martedì 8 novembre 2016

La prima vittima? Il vocabolario

È già stato segnalato molte volte, ma merita ripeterlo ancora: una delle prime e più importanti vittime di questo modo scriteriato di fare politica è il vocabolario. In quella che lo storico Emilio Gentile, nel suo recente libro “Il capo e la folla”, ha definito “democrazia recitativa”, sono tantissimi i vocaboli usati a sproposito, da soli, in locuzioni, o frasi, per far intendere qualcosa che i capi vorrebbero far arrivare alla folla, ma senza che dietro al concetto, oppure allo slogan ci sia un contenuto reale, tangibile e soprattutto corrispondente alla frase stessa.

Se non si usa lo stesso vocabolario vuol dire che non ci si può più capire e, visto che il capire ciò che dice l’altro è la base fondamentale di ogni possibile dialogo e accordo, l’incomprensione reciproca rende non solo impossibile, ma addirittura inutile il confronto e si arriva alla negazione della politica e, quindi, della democrazia.

Proviamo a fermarci per un momento sulla piccata risposta di Debora Serracchiani a Pierluigi Bersani che, dopo gli attacchi alla minoranza richiesti dal capo e accettati dalla folla alla Leopolda, aveva detto che «mentre a Firenze urlavano “Fuori. Fuori”, a Monfalcone gli elettori del PD erano già andati fuori», non sentendosela di votare per la candidata PD e lasciando così campo libero alla candidata leghista per espugnare una delle più tradizionali roccaforti della sinistra. Aggiungendo poi che «c’è un pezzo del nostro mondo che se ne va e dal PD non è arrivato un minimo di riflessione e di riconoscimento di questi problemi».

Ebbene la presidente della giunta regionale così ha risposto: «Bersani non stravolga la realtà ed eviti polemiche fuori luogo».

È evidente che qui le due parti in causa parlano lingue diverse. Bersani si lamenta che alla Leopolda Renzi ha aizzato la folla contro coloro che, all’interno del partito non sono d’accordo con lui e la Serrachiani risponde che non è stato lui a urlare «Fuori. Fuori». Bersani si lamenta che il tonfo monfalconese, come quelli delle amministrative di primavera non porti subito a un’analisi autocritica del perché il PD abbia perduto tanti elettori e la Serracchiani risponde parlando di polemiche inutili. E qui c’è da capirsi: fuori luogo o inutili perché? Perché quando una bottiglia di vetro è andata in mille pezzi, nessuno potrà mai riuscire a ricomporla come non fosse successo alcunché? Oppure perché con le polemiche interne si rischia di rendere ancora più difficile l’unica cosa che a Renzi interessa davvero, e cioè la vittoria al referendum? O, invece, perché la minoranza di un partito ormai, con la democrazia recitativa, non deve permettersi di sollecitare riflessioni a una maggioranza che vuole decidere da sola e che, evidentemente, in qualcosa ha sbagliato? O, ancora, perché non essendo d’accordo con il capo, si può essere accusati di attentare all’unità (quale?) del partito?

Si dirà che neppure in altri partiti la democrazia interna sembra essere un requisito importante. Ma non capisco proprio questo mantra ripetuto spesso soprattutto dalla ministra Boschi: se gli altri sono poco democratici e si comportano male, la stessa cosa deve essere lecita per un partito che vuole farsi ritenere di centrosinistra? E, soprattutto, deve essere accettata senza battere ciglio anche da quegli elettori che di centrosinistra, o di sinistra, sono davvero?

Ho già avuto modo di dire che la cosa che sicuramente non riuscirò mai a perdonare a Renzi è il fatto che ha distrutto l’anima del PD, o, almeno, quella che si pensava avrebbe dovuto essere la sua anima quando è stato fondato. E facendo questo ha mandato scientemente in frantumi, quasi vantandosene, quel centro di gravità che è inevitabile, se si vuole creare convergenze di tipo ulivistico e, quindi condannando il centrosinistra italiano a un rincorsa che durerà parecchio tempo prima di riprendere le dimensioni che, invece, potrebbe avere di natura.

E lo ha fatto, con l’aiuto di tutti i suoi, accanendosi proprio contro quel vocabolario violato chiamando “governabilità” il decisionismo, “semplificazione” l’eliminazione di spazi per il dissenso, “tempi certi” la certezza di non avere troppi fastidi dalle opposizioni, e così via.

Proviamo, ogni volta che sentiamo frasi indigeribili, a chiedere ad alta voce a chi le pronuncia cosa vogliano dire davvero. Potrebbe già essere determinante.


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