sabato 29 ottobre 2016

La politica e il potere

Ieri, dopo la serata passata a Cividale con Angelo Floramo per “Ahi, serva Italia”, al rientro a casa, ho trovato mia moglie che guardava, su La7, il dibattito referendario tra Matteo Renzi e Ciriaco De Mita e il tono di voce dei due mi ha calamitato, tanto che, pur non nutrendo soverchia simpatia per nessuno dei due, ho continuato a seguirli. E adesso, se è recuperabile da qualche parte, ve ne consiglio la visione. Non perché l’aspro dibattito abbia chiarito qualche punto agli indecisi, ma in quanto ha fatto comprendere in maniera palmare le vere ragioni sul perché l’uno l’abbia voluta così e sul perché l’altro è decisissimo a votare no.
 

E il perché è semplice. Mentre il secondo, infatti, vive di politica e sente il potere come un corollario a questa sua maniacale passione. Il primo, invece, la vede in maniera opposta: vive di potere, ed è la politica per lui a essere un corollario; in pratica soltanto il fastidioso mezzo per avere il potere in mano.

La differenza la si vede nel come i due vedono il fatto che oggi, dopo un lunghissimo e ricchissimo cursus honorum, De Mita sia, a 88 anni, ancora nella mischia, visto che è sindaco di Nusco. Renzi parla di ineliminabile attaccamento alle poltrone; De Mita ribatte che è la sua testa a essere strutturata a vivere di politica e che certamente Nusco, per uno che è stato presidente del Consiglio, più volte ministro e presidente della DC, non è un posto dove un assetato di potere possa sentirsi appagato in questa sua smania. E tra le due tesi la più plausibile mi sembra la seconda.

Ma in questo dibattito – a differenza di quello sostenuto con Zagrebelsky – a far capire molte cose non sono state le argomentazione, bensì le smorfie facciali e le cose urlate. La faccia è sempre molto rivelatrice ed era molto interessante vedere quella di Renzi appena De Mita attaccava con un tono tutt’altro che educato e dimesso. Poi riusciva a somministrare alla telecamera il solito repertorio di sorrisetti e corrugamenti lungamente studiato, ma all’inizio, preso di sorpresa da tale mancanza di rispetto da parte di un quasi novantenne che rifiuta di sentirsi rottamato, la bocca e gli occhi non sono mai riusciti a celare lo sbigottimento da parte di chi è abituato a sentirsi dire praticamente sempre di sì e improvvisamente si vede messo in discussione davanti a un vasto pubblico. Sembrava volesse dire: ma questo sa davvero chi sono io? Ma come si permette? Renzi, insomma non è abituato a simili irrispettose contestazioni, non si trova bene quando il sì per lui non suona. E non comprende l’uso del no; ovviamente solo se il no è indirizzato a lui.

In un contesto totalmente privo di cortesie istituzionali e, almeno in questo, molto più equilibrato di quello con Zagrebelsky in cui era soltanto il professore a tener conto del valore dell’educazione, sono volate battute al veleno: «Ci avete rubato il presente – ha detto Renzi – adesso speriamo che non succeda lo stesso con il futuro». E anche: «Non credo che tu la abbia letta tutta questa riforma». E De Mita non è stato da meno: «Questa è una volgarità che non mi aspettavo e soprattutto detta da chi in politica le ha inventate tutte. Hai fatto un partito dove parli da solo e le tue relazioni in direzione andrebbero pubblicate per capire a cosa si è ridotta la politica. È un mestiere che vuoi gestire in maniera autoritaria». E ancora: «Io non ho rabbia per te, ho pietà, non sarò mai di quelli che cambiano partito. Sono nato e muoio democristiano. Tu non so».

Ma va rilevato anche che, De Mita, pur con tono spocchioso e insolente, ha voluto anche esprimere alcuni ragionamenti soprattutto sulla necessità di fare tesoro della storia , quindi di coltivare la memoria, nonché sul fatto che nella politica la collegialità del ragionamento è sempre un pregio, mentre la velocità eccessiva e a prescindere nel prendere le decisioni è quasi sempre un difetto.

Renzi, invece, si è limitato a fare tre cose. Ha ripetuto ossessivamente che i cittadini dovranno soltanto rispondere alle domande – legittime, ma sicuramente furbesche – del quesito referendario come se in quelle si esaurissero tutte le modifiche di forma, ma soprattutto di sostanza, che lui spera vengano apportate alla Costituzione. Ha continuato a dire che non è scritto da nessuna parte che aumenteranno i poteri del presidente del Consiglio – anche se lui, lasciandosi un po’ andare, spesso lo chiama già adesso premier – come se fosse necessario scriverlo nel momento che tutto è previsto per dargli una maggioranza assoluta, larghissima, omogenea e quindi stabile e, soprattutto, obbediente. Ha fatto capire che si era preparato allo scontro non sui temi della riforma – non sul merito, come piace dire a lui – forse perché pensava di essere inattaccabile, ma soprattutto facendosi preparare un minuzioso dossier su date, avvenimenti e tutte le cose che potevano mettere in cattiva luce l’avversario.

Non ho mai avuto alcuna simpatia per De Mita, ma devo faticosamente ammettere che il confronto tra i due me l’ha fatto quasi rimpiangere. Non per il tipo di governi che presiedeva, ma perché oltre che comandare, anche pensava; e soprattutto percepiva gli umori della nazione e ne teneva conto. Sicuramente perché intendeva mantenersi dov’era, ma anche perché erano ancora vigenti quelle leggi elettorali proporzionali che probabilmente sono l’unica chiave per capire davvero come mai in un Paese come l’Italia si sia potuto, con governi a guida democristiana e con la presenza ovviamente non silenziosa del Vaticano, far passare leggi come quelle sul divorzio e sull’aborto; o anche lo Statuto dei lavoratori che oggi un governo che Renzi dice di centrosinistra quello stesso Statuto ha praticamente demolito, e lo provano i numeri di coloro che sono realmente occupati – e non a un’ora la settimana – e l’aumento straripante dei licenziamenti senza giusta causa e comunque senza motivazione.

Poi è vero: Renzi non immagina di vedersi a fare politica fino a 88 anni, forse neanche fino a 55. La politica è fastidiosa e, se esercitata in democrazia, è anche molto faticosa. Probabilmente lui, invece, sogna di godersi tra una decina di anni i libri di storia in cui agogna non si parli più della Costituzione del 1948 che ha avuto tanti padri che soltanto di pochi ci si ricorda più il nome, ma della Costituzione del 2016 di Renzi; e di lui soltanto. Dio non voglia che questo succeda.

Alla fine della trasmissione c’era un’altra cosa che mi sono accorto di dover mettere nel conto della mia avversione nei confronti di Renzi. Ieri è riuscito quasi a farmi rimpiangere De Mita. Non vorrei che, continuando così, riuscisse a farmi rimpiangere anche Nicolazzi; o giù di lì.


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