martedì 11 ottobre 2016

Cambiare tutto per non cambiare nulla

Bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla. È questo il senso della famosa frase pronunciata da Tancredi, il nipote del principe di Salina, ne “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Ed è esattamente il senso di quello che spera di poter fare Matteo Renzi, nei riguardi della nuova legge elettorale, l’Italicum, almeno fino a quando la Corte Costituzionale non deciderà di decidere sulle eccezioni di incostituzionalità sollevate e presentate da molti tribunali.

L’attenzione dei più, infatti, si appunta sulle scadenze temporali fissate da Renzi nel suo discorso alla riunione della direzione PD. Cambiare si può – ha detto, in sintesi – ma soltanto dopo il voto referendario del 4 dicembre. Per intanto si può cominciare a discuterne in un’apposita commessione. E in molti hanno ribattuto – tanto che la minoranza PD ha finalmente deciso di pronunciarsi per il No – che si tratta soltanto di melina, di un surrettizio procrastinare la data del cambiamento per poterla spostare all’infinito, o, anzi, cancellarla, in caso di vittoria del Sì.

Ma la cosa più importante non mi sembra mettere in discussione la validità della parola data da Renzi, anche perché su questo argomento tutti hanno già avuto solidi elementi per decidere il proprio personale giudizio. Il nucleo su cui ragionare è, invece un altro.

Oltre che del metodo di elezione dei senatori, Renzi, infatti, afferma che sull’Italicum si potrà discutere di ballottaggio, collegi uninominali, preferenze, premio di maggioranza alla lista o alla coalizione. Sembra che davvero cambi tutto. Ma poi – ribadita in contemporanea dal fedelissimo Nardella e da altri - arriva la frase che fa capire che nulla, comunque, cambierà: «Deve comunque essere una legge elettorale che faccia sapere subito chi ha vinto e chi ha perso».

A prescindere dal linguaggio usato (“vincere” si attaglia più a una competizione sportiva che a un confronto politico, almeno se si continua ancora a ritenere che la politica, anche con qualche compromesso, debba venire incontro alle necessità non della maggioranza politica del momento, ma della maggior parte dei cittadini), resta del tutto intatto il concetto base che informa l’intera filosofia, oltre che della riforma costituzionale, anche dell’Italicum, così com’è espressa nell’articolo 2 della legge: «I partiti, o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare…». Ma in un sistema parlamentare ci si dovrebbe candidare a rappresentare in Parlamento i propri elettori e non a governare.

E non va dimenticato neppure che, per arrivare al risultato di questa legge che, secondo Renzi, la Boschi e i loro, era «la più bella legge elettorale dell’Occidente» che «molti ci copieranno», il presidente del Consiglio e segretario del PD non ha esitato a ricorrere a mezzi mai, o quasi mai, usati in precedenza nella storia italiana. Il sistema di porre la fiducia su una legge elettorale, infatti, prima che per l’Italicum, era stato usato soltanto in due casi: il 18 novembre 1923 per la legge Acerbo che fu voluta da Benito Mussolini per assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare nelle elezioni del 1924, e il 21 gennaio 1953 per la cosiddetta “legge truffa” che voleva dare un premio di maggioranza a chi avrebbe già conquistato una maggioranza assoluta. Molto meno “truffa” dell’attuale, quindi.

Poi vorrei ricordare dieci nomi di cui forse vi sarete dimenticati, ma che nella memoria di Renzi dovrebbero essere ben presenti: Pier Luigi Bersani, Gianni Cuperlo, Rosy Bindi, Andrea Giorgis, Enzo Lattuca, Alfredo D'Attorre, Barbara Pollastrini, Marilena Fabbri, Roberta Agostini e Marco Meloni. Sono i deputati del PD che il 20 aprile 2015 Renzi ha deciso di sostituire d’autorità nella Commissione Affari costituzionali perché non erano pienamente appiattiti sui suoi orientamenti proprio nella discussione della nuova legge elettorale.

Alla luce di questi ricordi sul comportamento di Renzi, è dal governatore della Toscana, Enrico Rossi, che arriva una specie di epitaffio per il PD: «Renzi ha fatto un'apertura; lui è il segretario e se in un partito non ci si fida del segretario, allora quel partito è morto». Combiniamola con le parole rivolte da Cuperlo a Renzi – «Se perdi avrai paralizzato il Paese per nulla, se vinci camminerai sulla macerie» – e si vede che forse questa volta qualcosa comunque cambierà perché il PD che conosciamo come capofila del centrosinistra non ci sarà più. Forse Renzi ha sbagliato qualche calcolo (magari pensando soltanto alla gerarchia del partito e non anche agli elettori) perché questa volta comunque qualcosa cambierà.

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