mercoledì 30 novembre 2016

Quel PD che fa finta di non conoscere se stesso

Alla vigilia di questo referendum costituzionale non si può non ricordare che questa non è la prima volta che una riforma costituzionale viene approvata in Parlamento a colpi di maggioranza. È già successo nel 2001 con la sciagurata decisione di far approvare, con margini risicatissimi, la riforma del Titolo V, quello che tratta dei rapporti tra lo Stato e le autonomie locali, comuni, province e regioni. Ed è accaduto di nuovo nel 2006 con un altro sciagurato tentativo, questa volta del Centrodestra che voleva tramutare – un po’ proprio come oggi, ma quella volta esplicitamente – la Repubblica da parlamentare a presidenziale.

Dopo quei due colpi di mano il Centrosinistra sembrò pentirsi di aver dato il via, per primo nella storia della Repubblica, ai colpi di mano costituzionali, e ammise pubblicamente di avere sbagliato e di aver imparato la lezione, tanto che, alla sua nascita, il Partito Democratico decise di darsi, come punto di riferimento costante, un Manifesto dei Valori (ancora assolutamente vigente e facilmente consultabile sul sito dello stesso PD) in cui si legge che «La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale».

Sono parole chiarissime, profonde e ispirate, che recuperavano concetti di una maggiore tutela necessaria per l’articolo 138; concetti che, tra l’altro, erano già esplicitati molto prima, nel febbraio del 1995, quando dal Centrosinistra fu presentato un disegno di legge costituzionale che introduceva l’obbligo dei due terzi di voti per ogni revisione costituzionale, e che prevedeva che il referendum si potesse chiedere sempre, e che fosse «indetto per ciascuna delle disposizioni sottoposta a revisione, o per gruppi di disposizioni tra loro collegate per identità di materia». Merita ricordare anche che tra i firmatari di quel disegno di legge figuravano anche Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella che essendo, allora nella minoranza, sentivano l’esigenza democratica di impedire alla maggioranza di mettere le mani sulla Costituzione.

Segnalo questa cosa non tanto per dire che il PD di Renzi sottoscrive una cosa e poi ne fa un’altra, ma per affermare due realtà incontrovertibili. La prima: il PD continua a avere in sé alti valori democratici a livello di principio, ma i suoi vertici, o non hanno letto le carte costitutive del loro partito, oppure non se ne curano minimamente. La seconda è che tantissimi italiani hanno scelto di votare per il PD anche in virtù di questi forti impegni democratici e istituzionali, ripetuti speso anche da sindaci, come quello di Udine, Honsell, a ogni 25 aprile, e che oggi quegli stessi italiani si sentono truffati perché oggi il loro voto è utilizzato da un partito che evidentemente non è più quello che si è presentato alle ultime elezioni politiche, e che quel loro voto è stato utilizzato per tentare di massacrare quella stessa Costituzione che molti dei suoi elettori volevano difendere. Viene da chiedere a Renzi, Serrachiani, Guerrini e tanti altri fedelissimi dell’attuale presidente del Consiglio e segretario del partito – in entrambi i casi pro tempore – se non ritengono che i voti perduti nelle recenti amministrative possano essere collegati proprio al tradimento degli impegni più importanti.

Quindi vorrei aggiungere alle motivazioni per barrare il No sulla scheda elettorale anche il fatto che questo voto non vale soltanto per oggi, ma anche per il futuro. Con la vittoria del No, infatti, si contribuirebbe ad abbattere quel concetto aberrante, ma ormai dato quasi per assodato che ogni maggioranza ha il diritto di farsi la sua Costituzione. Ripeto: lo ha fatto il centrosinistra nel 2001, lo ha fatto il centrodestra nel 2006, ma è stato sconfessato dal referendum; lo stanno facendo nel 2016 Renzi con quella parte di partito che preferisce la fedeltà al capo piuttosto che ai valori fondanti e speriamo che anche questa volta il popolo rifiuti di farsi togliere democrazia.

Perché, come ha dimostrato la Costituente nei sui lavori del 1946 e del 1947, la Costituzione, oltre a limitare i poteri di chi ne ha di più e a difendere chi ne ha di meno, è e deve essere di tutti: per riprendere concetti ormai evaporati, dai monarchici ai comunisti, dai liberali ai socialisti, dai credenti ai laici; non può mai essere di una parte soltanto. E soprattutto non può essere fatta da coloro che hanno già più potere degli altri, ma ne vogliono ancora di più. Magari rassicurandoci: «State sereni: non ne approfitteremo».

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