mercoledì 25 gennaio 2017

Lo sberleffo della Consulta

La Corte costituzionale ha deciso: dell’Italicum resta in piedi il premio di maggioranza, mentre vengono cancellati il ballottaggio, i capolista bloccati e la possibilità di scelta nelle pluricandidature.

Non è soltanto la cancellazione della «legge elettorale che – così diceva con prosopopea Renzi – tutta l’Europa ci invidia e che in molti ci copieranno», ma quello della Consulta appare addirittura come uno sberleffo a Renzi, Boschi e compagnia perché la Corte concede loro soltanto il mantenimento del premio di maggioranza se una lista ottiene il 40 per cento nell’unico turno di voto, e l’ipotesi è talmente residuale da apparire come una presa in giro nei confronti di coloro che tra il 4 dicembre e oggi si sono visti sminuzzare e distruggere tutti i loro piani di cambiare l’Italia portandola a diventare – pur senza mai dirlo – una Repubblica presidenziale con tutti rischi che questo status – pensate agli Stati Uniti – comporta.

Inoltre – e non è certamente l’aspetto meno importante – la Consulta ha messo in rilievo che «all’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione».

Ovviamente bisognerà attendere le motivazioni per capire meglio alcuni particolari, ma la sentenza è chiara. «La Corte – scrive una nota della Consulta - ha respinto le eccezioni di inammissibilità proposte dall’Avvocatura generale dello Stato. Ha inoltre ritenuto inammissibile la richiesta delle parti di sollevare di fronte a se stessa la questione sulla costituzionalità del procedimento di formazione della legge elettorale, ed è quindi passata all’esame delle singole questioni sollevate dai giudici».

Nel merito, continua la nota, la Corte «ha rigettato la questione di costituzionalità relativa alla previsione del premio di maggioranza al primo turno e ha invece accolto le questioni relative al turno di ballottaggio, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni che lo prevedono». Inoltre, «ha accolto la questione relativa alla disposizione che consentiva al capolista eletto in più collegi di scegliere a sua discrezione il proprio collegio d’elezione. A seguito di questa dichiarazione di incostituzionalità, sopravvive comunque, allo stato, il criterio residuale del sorteggio». Infine, ha dichiarato «inammissibili o non fondate tutte le altre questioni».

Insomma, in soldoni, adesso ci si trova di fronte a un sistema proporzionale, con qualche forma di sbarramento, che può diventare maggioritario soltanto nel remotissimo caso che una lista superi il 40 per cento. Dico “lista” in quanto il testo dell’Italicum parla espressamente di liste ed esclude le coalizioni; e su questo aspetto non sembra che la Corte si sia espressa.

A questo punto, anche se «la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione», appare inevitabile che il Parlamento ci metta mano, sia perché ad alcuni il proporzionale proprio non va giù, sia in quanto le possibili e probabili disparità di risultato tra Senato e Camera (quantomeno per le diverse quote di sbarramento) sarebbero molto rilevanti e, quindi, in contrasto con i paletti fissati dal Presidente della Repubblica.

Anche altre sarebbero le considerazioni da fare, ma sono due quelle che balzano subito agli occhi. Oggi, per la Camera e per il Senato, ci sono due leggi elettorali entrambe codificate direttamente dalla corte Costituzionale che ha cancellato delle leggi furbesche e truffaldine votate dal Parlamento. L’attuale pronuncia della Consulta si è resa necessaria anche perché il governo Renzi non ha nemmeno preso in considerazione l’ipotesi che la volontà popolare fosse diversa da quella del capo e che, dunque, volesse mantenere in vita il Senato.

Due considerazioni che fanno un’evidenza: la riforma più importante per l’Italia sarebbe quella di veder eleggere finalmente persone in grado di saper legiferare e non soltanto di obbedire alle volontà del capo di turno, più incline a tentare di trasformare in legge i propri desideri che ad attenersi ai dettami della Costituzione.

E lo hanno ribadito anche i giudici costituzionali che hanno rimandato proprio al Parlamento il compito di creare procedimenti di costituzione delle leggi elettorali meno esposti al capriccio del teorico potente di turno.

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