi. In un’epoca in cui si è voluto distruggere il vecchio concetto di partito per convertirlo in una specie di comitato elettorale per un capo, il capo diventa il simbolo di quel comitato e delle idee che porta avanti. Quindi non di antipatia personale si tratta, ma di assoluta distanza politica. E da questo deriva anche il fatto che in qualunque caso, anche in elezioni locali in cui il candidato dem potrebbe essere considerato degno, il voto per il PD sarebbe assimilato comunque a un voto a Renzi e, quindi, diventa impossibile.

Per concludere, in mancanza di una svolta radicale da parte del PD di Renzi, una convergenza elettorale tra sinistra e PD diventa un’ipotesi irreale: chi è uscito da quel partito, o chi ha deciso di non votarlo più perché ha ritenuto che quel partito si è separato da una parte enorme dei suoi elettori in quanto ha cambiato patrimonio genetico, ha agito così per profondi convincimenti politici e non per momentanee antipatie e, quindi, non ha la minima intenzione di rinnegare se stesso e i propri ideali. Il bacino di voto del possibile nuovo polo di sinistra si estende, infatti, soprattutto in quel largo mare di cittadini che non vanno più a votare.


Fassino dice che «dalla nostra gente sale una forte domanda di unità»: forse quel “nostra” si riferisce soltanto agli elettori del PD perché gli altri hanno ben presente che dalle Europee in poi quella fantomatica unità ha portato soltanto a sconfitte sanguinose. Una sinistra che si alleasse con il PD di Renzi, finirebbe per certificare che i comportamenti politici di Renzi sono accettabili, e perderebbe immediatamente il rispetto di chi lo ha già tolto a Renzi e ai suoi.

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