giovedì 17 novembre 2016

Governicchi e governoni

Non fosse in ballo il destino democratico di un Paese, e soprattutto dei suoi abitanti, ci sarebbe da divertirsi a osservare l’arrabattarsi di Renzi che su questo referendum ha giocato tutto e che sempre più teme di perdere la sua scommessa.

Lo vediamo promettere di tutto e di più: dalla decontribuzione totale per gli assunti al Sud dove, caso strano, il No è in nettissimo vantaggio, agli 800 euro per tutti i nuovi nati, ai 500 euro a tutti diciottenni (è sempre un caso che siano proprio quelli che per la prima volta vanno alle urne), alla quattordicesima (nuova o rafforzata) per una fetta di pensionati, agli 80 euro distribuiti un po’ qua, un po’ là a varie categorie di persone.

Ma lo vediamo anche effettuare giravolte e piroette degne di un grande artista del circo. All’inizio aveva detto che se avesse vinto il No lui si sarebbe ritirato dalla politica. Poi, resosi conto, grazie alle spiegazioni di alcuni influenti amici, che la sua possibile uscita di scena aveva affascinato molta più gente di quanta ne avesse terrorizzata, era precipitosamente tornato indietro affermando che si era trattato di un suo errore e che, comunque, non solo non sarebbe uscito dalla politica, ma addirittura non si sarebbe neppure dimesso.

Ora, accortosi che quella virata di 180 gradi non ha sortito l’effetto sperato, ha bruscamente ripreso la direzione di marcia originale, evidentemente sperando che nella mente degli italiani due contraddizioni possano elidersi in maniera tanto efficace da non lasciare neppure traccia nella loro memoria. Oggi, infatti, ha detto: «Se i cittadini dicono di No e vogliono un sistema che è quello decrepito che non funziona, io non posso essere quello che si mette d'accordo con gli altri partiti per fare un governo di scopo o un governicchio».

È evidente che Renzi dice sempre quello che crede che in quel momento gli conviene di più, o, comunque, quello che gli consigliano i suoi reputatissimi consiglieri strategici di propaganda, ma, al di là della volatilità e volubilità dei concetti, nelle sue dichiarazioni ci sono sempre alcuni punti fermi che permettono di comprenderlo davvero.

In questo caso mi sembra utile soffermarci per un momento sul termine “governicchio” e su come, secondo lui, questo nascerebbe. Ne deriva la constatazione che la differenza tra “governoni” e “governicchi” non risiede nelle cose che questi sono riusciti a fare per il bene del Paese, ma nella quantità di quella che lui chiama “governabilità” – e che in realtà è decisionismo – che quel governo riesce ad avere; nella possibilità di decidere senza doversi sobbarcare la fatica, e soprattutto il fastidio, di dover discutere con altri che non hanno la medesima idea.

Se ne trae, insomma, l’idea che governicchi sono stati quelli che, con faticose discussioni e mediazioni, sono riusciti a far superare a un partito di maggioranza relativo come la Democrazia Cristiana, tanti impedimenti ideologici da far approvare la legge sul divorzio e sull’aborto, o, anche, a far passare lo Statuto dei lavoratori. Senza contare quelli che ci hanno portato dalla distruzione postbellica al boom economico.

Di governoni, invece, non ce ne sono praticamente stati; tranne il suo, ovviamente, che è sicuramente un primatista di promesse, ma che è stato capace di mantenerne ben poche, in primis quelle sulla ripresa economica. E che come suo unico indiscutibile successo può presentare – ai potentati economici, ovviamente – la distruzione dello Statuto dei lavoratori e la riduzione in moderna schiavitù di centinaia di migliaia di lavoratori che non hanno più alcun diritto, neppure quello di lamentarsi.

E questo non è un invito a votare No per far cadere il governo Renzi – del suo destino politico mi interessa poco, o nulla – ma a farlo per scongiurare l’ipotesi che la sua mentalità debordi dai limitati anni di durata di un governo alla ben più lunga durata di vigenza di una Costituzione che – merita ripeterlo – non è una legge qualunque, ma deve stabilire regole condivise e deve limitare i poteri di chi già ne ha di più degli altri. E non il contrario.

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