domenica 6 novembre 2016

La coscienza e la burocrazia

Nel pomeriggio di ieri, quando ho letto le dichiarazioni di Papa Francesco durante l’incontro in Vaticano con i movimenti popolari internazionali, ho provato la stessa sensazione di quando, al mare, si riemerge da una nuotata sott’acqua al limite delle nostre capacità e si torna a inspirare avidamente quell’aria che i nostri polmoni richiedono con forza.

Dopo mesi in cui ci si sente moralmente obbligati a lottare contro il buio incombente di una riforma costituzionale nella quale le parole d’ordine dei propugnatori sono velocità, governabilità, riduzione delle spese della politica e dei suoi attori, e assoluto rispetto dei desiderata dei cosiddetti “mercati”, il messaggio di Francesco è addirittura abbagliante, oltre che graffiante per le coscienze che ancora non si sono rinchiuse in una corazza d’acciaio.

Ricordando Lesbo, Francesco sottolinea che lì ha potuto «ascoltare da vicino la sofferenza di tante famiglie espulse dalla loro terra per motivi economici o per violenze di ogni genere. Folle esiliate a causa di un sistema socio-economico ingiusto e di guerre che non hanno cercato, che non hanno creato coloro che oggi soffrono il doloroso sradicamento dalla loro patria, ma piuttosto molti di coloro che si rifiutano di riceverli. Faccio mie – ha continuato Francesco – le parole di mio fratello l’arcivescovo Hieronymos di Grecia: “Chi vede gli occhi dei bambini che incontriamo nei campi profughi è in grado di riconoscere immediatamente, nella sua interezza, la bancarotta dell’umanità.”».

E il pontefice si è chiesto, «che cosa succede al mondo di oggi che, quando avviene la bancarotta di una banca, immediatamente appaiono somme scandalose per salvarla, ma quando avviene questa bancarotta dell’umanità non c’è quasi una millesima parte per salvare quei fratelli che soffrono tanto? E così il Mediterraneo è diventato un cimitero, e non solo il Mediterraneo... Molti cimiteri vicino ai muri, muri macchiati di sangue innocente». La paura, ha insistito Francesco, «indurisce il cuore e si trasforma in crudeltà cieca che si rifiuta di vedere il sangue, il dolore, il volto dell’altro».

E poi si è domandato cosa fare, e si è risposto: «Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento».

E qui capisci senza esitazioni che le parole “sinistra” e “destra” hanno davvero ormai poco senso se riferite agli schieramenti sugli scranni parlamentari dei vari partiti politici, entità che continuano a chiamarsi così, ma che della loro funzione originale di cinghia di trasmissione tra il popolo e il potere hanno mantenuto ben poco, se non addirittura nulla.

Ma quelle due parole – sinistra e destra – hanno ancora un senso preciso e strepitante se dividono coloro che hanno come prima preoccupazione il bene di tutti e soprattutto di coloro che soffrono di più, da quelli che, invece, difendono il fazzoletto di terreno e l’angolino di benessere che sono riusciti a ritagliarsi e pensano ai poveri di casa e ai migranti che arrivano da lontano soltanto quando cercano giustificazioni per la loro condotta fatta di rifiuti, di barricate, di muri e dicono che lo fanno – e qui inevitabilmente ci richiamano alla memoria il lupo di Cappuccetto Rosso – «per aiutarli meglio». O aumentando di un po’ le elemosine, o per ritrasferire i problemi «a casa loro» dove i problemi sicuramente non saranno risolti, ma dove non si vedranno nemmeno più, se si avrà quel minimo di attenzione per cambiare immediatamente canale quando la televisione accenna a guerre, o a disastri umanitari.

E poi, dopo questa avida boccata di valori umani, sociali e civili, ecco che prepotentemente torna a cercare spazio la burocrazia, arriva Cuperlo firmando un documento che, secondo lui e i renziani, risolve quasi tutti i problemi e che Miguel Gotor, senatore della minoranza PD, condanna, invece, senza esitazioni: «In assenza di un impegno parlamentare irreversibile e simile a quello profuso da Renzi per varare l’Italicum (allora non istituì commissioni di partito, ma impose la fiducia al Parlamento e fece sostituire dalla Commissione Affari costituzionale dei compagni di partito che la pensavano diversamente), sarà bene adoperarsi per il successo del No. Un esito che consentirà di abrogare l’Italicum grazie alla volontà della maggioranza del popolo italiano».

Noi diciamo da tempo che, anche senza l’Italicum, la riforma costituzionale sarebbe indigeribile perché, in realtà, oltre a essere confusa, pasticciata, contraddittoria, punta anche e soprattutto a trasformare nei fatti una democrazia parlamentare in una democrazia praticamente presidenziale.

E, comunque, un’eventuale nuova legge elettorale – dice Renzi anche in presenza della firma di Cuperlo – dovrebbe comunque assicurare che la sera delle elezioni si deve sapere chi ha “vinto” – vocabolo più adatto a una partita di calcio che a un lavoro per il bene del Paese – e che la maggioranza che ne esce sia ampia e stabile.

E allora è inevitabile rispolverare un paragone espresso da Tommaso Montanari che ritengo molto descrittivo: la Costituzione è assimilabile a una pistola e l’Italicum a un proiettile. Se tolgo di mezzo il proiettile, la pistola resta sempre sul tavolo, pronta a essere armata con un nuovo proiettile e, quindi, il pericolo continua ad aleggiare sulle nostre teste. Perché il nuovo proiettile lo si può mettere anche a gennaio.

Ma, a parte questo, grazie anche ai richiami del Papa indirizzati alla coscienza di ciascuno di noi, ci appare davvero chiaro che dopo una lunghissima parentesi sott’acqua noi vogliamo riprendere a respirare democrazia e non decisionismo. Non sarà un’impresa priva di fatiche, ma non tentare di recuperare il progresso sociale sarebbe un terribile – e laicissimo – peccato di omissione.

Tutti gli “Eppure…” li puoi trovare anche all’indirizzo http://g-carbonetto.blogspot.it/

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