sabato 26 novembre 2016

Qualcuno ha già votato

Il fatto che la Corte Costituzionale spesso finisca per considerare costituzionalmente illegittime alcune leggi e alcune riforme rientra sicuramente nella normalità, come altrettanto normale è che le reazioni di coloro che si sentono dare torto siano abbastanza critiche. Ma questa volta, con la bocciatura di parte della riforma Madia sulla Pubblica Amministrazione, si esce dalla consuetudinarietà, sia per il tipo di decisione della Corte, sia per le reazioni dei delusi.

E partiamo proprio da questi ultimi. Anzi, dal loro capo, Matteo Renzi, che ha reagito rabbiosamente: «È una vittoria dei burocrati», ha sibilato. E – anche se da un organo istituzionale ci sarebbe da attendersi quel rispetto più volte da lui affermato in campagna referendaria nei confronti di un organo di garanzia – c’è da capirlo, nella sua stizza, perché nelle motivazioni della sentenza della Suprema Corte si legge che la riforma Madia lede l’autonomia delle Regioni. E che lo fa in quattro punti cruciali: dirigenti, società partecipate, servizi pubblici locali, organizzazioni del lavoro.

C’è da capirlo nel suo dispetto perché quella stessa Corte Costituzionale, che aveva deciso di rimandare la propria decisione sulla costituzionalità dell’Italicum per non influenzare il voto al referendum, questa volta ha deciso di intervenire in maniera pesante su argomenti che sono consustanziali, più che contigui, al complesso del Titolo V, quello che si occupa, appunto, dei rapporti tra Stato e Regioni e che è una delle fonti di maggiori novità e più forti critiche per la riforma costituzionale. E questo non può non voler dire qualcosa in quanto la Corte, senza neppur dover mettere in evidenza la sua scelta, avrebbe potuto rinviare tranquillamente la decisione di un paio di settimane.

E, a quel punto, con la vittoria del No, non avrebbe avuto problemi a dire le medesime cose che ha detto ieri. Con la vittoria del sì, invece, la Corte avrebbe potuto addirittura evitare qualsiasi giudizio in quanto si sarebbe trovata a dover ragionare su una Costituzione diversa; perché – è bene ricordarlo – la Consulta deve esprimersi sulla Costituzione vigente, mentre non può esprimersi su progetti futuri.

Quindi, se ha deciso di esprimersi subito, con la Costituzione ancora in vigore, questo evidentemente vuol dire qualcosa. E, pur rendendomi conto che le mie opinioni, i miei ragionamenti e le mie conclusioni devono limitarsi a essere catalogate come ipotesi, senza possibilità di conferma certa vista la consolidata riservatezza dei giudici, mi sembrano talmente logiche che mi appare doveroso condividere queste conclusioni con voi.

Se la Corte ha voluto esprimersi subito, questo significa che intende far capire che, almeno per il Titolo V, la riforma costituzionale Boschi–Renzi–Napolitano non è da lei apprezzata.

In pratica, almeno secondo me, un primo voto sulla riforma è stato già dato, con una decina di giorni di anticipo sul referendum, da un’istituzione di grande peso. Ed è un voto negativo.

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