lunedì 22 agosto 2016

Una personalizzazione che non cambia

La notizia è che Matteo Renzi dice che «Si vota nel 2018, comunque vada il referendum». Notizia per modo di dire, se vogliamo, visto che in tanti si era convinti – e lo si era scritto in tempi non sospetti – che Renzi poi, in caso di vittoria del No, non se ne sarebbe andato a casa e non soltanto perché ci sono delle procedure costituzionali da seguire e uno non può semplicemente uscire arrabbiato da Palazzo Chigi e chiudersi la porta alle spalle. Con buona pace della Boschi e di altri ferventi renziani che ne avevano esaltato la sua “coerenza”.

Il corollario, invece, pur se sempre non molto sorprendente, merita, invece, un po’ di attenzione in più. E non perché Renzi, dopo aver visto i sondaggi, ammette di aver sbagliato a personalizzare, ma in quanto la personalizzazione rimane praticamente invariata, anche se tenta di assumere un’impronta diametralmente opposta. Mentre prima, infatti, aveva portato a identificare il referendum costituzionale con un plebiscito su Renzi, adesso, invece, vorrebbe far pensare che togliendo il legame con Renzi tutto va a posto, che la riforma costituzionale diventa immediatamente buona e che tutte le critiche che giuristi, presidenti emeriti di Corte Costituzionale e cittadini che amano la democrazia hanno fatto, non hanno più ragione di esistere. E così non è perché i difetti e i pericoli rimangono perfettamente identici e, con una frase già detta mille volte, mentre «del destino politico di Renzi mi importa poco o niente, mi interessa moltissimo, invece, il futuro democratico di mia figlia, di mia nipote e dei loro coetanei».

Per convincercene guardiamo le prime reazioni, tralasciando il fatto che Renzi continua a decantare i supposti pregi della riforma e a ignorarne i reali difetti e che insiste a denigrare chi gli è contrario perché «coloro che sostengono il no – dice – stanno difendendo le loro poltrone, i loro rimborsi». Come se a impegnarsi per il No fossero soltanto deputati e senatori e non anche e soprattutto normali cittadini che non occupano alcun seggio parlamentare. Piero Fassino, per esempio, coglie subito la palla al balzo per confermare il suo sì alla riforma dicendo che «ora il quesito è chiaro» e che il sì «non può fallire perché è l’Italia che rischia il baratro».

Cominciamo con quel «ora il quesito è chiaro» rilevando che il quesito non è assolutamente cambiato e che l’unico mutamento riguarda le parole (non il pensiero) di Renzi e che, quindi, sarebbe ora di entrare finalmente nel merito davvero e non come invocano, ma evitano di fare, se non a slogan, i renziani più convinti. Disponibili a farlo quando vogliono e dove vogliono.

Per quanto riguarda «è l’Italia che rischia il baratro», siamo assolutamente d’accordo, ma in senso opposto a quello di Fassino che si affanna a spiegare che il combinato disposto tra legge elettorale e nuova Costituzione non esiste. Invito chiunque a leggere la riforma renziana e a valutare come potrebbe funzionare se non ci fosse un partito vincente con a disposizione una larghissima maggioranza. Semplicemente non funzionerebbe perché con una Camera sola e con alleanze possibili meno articolabili si finirebbe per andare alle urne ogni anno: altro che governabilità.

Il fatto è che lo spirito di questa riforma abbraccia entrambi gli aspetti, anche se Fassino sostiene il contrario. Riforma e legge elettorale sono state fatte contemporaneamente e sono state propagandate a gran voce insieme perché avrebbero ridotto i tempi della politica e reso più efficace l’azione del governo.

E la “filosofia” – scusate se uso un termine nobile per un progetto basso – è la stessa che si è vista usare contro l’ANPI e per le feste dell’Unità e che adesso Renzi vuole annacquare perché ha visto che provocano più danni del previsto: è una “filosofia” che vede l’espressione di ogni pensiero diverso come un fastidio, come una perdita di tempo, come un intralcio alla velocità di esecuzione che sembra essere diventata la bussola del mondo politico di oggi che l’ha messa al posto che spettava al bene comune.

È una filosofia che anche nel suo annacquamento rivela la sua natura: «Alle feste dell’Unità – dicono Renzi e i suoi all’ANPI – venite pure, ma non sognatevi di fare propaganda, cioè di dire le ragioni che vi spingono a votare No». Per Renzi questa sarà democrazia; per me, che considero il voto soltanto la parte conclusiva del processo democratico che è sempre lungo e faticoso, è del tutto inaccettabile.

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